Dall’8 al 10 gennaio di 80 anni fa, il Processo di Verona
Condannati a morte per tradimento i membri del Gran Consiglio del Fascismo che, nella seduta del 25 luglio 1943, avevano sfiduciato Benito Mussolini
Foto Wikipedia.
I lettori possono rivedere i fatti avvenuti il 25 luglio 1943, quando il Gran Consiglio del Fascismo sfiduciò Benito Mussolini cliccando questi link: Prima parte – Seconda parte – Terza parte.Il processo, il cui esito era scontato, fu celebrato dall'8 al 10 gennaio 1944.
Forse nessuno dei firmatari – a parte Grandi – aveva immaginato che cosa avrebbe comportato la sfiducia a Mussolini, espressa a maggioranza con un voto democratico, per il futuro del Paese.Il Re Vittorio Emanuele III attendeva da tempo un appiglio per sostituire Mussolini – che con la guerra stava portando l’Italia al disastro – con un altro personaggio di sua fiducia. E il voto di sfiducia dal Gran Consiglio del Fascismo (il massimo organo istituzionale dell’epoca fascista) era l’occasione che attendeva. L’aveva anche sollecitata in qualche modo.
E, quando si recò dal Re con l’Ordine del Giorno Grandi in mano, Mussolini si attendeva che il sovrano assumesse la guida delle Forze armate, lasciando lui al Governo del paese. (Pensava davvero di cavarsela così?)Ma invece Vittorio Emanuele III lo fece arrestare («per la sua incolumità») e nominò capo del Governo il Maresciallo Pietro Badoglio.
Non appena fu diffusa la notizia, il fascismo crollò in tutto il Paese. I 20 anni di successi del Duce erano stati velocemente cancellati da una guerra inutile, sconsiderata, disastrosa, combattuta in tutta impreparazione e praticamente perduta in partenza.
L'indomani, per evitare di essere linciati, i gerarchi fascisti cercarono riparo un po’ dappertutto, Galeazzo Ciano chiese asilo al Vaticano (dove era ambasciatore), ma gli fu risposto di no.
Galeazzo Ciano.
Come gli altri allora si rifugiò presso l’ambasciata tedesca a Roma. Poi, quando i tedeschi liberarono Mussolini sul Gran Sasso, i gerarchi vennero trasferiti in Germania.
Tra questi c’era anche Ciano, genero del Duce in quanto aveva sposato la figlia Edda, che si illudeva che il suo voto di sfiducia firmato al Gran Consiglio venisse valutato come una normale espressione… democratica.
C’è da precisare a questo punto che Hitler non riusciva a comprendere che una dittatura, come quella fascista, potesse avere il punto di riferimento che era il Re d’Italia e che il dittatore dovesse rispondere a un organo come il Gran Consiglio del Fascismo, istituito proprio dallo stesso Fascismo.
Quando ne venne a conoscenza, in preda all’ira, decise di fucilare tutti, dal Re a Badoglio ai nuovi ministri, insomma ai traditori tutti.
Il Re e Badoglio si erano riparati velocemente al Sud d’Italia, abbandonando il Paese alla mercé dei tedeschi. Il resto Hitgler lo avrebbe fatto a freddo.
Il puerile disegno di Ciano era quello di farsi trasferire insieme alla sua famiglia in Argentina, in cambio della consegna dei suoi famosi diari, dai quali emergeva quello che definiva «tradimento tedesco».
Ma Hitler aveva deciso che avrebbe fatto uccidere tutti i responsabili della caduta del Fascismo.
Normalizzata la situazione in Italia e insediato il Governo della Repubblica Sociale Italiana che faceva capo a Mussolini, Galeazzo Ciano e la sua famiglia furono portati a Verona, dove però venne arrestato con l’imputazione di «tradimento».
Insieme a lui vennero arrestati, e imprigionati a Padova, altri quattro firmatari dell’Ordine del Giorno Grandi: Piero Cosmin, Giovanni Marinelli, Carlo Pareschi, Luciano Gottardi e Tullio Cianetti. Emilio De Bono, vista l’età, le innumerevoli medaglie e il Collare dell’Annunziata, fu lasciato ai domiciliari nella sua casa di Cassano d’Adda.
Gli altri erano riusciti a dileguarsi.
Il 24 novembre il Consiglio dei ministri approvò ufficialmente l'istituzione del Tribunale speciale
Il giudice istruttore incaricato, Vincenzo Cersosimo, si occupò di raccogliere la documentazione per l'istruttoria. Cercò innanzitutto i verbali del Gran Consiglio ma non riuscì a trovare nulla, pertanto si decise a ricostruire le fasi salienti dei fatti basandosi sulle dichiarazioni rilasciate dagli imputati stessi e dai ritagli di giornali dell'epoca.
Cersosimo, recatosi il 14 dicembre per raccogliere la testimonianza di Ciano, fu ostacolato dalle SS. Questione che fu poi risolta (si fa per dire) quando le proteste di Cersosimo arrivarono al Duce, tramite Frau Felizitas Beetz (di cui parleremo più avanti), ufficiale SS di collegamento.
L'istruttoria fu completata il 29 dicembre 1943.
Il processo.
Il ministro della giustizia della Repubblica sociale di Salò, studiati gli atti, si rese conto che il processo su quelle basi non aveva senso giuridico. Il tradimento non esisteva perché l’Ordine del giorno Grandi era stato messo ai voti da Mussolini e perché si trattava semplicemente di un voto. E non c’erano prove della collusione con il Re.
Ne parlò a Mussolini, il quale gli rispose che non si trattava di diritto ma di «politica».
Mussolini si era consultato con i vertici delle SS in Italia, i quali a loro volta si erano confrontati con Himmler, che rispose che l’ordine del Führer era fuori discussione. Dovevano essere fucilati tutti.
Naturalmente non fu facile trovare avvocati per questi illustri imputati. Solo un nome importante accettò l’incarico, ma fu dissuaso con la forza di difendere Ciano. Insomma, furono difesi da avvocati d’ufficio, i quali ebbero comunque difficoltà a difenderli senza suscitare l’ira dei tedeschi.
Era chiaro che l’imputato più in vista era Galeazzo Ciao, in quanto genero di Mussolini. Era impensabile sia che il suocero lo facesse uccidere, sia che lo facesse risparmiare.
Nel corso della vicenda si fece avanti la citata giovane SS, Frau Felizitas Beetz, che nonostante i suoi soli 25 anni era già maggiore. Era incaricata a recuperare i famosi diari di Ciano e per questo era l’unica che poteva incontrare il Conte come e quando voleva, cosa che invece era impedita sia alla moglie Edda che al suo avvocato. Poteva ricevere solo il confessore.
Pare impossibile, ma Felizitas Beetz si innamorò di Ciano e provò a salvarlo in qualche modo. Fece anche da collegamento con la moglie Edda.
La Beez, quando capì come sarebbe finito il processo, accettò di portare il veleno a Ciano, ma alla fine ci ripensò perché sarebbe stato evidente per tutti che solo lei poteva portargli la fialetta di cianuro.
Il plotone di esecuzione.
Nella prima giornata del processo, un avvocato presentò una mozione di legittimità perché metà degli imputati erano militari e come tali avrebbero dovuto essere processati da un tribunale militare.
La richiesta fu respinta dalla corte e il Pubblico Ministero Andrea Fortunato ammonì l’avvocato di non provare più a fermare la giustizia davanti alla storia.
Il processo durò solo due giorni e alla fine il giudice Enrico Vezzalini pose alcune domande agli imputati.
Il pubblico accusatore chiese per tutti la pena di morte senza attenuanti per nessuno.
Dopo tre ore di camera di consiglio il tribunale emise la sentenza.
Tutti vennero dichiarati colpevoli, con l'unica concessione delle attenuanti generiche a Tullio Cianetti, condannato a trent'anni (che si sarebbero ridotti a pochi mesi, dato l'evolversi della guerra) per aver ritirato la firma dall’Ordine del giorno con lettera datata 26 luglio.
Pavolini portò di persona la sentenza a Mussolini, il quale commentò così: «Ero sicuro che la decisione del tribunale straordinario sarebbe stata di condanna di morte. Con questa condanna si chiude un ciclo storico.»
L’atteggiamento del Duce cambiò quando venne a sapere che i condannati avrebbero chiesto la grazia. Lo scaricabarile finiva ancora una volta sulla sua scrivania.
Ma nessuno si sentì in grado di portare a Mussolini le richieste di grazia e, in buonafede o in malafede, Mussolini non fu messo in grado di accettarle o respingerle.
Alle 8 del mattino dell’11 gennaio i condannati vennero portati al poligono di tiro di Verona.
Alle ore 9 Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Carlo Pareschi, furono fucilati alla schiena da 30 militi fascisti comandati dal tenente Nicola Furlotti.
Ciano si girò per guardare in faccia la morte, così fu solo ferito e il tenente dovette sparargli due colpi di pistola alla testa per finirlo.
Gli imputati assenti, condannati a morte in contumacia, furono Dino Grandi, Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni, Cesare Maria De Vecchi, Umberto Albini, Giacomo Acerbo, Dino Alfieri, Giuseppe Bastianini, Annio Bignardi, Giovanni Balella, Alfredo De Marsico, Alberto De Stefani ed Edmondo Rossoni; nessuno di loro venne catturato dalle autorità repubblichine e tutti sopravvissero alla Seconda guerra mondiale.
Un’ultima considerazione. Mussolini si era dimostrato un fantoccio nelle mani di Hitler.
E Hitler li avrebbe fatti impiccare subito senza perdere tempo con un inutile processo.
Guido de Mozzi - [email protected]
Che fine fecero Dino Grandi, Edda Mussolini, Frau Felizitas Beetz e Giusepep Bottai. Hildegard Purwin. Nata a Obemissa nel 1919, è passata alla storia come Frau Felizitas Beetz. Fu impegnata in prima persona, e con un ruolo determinante, nel salvataggio e nel recupero dei «Diari» di Galeazzo Ciano. Finita la guerra, Hildegard Beetz ritornò in Germania. Dopo aver divorziato dal primo marito, Gerhard Beetz, contrasse un successivo matrimonio con Carl-Heinz Purwin, dal quale ebbe un figlio, Ulrich. Lo storico Duilio Susmel nel 1969 la rintracciò e sul settimanale Gente scrisse «Sono io la spia che voleva salvare Ciano». Nel 1996 lo storico Renzo Santinon la ritrovò e la intervistò per lo stesso settimanale. In Germania, intraprese una brillante carriera di giornalista sotto il suo nome ufficiale Hilde Purwin. Fu, tra l'altro, corrispondente del Neue Ruhr Zeitung dal 1951 fino al 1984. Nel 2007 tutti i documenti relativi al suo ruolo nella seconda guerra mondiale vennero consegnati all'archivio dell'Istituto Storico Germanico di Roma. Morì a Bonn nel marzo 2010. Edda Mussoli Ciano. Nata a Forlì nel settembre 2010, era figlia di Mussolini e moglie di Galeazzo Ciano. Il 9 gennaio, quindi prima della fine del processo al marito, Edda espatriò clandestinamente con i figli in Svizzera; utilizzando nomi e documenti falsificati, varcò i confini italiani attraverso Stabio, nel Varesotto. Implorò l'asilo nel paese neutrale, venne quindi ospitata nel piccolo convento delle suore domenicane di Neggio. Dopo quattro mesi dalla fine della guerra e dalla fucilazione di Mussolini, dietro richiesta del governo italiano, gli svizzeri fanno uscire Edda dal paese. Viene condannata a due anni di confino sull'isola di Lipari. Dopo un anno beneficia dell'amnistia promulgata da Palmiro Togliatti, in quel momento ministro della giustizia, e si ricongiunge ai figli. Si ritira infine a Capri, alternando la permanenza nella sua villa con quella nella casa romana. In età avanzata Edda Ciano concesse una serie di interviste in cui racconta la sua vita: l'infanzia, l'adolescenza, il suo rapporto con i genitori, le loro passioni, l'ascesa al potere del padre, i suoi amori, il marito Galeazzo Ciano e le sue vicende politiche, le guerre, la vita mondana, le tragiche giornate di Verona. Edda Ciano muore a Roma l'8 aprile 1995 a 84 anni per via di una grave infezione renale per cui era ricoverata da tempo; è sepolta a Livorno, nel Cimitero della Purificazione, accanto al marito. Il pubblico ministero Andrea Fortunato. Non ci sono fonti al riguardo. Probabilmente è rientrato nell'anonimato, ma potrebbe essere caduto vittima dei partigiani, oppure riparato in zone più tranquille in attesa di tempi migliori. Molti archivi storici andarono distrutti dolosamente e non si trovarono tracce di certa gente compromessa con il regime di Salò. I maligni dicono che non è escluso che ottenne il cambio di nome e che continuò la sua carriera nella pubblica amministrazione. Nicola (Nico) Furlotti. Nelle caotiche giornate della seconda metà del settembre 1943, Furlotti fu nominato Comandante da Pavolini. Comandò il plotone di esecuzione che fucilò Ciano e compagni. Alla fine della guerra fu condannato a morte nel 1945 dal Tribunale del Popolo. Si rifugiò a Catania dove visse sotto altro nome, Narciso Fabbri, sino al 1959, quando venne definitivamente amnistiato. Dino Grandi. Nato a Mordano nel 1895, fu un politico e diplomatico fascista, che passò alla storia per aver redatto e fatto approvare l’Ordine del Giorno che portò alla destituzione del Duce. Nel 1943 scappò in Spagna e da lì si trasferì al Portogallo, ove risiedette sino al 1948. Gli anni quaranta furono duri: in Portogallo diede delle ripetizioni di latino, mentre la moglie lavorò come modista per sopravvivere. La fortuna ritornò negli anni cinquanta, quando ebbe incarichi di rappresentanza per la Fiat. Si trasferì quindi in America Latina, ove visse soprattutto in Brasile, proprietario di una tenuta agricola. Il rientro definitivo in Italia avvenne negli anni sessanta. Giunto in patria, Grandi aprì una fattoria modello nella campagna di Modena ad Albareto. Infine prese casa a Bologna nel centro storico, ove morì nel 1988 poco prima di compiere 93 anni. È sepolto nel cimitero monumentale della Certosa di Bologna. Giuseppe Bottai. Nato a Roma nel settembre 1895, Giuseppe Bottai è stato un politico, militare e giornalista italiano. Fu governatore di Roma, governatore di Addis Abeba, ministro delle corporazioni e ministro dell'educazione nazionale. Nel 1938 è tra i firmatari delle leggi razziali. Il 25 luglio 1943 fu tra i firmatari dell’Ordine del Giorno Grandi. Condannato a morte in contumacia, Bottai si arruolò nella Legione Straniera nel 1944. Nel 1947 venne amnistiato per aver collaborato alla istituzione del Partito fascista. Nel 1951 torna a Roma e lavora come giornalista in incognito per «Il Popolo di Roma». Muore a Roma il 19 gennaio 1959. Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943: Edizione integrale. Scritto tra l'agosto 1937 e il febbraio 1943, il Diario di Galeazzo Ciano, - «una fonte memorialistica di primaria importanza» nelle parole dello storico Renzo De Felice - è un documento prezioso per la comprensione dell'ultima fase del regime fascista, quella preannunciante il suo sgretolamento. L'esistenza del diario è nota ai collaboratori più stretti di Ciano dalla fine degli anni Trenta, ai quali il ministro degli Esteri confida di volerlo pubblicare a guerra finita, allo scopo di riabilitarsi politicamente dinanzi alle potenze alleate. Come sappiamo, Ciano non riuscirà nel suo intento. Il Diario fu pubblicato nel 1996 a cura di Renzo de Felice per l’editore Rizzoli e conta 743 pagine. Il suo Diario, sebbene senz'altro viziato ab initio dalla volontà di successiva pubblicazione che ne inficia l'attendibilità storica, resta un documento originale e fondamentale per capire gli ultimi anni della dittatura e l'andamento della Seconda Guerra Mondiale. |