Nadia Clementi lo aveva intervistato lo scorso 15 maggio
A fine pandemia, il prof. Andrea Ungar ringrazia i colleghi: la lettera al team
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Si è ufficialmente chiusa la prima fase dell’emergenza Covid-19 all'ospedale di Careggi a Firenze.
Il picco dei ricoveri è stato tra fine marzo e il primo aprile con 163 casi e con un numero massimo di 40 pazienti Covid nelle terapie intensive.
I reparti dedicati al Covid nel periodo di massima necessità, oltre alle malattie infettive sono stati quattro per un totale di 170 letti ordinari oltre ai 44 di terapia intensiva già presenti.
I pazienti sono stati trattati seguendo i protocolli emergenti con varie sperimentazioni.
I decessi sono stati circa il 10% soprattutto anziani e obesi.
Da domenica 17 maggio Firenze ha registrato un drastico calo dei casi di positività con zero contagi.
«Ora la malattia Covid pare non ci sia, ma in autunno dobbiamo solo incrociare le dita e stare attenti ai piccoli nuovi focolai che andranno arginati subito.»
Sono queste le dichiarazioni del prof. Andrea Ungar in servizio dal 1989 presso il presidio l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi (FI) e che abbiamo conosciuto nella precedente intervista dello scorso 15 maggio (vedi).
Per ringraziare il suo Team, il prof. Ungar ha scritto una lettera indirizzata a tutti i colleghi che hanno lavorato ogni giorno a ritmo serrato in questi lunghi mesi di emergenza sanitaria.
Pubblichiamo nel riquadro integralmente il testo, che vuole essere un plauso all'intera categoria di medici, infermieri, OSS e volontari che hanno rischiato la vita per salvare la gente e per cercare di arrestare la pandemia.
Foto di gruppo del team Ungar.
Cari colleghi, Mi è stato chiesto di scrivere qualche nota sulla mia esperienza di Medico in questi difficili giorni di pandemia. Dalla fine di febbraio la nostra vita è cambiata radicalmente. Prima l’incertezza, la paura, i primi segnali… Come fare? Cosa fare? Come proteggersi? Come cambiare l’organizzazione dell’ospedale? In pochissimi giorni lo Tsunami… Senza avere nemmeno il tempo di pensare, la Classe Medica si è trovata a prendere decisioni di portata rilevante, a riorganizzare l’ospedale e l’assistenza. Fasi drammatiche di paura (la mascherina va bene o no? La devo mettere? Sempre? A chi? Quale?). Fasi drammatiche di paura e incertezze: la mascherina basta a proteggerci o no, la devo mettere sempre, quale tipo è più sicuro? Ogni giorno cambiavano le direttive, non per incompetenza ma per la totale mancanza di chiarezza su ciò che sarebbe stato meglio fare. La reazione è stata però davvero encomiabile. Tutti al servizio del nostro Sistema Sanitario Nazionale (beati noi italiani che lo abbiamo, sperando che continui ad assistere tutti come ora ...), senza risparmiarsi in orari, riunioni, assistenza, anche di fronte al pericolo di infezione che, puntualmente, soprattutto nei primi giorni di pandemia, ha colpito medici, infermieri e operatori ancora non protetti. L’ansia cresce in tutti noi ogni giorno che passa, ma si va avanti, non abbiamo tempo per fermarci o pensare alla paura di essere colpiti dal virus. Dopo i primi 10 giorni mi è stato chiesto di aprire, insieme ad altre 2 Unità Operative, una Sub-Intensiva dedicata ai Pazienti affetti da Covid-19. È stato un momento difficile ma pieno di umanità e collaborazione tra i Colleghi dell’Ospedale che, mai come in questo periodo, ho visto lavorare uniti, accomunati da grande senso di responsabilità e dedizione. Mentre si lavoravano 12 ore al giorno per organizzare il nuovo assetto sanitario, nasce la paura in tutti noi operatori… Sarà giusto tornare a casa? Mettiamo a rischio le nostre famiglie? Molti di noi hanno per questo cambiato residenza. Io, grazie all’aiuto dell’amico fraterno Prof. Guido Mannaioni, anche lui impegnato in ospedale e quindi in quarantena volontaria, sono venuto via da casa per proteggere la famiglia ed ho iniziato una nuova convivenza… Tutto è strano, tutto è diverso. Noi medici non abbiamo tanto tempo per pensare perché il lavoro ci porta via tutte le energie e la concentrazione deve sempre essere molto alta. Non ci sono più sabati e domeniche. Non ci sono momenti di riposo. Ogni tanto passo a salutare la famiglia dalla finestra o radunandoci per poco tempo, con le dovute distanze, davanti al cancello di ingresso…che strani momenti…li ricorderò per sempre! La cura dei pazienti affetti da Covid-19 è particolarmente complessa da un punto di vista umano. I pazienti hanno tanta paura e sono soli, nessuno li può andare a trovare… Noi medici dobbiamo essere «scafandrati» e protetti; manca il contatto fisico normalmente previsto nei momenti del ricovero. Ma non manca il rapporto umano. Medici e infermieri fanno sentire la loro vicinanza ai pazienti, malgrado la fatica ed il sudore (quello vero, perché lavorare con la tuta, gli occhiali, tre guanti e le maschere è davvero faticoso). L’empatia che si crea è incredibile e stiamo recuperando il senso profondo della professione e dell’assistenza. Tanti malati, anche colleghi che si sono ammalati e ricoverati, hanno mandato messaggi di ringraziamento, non solo per la professionalità ma anche per l’umanità dell’assistenza che hanno ricevuto nonostante le condizioni necessarie per la sicurezza. Permettetemi per questo di ringraziare i mie collaboratori che sapevo essere fantastici ma che hanno dimostrato qualità assolutamente eccezionali: Andrea, Antonella, Francesca, Francesco, Monica, Samuele (in ordine rigorosamente alfabetico). Grazie di cuore a tutti voi!» Concludo con una riflessione. Nel mio piccolo sono molto contento della scelta di essere medico. Mai come oggi mi sento fiero della mia professione e dei miei colleghi che, insieme agli infermieri e a tutti gli operatori della sanità, hanno reagito in modo eccezionale a questa emergenza, dopo tanti anni di vessazioni e umiliazioni. Ricordiamo che per molti anni la classe medica è stata purtroppo screditata agli occhi dell’opinione pubblica. Io lavoro in ospedale a Careggi dal 1989 e posso dire di aver visto sempre grande dedizione, spirito di sacrificio e senso del dovere verso la nostra missione che, purtroppo, non arrivava nelle giuste modalità alla popolazione. La speranza è che questo momento serva per il futuro ad una riqualificazione della classe medica ed alla convinzione sempre più forte che il nostro Sistema Sanitario Nazionale sia una risorsa da mantenere e rinforzare.» Un caro saluto, Andrea Ungar |
Nadia Clementi - [email protected]