La galassia eversiva della sinistra neomarxista in Turchia/ 1

La storia della Turchia moderna, dal Kemalismo di Mustafa Kemal Atatürk (= Padre dei Turchi) a oggi – Di Lorenzo Marinone

 

Una lunga serie di attentati ha colpito la Turchia negli ultimi anni, con un’intensificazione particolare dall’inizio del 2015.
L’episodio più rilevante, che ha ottenuto anche una considerevole eco mediatica, risale al 31 marzo scorso, quando un commando composto da 2 uomini ha fatto irruzione nel principale tribunale di Istanbul e ha sequestrato il procuratore Mehmet Selim Kiraz.
Il magistrato indagava sulla morte di Berkin Elvan, un ragazzo di 15 anni deceduto durante le proteste di Gezi Park, nella primavera del 2013, in seguito alle cariche della polizia turca.
Il commando è espressione del Partito-Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo (Devrimci Halk Kurtuluş Partisi-Cephesi, DHKP-C), formazione eversiva di orientamento marxista-leninista che negli ultimi anni ha colpito più volte gli apparati di sicurezza e le principali istituzioni dello Stato.
Solo dall’inizio del 2015 il DHKP-C ha rivendicato altri 3 attentati, condotti con granate, ordigni esplosivi artigianali e, in un caso, un attentatore suicida.

In Turchia i fenomeni eversivi collegati a movimenti di estrema sinistra sono nati attorno alla metà degli anni ’60 e sono proseguiti fino ad oggi con andamento altalenante.
A brevi periodi di intensa attività e altrettanto dura repressione da parte dello Stato sono seguiti lunghi intervalli, necessari alla riorganizzazione delle diverse formazioni terroristiche. Infatti, esse non hanno mai potuto contare su un alto numero di affiliati.
Anche nel periodo di massima espansione, nella seconda metà degli anni ’70, i membri operativi erano solo alcune centinaia.
Nonostante il proliferare di sigle, la comprovata capacità di azione sull’intero territorio nazionale e, in alcuni casi, l’appoggio garantito da cellule operanti dall’estero, la galassia eversiva dell’estrema sinistra turca non ha dato luogo a fenomeni che possono competere in rilevanza con quelli sviluppatisi contemporaneamente in altri Paesi europei, come la Rote Armee Fraktion (RAF, meglio, anche se impropriamente, conosciuta come Banda Baader-Meinhof) in Germania o le Brigate Rosse in Italia.
L’unica eccezione è rappresentata dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Partîya Karkerén Kurdîstan, PKK) di Abdullah Öcalan, la cui matrice marxista-leninista però è stata ampiamente subordinata allo storico obiettivo indipendentista curdo.
L’obiettivo principale di tutte le altre formazioni terroristiche turche di estrema sinistra, al contrario, è rappresentato dal sovvertimento dell’ordine statuale. La peculiare declinazione di questo fine dipende direttamente dai tratti caratterizzanti la storia del Paese nel secondo dopoguerra.
Scomparso il fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal Atatürk, la vita istituzionale del Paese è stata sotto il controllo capillare dell’Esercito, che si ergeva a custode del «kemalismo».
I suoi tradizionali pilastri sono stati la difesa dell’unità nazionale, spesso sfociata in una politica assertiva verso le richieste delle minoranze etniche e linguistiche; la tutela della laicità dello Stato, in nome della quale per decenni i partiti di chiara ispirazione religiosa sono stati ostacolati e spesso dichiarati fuorilegge; un indirizzo marcatamente filo-occidentale in politica estera. Sigillo di questa presa di posizione è stato l’ingresso della Turchia nella NATO nel 1952.
In tal modo, oltre ad arginare l’influenza e la minaccia russa, i vertici militari di Ankara hanno allo stesso tempo potuto presentarsi al popolo come garanzia di stabilità politica e continuità istituzionale attraverso il Partito Popolare Repubblicano (Cumhuriyet Halk Partisi, CHP) fondato da Atatürk, riuscendo quindi a ricevere l’avallo dell’ombrello atlantico per i frequenti colpi di Stato tesi a bloccare un’eccessiva espansione dei partiti di opposizione.
 
I primi movimenti eversivi nacquero attorno al ’69, quando il principale partito di ispirazione marxista, il Partito Turco dei Lavoratori (Türkiye İşçi Partisi, TİP), non riuscì ad andare oltre il 3% dei voti alle elezioni legislative.
L’impossibilità di prendere il potere per vie legali, strada sostenuta dall’Unione Sovietica che appoggiava il TİP, spinse diversi membri delle sue formazioni giovanili a rompere con l’intellighenzia e l’apparato del Partito e scegliere la strada dell’insurrezione armata.
Uniti sotto il nome di Dev Genç (Gioventù Rivoluzionaria), nel triennio 1969-71 diversi miliziani fuoriusciti dal TİP attaccarono obiettivi altamente simbolici, come l’ambasciata americana in Turchia, e organizzarono le proteste contro la Sesta Flotta della Marina americana, rischierata in quegli anni a Istanbul. Dietro all’avversione per l’Alleanza Atlantica si celava il bersaglio principale, ovvero le Forze Armate turche.
Con il colpo di Stato del ’71, i vertici militari riuscirono a fermare momentaneamente gli atti di terrorismo, imponendo un vero e proprio stato di polizia, ma non a impedire la proliferazione di gruppi ispirati all’esperienza di Dev Genç, favorita proprio da politiche sempre più repressive da parte dell’establishment di potere.
Già dall’anno successivo e fino al colpo di Stato militare del 1980, sigle marxiste-leniniste come il Partito-Fronte Turco di Liberazione del Popolo (Türkiye Halk Kurtuluş Partisi – Cephesi, THKP-C), Devrimci Yol (Via Rivoluzionaria), Devrimci Sol (Sinistra Rivoluzionaria, da cui nacque nel 1978 l’attuale DHKP-C), o di orientamento maoista come l’Armata di Liberazione dei Lavoratori e dei Contadini Turchi (Türkiye İşci ve Köylü Kurtuluş Ordusu, TİKKO) espansero il raggio d’azione all’intero Paese usando tattiche di guerriglia nei frequenti attacchi all’apparato di sicurezza dello Stato.
 
Fu solo la massiccia risposta dell’Esercito nel 1980, che portò a decine di migliaia di arresti fra membri dei gruppi eversivi e presunti simpatizzanti, ad arginare il fenomeno.
Nonostante la buona organizzazione di base e la massiccia opera di proselitismo, nessuno di questi gruppi riuscì effettivamente a radicarsi in profondità nel tessuto sociale della Turchia.
A questo proposito, il principale ostacolo incontrato è stato senza dubbio l’impostazione ideologica che li caratterizza.
L’orientamento marxista-leninista, infatti, nelle intenzioni di queste sigle ricopriva un ruolo assolutamente centrale, ma si adattava male alla realtà sociale, economica e culturale turca, soprattutto perché interpretato in maniera rigorosamente ortodossa.
Per avere una qualche presa, quindi, la strategia perseguita avrebbe richiesto la presenza di un apparato produttivo di tipo maturamente industriale, di una vasta fascia proletaria della popolazione e di una ristretta élite economica al potere.
Al contrario, la Turchia in quegli anni era appena all’inizio della transizione da una società di tipo pre-industriale a industriale, con lo Stato impegnato in ambiziosi progetti di costruzione infrastrutturale, di sviluppo dei servizi essenziali nelle regioni centrorientali, prevalentemente agricole e poverissime.
Allo stesso modo, la costa Egea, probabilmente la parte più moderna del Paese, era abitata da una classe media principalmente dedita al commercio.
 
Lorenzo Marinone
(Ce.S.I.)