Consegnato a Giorgio Postal il sigillo della città di Trento

Il sindaco di Trento Ianeselli gli ha consegnato l’Aquila di San Venceslao all’illustre concittadino che ha scritto la storia del Trentino da protagonista

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Il sindaco di Trento Franco Ianeselli ha consegnato l’antico sigillo della città, l’Aquila di San Venceslao, a Giorgio Postal.
Nella sua allocuzione Ianeselli ha ripercorso la vita di Giorgio Postal attraverso i suoi punti di forza.
La riportiamo qui di seguito per esteso.
Prima però vogliamo aggiungere qualcosa di nostro.
Giorgio Postal è stato un uomo di potere. Dalla segreteria della DC ai tempi del ’68 all’incarico di sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno.

Non ha mai ostentato il potere, ma ha sempre seguito il suo amato Trentino da Roma, dalla Commissione dei 12 ai tempi del Pacchetto, dai rapporti con l'Alto Adige al consolidamento della nostra Autonomia .

Ma soprattutto Postal è un uomo di cultura. Possiamo definirlo «memoria storica» della nostra comunità e non a caso è stato nominato presidente della Fondazione del Museo Storico del Trentino, estrema sintesi della sua vita.
Tutto questo il sindaco Ianeselli lo ha sintetizzato nella sua allocuzione, che consigliamo di leggere perché è una sorta di guida per i politici che dovranno raccogliere il testimone da questo periodo che ci è toccato di vivere.

Gentile e caro Giorgio Postal,
 
Oggi la comunità cittadina Le conferisce la più alta onorificenza comunale, quella che viene attribuita alle persone che hanno dato lustro a Trento, che hanno lasciato una traccia o indicato una strada da percorrere. È il primo Sigillo di San Venceslao che ho l'onore di consegnare e credo sia significativo che a riceverlo sia l'esponente di una classe dirigente che si distingueva per cultura di governo, senso delle istituzioni e leadership diffusa.
La Sua storia, caro Giorgio Postal, è infatti esemplare di un periodo in cui chi rivestiva cariche pubbliche, chi si trovava alla testa di un partito, chi lavorava a servizio delle istituzioni si assumeva l'onere di guardare lontano e di costruire una prospettiva di riferimento per la collettività. Sempre più spesso oggi la politica sembra abdicare a questo ruolo, si accontenta di seguire e di rincorrere ora i sondaggi, ora le convenienze, ora i volatili umori di un'opinione pubblica frammentata e disorientata. Non è un caso che oggi il politico sia non di rado sostituito dal tribuno o dal tecnocrate o da leader effimeri e senza una reale capacità di rappresentanza.
 
Del suo straordinario cursus honorum colpisce innanzitutto la precoce vocazione politica che l'ha portata, a soli 26 anni, a reggere la Democrazia cristiana provinciale, un partito che allora - era il 1966 - contava decine di migliaia di iscritti e oltre 400 sezioni: era una potenza, una macchina del consenso certo, ma anche del confronto e dell'elaborazione delle idee.
Leggendo i suoi scritti si impara che per Lei la politica è stata fin dall'inizio una questione di metodo: il «metodo Postal» è sostanza, non forma, non contorno, perché senza un metodo rigoroso nessuna impresa può centrare il bersaglio. E il metodo non s'improvvisa: richiede cultura, ascolto, intuizione, pazienza, ma anche particolari doti umane.
A questo proposito, mi ha colpito una sua affermazione, che potrebbe stare in esergo a un manuale dedicato alle virtù dell'amministratore pubblico: «È dal confronto che nasce la sintesi. Quando le situazioni o le riunioni erano particolarmente difficili adottavo sempre il metodo delle approssimazioni successive».
L'espressione rende bene l'idea: la convergenza su un progetto è un lavoro quasi artigianale, richiede limature e aggiustamenti graduali. Alla fine si arriva al compromesso, che oggi noi spesso disprezziamo: in verità in politica cercare un punto d'incontro tra punti di vista diversi è fondamentale, a meno di non voler coltivare una vocazione minoritaria, una purezza che quando va bene si riduce a testimonianza, quando va male diventa isolamento presuntuoso e ininfluente.
Questa però è solo la prima parte del «metodo Postal». Potremmo riassumere la seconda nella formula «ascoltare per decidere». Raccogliere i punti di vista, prestare attenzione alle diverse opinioni non può essere un lavoro infinito: alla fine bisogna scegliere e deliberare, altrimenti la politica si riduce a chiacchiera e a talk show. È una lezione fondamentale anche oggi per tutti coloro che, a livello locale o nazionale, si trovano ad affrontare le sfide impegnative che questo tempo porta in dote.
 
Ecco, se dovessimo racchiudere la Sua esperienza in una definizione, allora diremmo che Lei è stato l'uomo della mediazione, del confronto anche aspro e sanguigno e infine della decisione. Il suo nome non può mancare nella storia dei protagonisti di quell'impresa che fu la costruzione del Trentino moderno, nato da un gioco di squadra, dalla triangolazione serrata, talvolta conflittuale, comunque feconda tra Governo, Democrazia cristiana trentina e Provincia autonoma.
In questa dialettica vivace tra partito e istituzioni, nazionali e locali, Lei ha spesso sottolineato l'importanza della delegazione parlamentare, cinghia di trasmissione (di cui oggi ci sarebbe un gran bisogno) e insieme primo avamposto della difesa di un Trentino che si percepiva speciale sì, ma mai isolato o avulso dal contesto nazionale e comunque sempre inserito in una salda cornice regionale. Non a caso, a chi ancora oggi Le chiede se abbia senso rafforzare i legami tra il Trentino e il Sudtirolo, Lei risponde sempre con un sì convinto: ce lo impone la storia, ci vincola la geografia, ci obbligano le questioni politico-istituzionali. Dunque «senza l'intesa tra trentini e sudtirolesi non si va da nessuna parte». Anche in questo caso, si conferma la Sua propensione a guardare oltre i confini di casa, a intrecciare rapporti piuttosto che a rinchiudersi nella debolezza di una presunta autosufficienza. Trovare un terreno comune anche laddove le distanze sembrano incolmabili: è stato questo il mandato implicito in ogni sua impresa politica.
 
Non sono molti i politici trentini ad aver maturato, dal secondo dopoguerra ad oggi, un ventaglio di esperienze così vasto. Negli anni alla guida della Dc trentina Lei si trova ad affrontare l'alluvione, poi lo tsunami del Sessantotto, la crisi della Regione, il famoso «Pacchetto» che dà il via libera alle due Province paritetiche per competenze, le bombe del terrorismo altoatesino, i grandi cambiamenti di un territorio agricolo che, anche attraverso il piano urbanistico Samonà e la costruzione dell'autostrada, cerca la propria via verso lo sviluppo. E poi l'esperienza a Roma: a 33 anni deputato, a 37 sottosegretario alla Ricerca scientifica e tecnologica.
Dirà, in questa sua veste, parole che suonano ancora attuali in quest'Italia che pare sempre più credulona e disposta a seguire le teorie più strampalate: «Il grave pericolo di un monologo della scienza è il mondo tecnocrate; il grave pericolo di un monologo della politica è il mondo senza ragione, in preda ai mostri dell'ideologia. Da qui la necessità per la politica di operare affinché un nuovo rapporto venga a instaurarsi tra scienza e società, tra il pensiero scientifico e l'uomo».
 
Dopo l'esperienza che l'ha portata ad occuparsi di fisica e attività spaziali, arrivano l'elezione a senatore, la nuova nomina a sottosegretario, prima all'Ambiente, poi all'Interno, e infine l'approdo in Sicilia, commissario sotto scorta della Democrazia cristiana siciliana nella Palermo incandescente dei primi anni Novanta, quelli delle stragi di Capaci e di via d'Amelio. Sono stati 28 anni di attività politica totalizzante, di passione bruciante, interrotti dal crollo della prima Repubblica, uno di quei «tornanti della storia» di cui Lei è stato testimone.
Da quella stagione difficile abbiamo ereditato un Trentino che ha saputo sconfiggere la povertà e che, insieme all'Alto Adige, ha costruito un assetto istituzionale rispettoso della storia e delle peculiarità sociali, culturali e linguistiche di questa terra. Il Suo amore quasi assoluto per la politica l'ha portata a vivere quegli anni cruciali da protagonista e da pioniere di un futuro tutto da costruire. Oggi, dalla presidenza della fondazione Museo storico, Lei continua quell'impegno pubblico che è stato il filo conduttore di un percorso umano inscindibile dalla crescita di Trento e di tutto il Trentino.
 
Gentile Giorgio Postal,
è per queste ragioni che la città intera vuole testimoniare la propria amicizia e la propria stima nei Suoi confronti. È per questo che, raccogliendo le sollecitazioni e l’affetto di numerosi Suoi amici ed estimatori, sono onorato di consegnarLe l’antico sigillo della città: l’Aquila ardente di San Venceslao.
 
Grazie
Franco Ianeselli
sindaco di Trento