«I verbi del Natale sono ascoltare, farsi carico, prendersi cura»
Lo ha detto l’arcivescovo Lauro nell’omelia pronunciata in cattedrale nel giorno in cui la Chiesa cattolica celebra la nascita di Gesù, Figlio di Dio
Omelia della messa di Natale
Cattedrale di Trento, 25 dicembre 2021
Ognuno di noi è un intreccio di bisogni: benessere, cibo, sicurezza personale ed economica…; il bisogno è il dinamismo fondamentale di ogni esistenza.
Viviamo però tutti un grande rischio: identificare i bisogni con le attese. Quando bisogni e attese coincidono, il futuro non ha più posto per il nuovo, per l’inedito, la sorpresa. Assume i tratti del già visto, già detto, già fatto.
Significativamente, quando Gesù invita a frequentare l’attesa, usa l’immagine di una donna che partorisce un bambino: ella si prepara a lasciarsi stupire, spiazzare e arricchire, perché la creatura in arrivo è uno sconosciuto, non coincide con le sue attese, la sorprenderà sempre. Anche Maria è stata sorpresa e spiazzata dal Figlio.
Fare Natale è entrare nel futuro, accompagnati dalla Parola eterna del Padre fattasi volto in Gesù, memoria viva che libera l’avvenire dall’ossessione di dover soddisfare bisogni e lo trasforma nella terra della sorpresa e della novità.
Nella mangiatoia di Betlemme, dopo duemila anni, prende dimora una Parola «altra», tutta innovazione. I verbi del Natale, infatti, sono ascoltare, farsi carico, prendersi cura. Chi li accoglie, viene liberato dalla solitudine, entra in spazi di vita, di futuro, di cambiamento. Lasciatemelo dire: oggi, queste sono le parole che ci sono venute a mancare, come il vino a Cana.
Andare «senza indugio» con i pastori a Betlemme per adorare il Bambino, ci consente di gustare il Vino nuovo di una vita abitata dalla gratuità e dal dono di sé, prolungamento dell’umanità di Gesù.
A tal riguardo, sono davvero belle le parole di San Giovanni della Croce: «Oltre l’umano di Gesù non c’è più nulla, né rivelazioni, né ricchezze, né sapienza».
Incredibilmente, questa affermazione così forte del grande mistico spagnolo, anziché rinchiudere il futuro in uno spartito già dato, lo apre con stupore alla continua novità.
Chi ascolta, si prende cura, si fa carico consegna sé stesso all’altro, permettendo di liberare la vita dalla sorda e monotona eco delle proprie parole, emozioni, decisioni. Tra le tante emergenze, mi permetto di sottolineare come la più urgente sia la fatica a dialogare e ad accogliere punti di vista diversi.
Ha ragione Tonino Bello: «Natale non è un punto di arrivo, ma di partenza. Non è un punto a capo. Natale è due punti: si apre, si deve aprire poi tutto un discorso.
«Quale discorso siamo chiamati ad aprire? La risposta non è già data, va continuamente ricercata nelle storie di chi incrociamo, ridando valore ai volti e ai nomi. Realizzeremo così la parola del profeta Isaia: La tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto». (Is 58,8)
Le nostre ferite si rimarginano nella misura in cui curiamo quelle degli altri, salutare provocazione per quest’ora della storia così drammaticamente ferita.