Storie di donne, letteratura di genere/ 519 – Di Luciana Grillo
Elvira Hempel Manthey, «La piccola Hempel – la testimonianza unica di una bambina scampata alla ferocia dell’eugenetica nazista» – Una toccante storia vera
Titolo: La piccola Hempel.
Autrice: Elvira Hempel Manthey
Traduttrice: Erika Silvestri
Editore: UTET, 2024
Pagine: 272, brossura
Prezzo di copertina: € 19
Si è scritto tanto negli ultimi anni sul nazismo, sui campi di concentramento, sulla memoria «ritrovata» dei superstiti, ma nella mia lunga storia di lettrice, è solo la seconda volta che leggo una storia vera, raccontata dalla protagonista che, da bambina, fu considerata «mentalmente inferiore» e perciò ricoverata in un istituto per malati mentali.
Elvira, vittima dimenticata del nazismo, era nata in Sassonia nel 1931 e, pur essendo perfettamente tedesca, avendo un padre alcolizzato, incarnava un grave pericolo per la razza ariana, dal momento che l’alcolismo veniva considerato una patologia ereditaria.
Questa testimonianza è davvero preziosa perché non si tratta di una bambina ebrea o zingara, ma di una dei tanti bambini tedeschi internati in «Kinderfachabteilungen», speciali reparti infantili «nei quali erano uccisi individualmente, attraverso la somministrazione di farmaci, iniezioni o lasciati morire di fame».
Nell’ospedale di Uchtspringe, «dove furono uccisi 753 tra bambini e adolescenti», Elvira ritrovò anche la sorellina Lisa, che morirà in una camera a gas.
Nella prefazione leggiamo che Elvira, per anni e anni, ha combattuto perché fosse riconosciuta vittima ufficiale del nazismo; in realtà ancora nel 1990 «le vittime di sterilizzazione forzata e di “eutanasia” furono escluse dalle leggi sul risarcimento…».
È solo nel 2014 che a Berlino si inaugura un memoriale nazionale per queste vittime e nel 2017 che il parlamento tedesco le ricorda, ma non le riconosce pienamente.
Elvira, deceduta nel 2014, dopo aver combattuto tanto, non ha potuto considerarsi vittoriosa.
La testimonianza è toccante, Elvira ricorda la sua primissima infanzia, la nascita della sorellina Lisa abbandonata in orfanotrofio subito dopo la nascita, la povertà in cui vivevano, la necessità a volte di andare a chiedere l’elemosina, il padre Otto, spaccone, ubriacone e anaffettivo, i nonni – unico aspetto sereno in tanto dolore – che la curavano, la amavano, le davano vestiti puliti, i tanti battesimi ricevuti passando da una religione all’altra solo per ricevere vitto e abiti, il suo ricovero – deciso dai servizi sociali – a quattro anni in ospedale e poi in orfanotrofio, ma… «in quel posto non c’era amore… viviamo peggio degli animali, nessuno si prende cura di noi».
Per Elvira non c’è pace, la portano da un luogo a un altro come un pacco, c’è chi la visita e chi le ordina di vestirsi e svestirsi, si ritrova con due bambini in una prigione con sbarre alle finestre e si chiede perché dal manicomio l’abbiano portata lì, ma almeno «in quel luogo loro tre sono soli e nessuno li picchia…» e poi di nuovo in manicomio, a Brandenburg-Gorden, dove riprende ad andare a scuola, «cosa che mi rende felice», dove può giocare con una casa delle bambole e andare a raccogliere i funghi, prima di un nuovo trasferimento. Elvira racconta, ricorda le date, 12 marzo 1941, maggio, settembre: sua madre va a vederla per portarla via «da questo istituto, da Uchtspringe, dove ho vissuto tante cose terribili. Ogni giorno morti, ogni giorno botte…».
Elvira ha 14 anni e della mamma un vago ricordo. Con lei va a trovare la nonna, gioca con i bambini in cortile, ma sa che dovrà rientrare in istituto, questa è solo una pausa, poi sarà la volta di un altro istituto in cui Elvira potrà andare a scuola, dove troverà la «zia Frieda» che non la picchia.
Ma qui vede lunghe file di uomini donne e bambini, «tutti hanno una stella gialla cucita sui vestiti, con scritto GIUDEO, ho sentito dire da qualcuno che i polacchi e i giudei uccidono i bambini tedeschi e bevono il loro sangue… li evito. Ho tanta paura che mi uccidano».
Poi la zia Frieda viene licenziata e per Elvira ricominciano l’insonnia, le botte, l’enuresi notturna.
Non vorrei andare oltre, gli avvenimenti che segnano la vita di Elvira sono tanti, anche una gravidanza del tutto inattesa, dal momento che pensava di essere stata sterilizzata. Il 26 ottobre 1950 nasce Angelika, «bellissima… capelli molto scuri e la pelle bruna… gli occhi grigioverdi… la mia Angelika non è malata».
Sia il padre della bimba che le assistenti sociali le consigliano di darla in adozione, ma Elvira non cede, «dovevo lottare per lei».
E quando la piccola ha un anno, Elvira finalmente la può tenere con sé, ma la sua condizione di povertà è davvero indicibile.
Né migliora col passare del tempo, nonostante il matrimonio con Harry che diventa sempre più irascibile e violento. E che beve smodatamente.
Con l’arrivo di Heinz la vita di Elvira e Angelika finalmente cambia.
Dopo il divorzio da Harry, Elvira sposa Heinz nel settembre 1966. «Ora ho trentacinque anni e Angelika quindici… Heinz è un buon padre per Angelika».
Gli eventi si susseguono, per Elvira la vita è più serena, ma mai facile. Cura il nipotino con tutta la tenerezza che non ha potuto manifestare né a Lisa, né ad Angelika; cerca altro lavoro per guadagnare di più, rimane vicino a sua figlia che ha un secondo bambino e divorzia, è ossessionata dai terribili ricordi della sua giovinezza, trova i luoghi dove è stata imprigionata, chiede la sua cartella clinica, dichiara pubblicamente di essere stata rinchiusa per una diagnosi errata, scrive alla Commissione per le petizioni, al Parlamento, al Ministero Federale di Giustizia… tutte le lettere sono qui, in questo libro, fra queste pagine.
Elvira si vergogna di essere tedesca, di appartenere a uno Stato che «quasi cinquantadue anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, quasi sessantaquattro dopo l’entrata in vigore della legge sulla salute ereditaria e quasi quarantotto dopo la fondazione della Repubblica Federale di Germania, non è in grado di riconoscere le ingiustizie perpetrate dal regime hitleriano e di individuare vie per concedere alle vittime tale riconoscimento».
È il 1998, e «la dignità umana, che dovrebbe essere garantita dalla legge, mi viene ancora negata… Io non mi arrendo!».
In appendice si leggono estratti dei verbali medici e altri documenti che riguardano «la malata Elvira Hempel».
Luciana Grillo – [email protected]
(Recensioni precedenti)
Nota: L’altro romanzo che tratta il tema dell’eugenetica è: «Helga Schneider, In nome del Reich – Indegni di esistere», Oligo ed 2021, recensito in questa rubrica con il numero 430.