Giovedì 5 settembre, ore 10, i Ministri giureranno al Quirinale
Alcune osservazioni sulla compagine governativa del «post-ideologismo» di Conte
I lati positivi del Secondo Governo Conte stanno nella brevità della crisi e nella capacità che il premier ha avuto nel saper mettere insieme due partiti che fino a dieci giorni prima sembravano antitetici.
A vedere la lista dei ministri, appaiono subito degli aspetti curiosi, il cui più evidente sta nel cambiamento che Conte ha voluto nella compagine pentastellata. In pratica sono saltati tutti i ministri che avevano suscitato ampie critiche da parte dell’opinione pubblica.
Toninelli ritiene di aver pagato più del necessario. Crimi (voleva sciogliere l’Ordine dei Giornalisti) non c’è nella compagine, ma potrebbe tornare da sottosegretario. Da giornalisti, noi speriamo di no.
Perfino Di Maio ha corso il rischio di restare tagliato fuori, ma dobbiamo dire che la sua nomina al Ministero degli Esteri ci ha meravigliati non poco. Ha solo 33 anni, conosce poco l’inglese, ha dimostrato una certa confusione storica (Pinochet in Venezuela), politica (appoggiando i Gilet Gialli irritando Macron) e geografica (anche in Italia).
Luigi Di Maio non è laureato, ma non è il solo: come lui anche Vincenzo Spadafora (Politiche giovanili e Sport), Enzo Amendola (Affari Europei) e Nunzia Catalfo (Lavoro e Politiche sociali).
Altro dicastero per il quale è stata operata una scelta singolare è il Ministero dell’Interno. Si tratta del ministero più importante: ai tempi della Prima Repubblica i politici preferivano l’Interno a Palazzo Chigi. E allora perché è stata scelta la prefetta Martina Castigliani?
Secondo alcuni osservatori, c’era bisogno di «rimettere ordine» il Viminale dopo il passaggio di Matteo Salvini. Ma visto che la questione migranti sarà uno dei punti critici dell’alleanza M5S-PD, forse è meglio che il ministro non sia un politico ma un tecnico che assuma le decisioni prese collegialmente dal Governo.
Una scelta interessante è data invece dal Ministero della Difesa, al cui vertice è stato messo Lorenzo Guerini (PD renziano). Nato a Lodi, ha 52 anni e dal 18 luglio 2018 è presidente del Copasir, che è l’organo tramite il quale il Parlamento esercita il controllo sui Servizi Segreti.
Il passaggio alla Difesa ci sembra dunque una giusta promozione.
Tra i confermati c’è il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che non è in buoni rapporti con il nostro presidente Maurizio Fugatti in tema di orsi.
Per restare in tema di trentini, Riccardo Fraccaro è stato promosso da ministro senza portafoglio (Rapporti con il Parlamento) a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Peccato che abbia definito «inutile» il traforo del Brennero.
A ben vedere dunque, sembra cha la nuova compagine governativa abbia voluto far pulizia presso i 5 Stelle, promuovendo, confermando o rimuovendo personaggi impegnati nel governo precedente.
Cal canto suo il PD ha scelto nomi nuovi. Ha mandato avanti i giovani, il che ci fa domandare se hanno approfittato di questa strana alleanza per fare esperimenti, oppure se i vertici del partito non hanno voluto mettere a rischio la propria immagine in quella che potrebbe essere un’avventura rischiosa. In tutti i casi lo troviamo un aspetto positivo. Solo lo storico Franceschini è tornato al Ministero della Cultura.
Quello che metterà alla prova il rapporto tra M5S e PD sarà la messa in atto del programma, che di massima ci pare condivisibile. I problemi non sono né di destra né di sinistra: sono le soluzioni adottate per risolverli ad assumere un carattere politico. D’altronde, Conte ci pare orientato a trovare accordi al di là delle logiche di partito: «Siamo nel post-ideologismo».
Lunedì il Governo chiederà la fiducia alla Camera dei Deputati, e la otterrà. Poi passerà a chiedere la fiducia al Senato, e qui le cose si faranno più difficili. Ma sarà argomento di una prossima puntata.
GdM