Autonomie di Trento e Bolzano, una storia da rileggere oggi / 8

«Il piano Kessler e l’immobilismo contrapposto» – Di Mauro Marcantoni

Democrazia Cristiana da un lato, Volkspartei dall’altro. L’alba degli anni ’60 si presenta segnata da un rigido immobilismo contrapposto. La Volkspartei, forte dell’appoggio assicuratole dall’Austria, si dichiara disponibile, tuttalpiù, a mitigare la propria opposizione, senza rientrare in Giunta regionale, ma solo a precise condizioni.

Innanzitutto: la sostituzione del Presidente Odorizzi, poiché persona nella quale i sudtirolesi «non potevano avere nessuna fiducia». Poi l’ingresso in Giunta dei socialisti, i quali da tempo, insieme ai socialdemocratici, auspicavano l’apertura di una crisi formale.
Condizioni evidentemente difficili da accettare da parte della DC, anche perché a novembre di quell’anno ci sarebbero state le elezioni regionali e l’allontanamento di Odorizzi avrebbe significato un implicito disconoscimento della precedente politica regionale, mentre l’apertura ai socialisti sarebbe risultata invisa all’elettorato cattolico.
 
In questa situazione di sostanziale stallo, grande risalto ebbe una lettera pastorale inviata ai primi di febbraio dal vescovo di Bressanone, monsignor Giuseppe Gargitter, che ribadiva il «diritto-dovere di ogni popolo di difendere il proprio patrimonio etnico e culturale». Ma nel contempo sottolineava anche i doveri delle minoranze verso lo Stato; approvava e appoggiava la «ricerca di una giusta autonomia», ma biasimava lo spirito eversivo nazionalistico che avvelenava e rischiava di vanificare quella ricerca».
Quello del vescovo di Bressanone era un chiaro monito, rivolto non soltanto al partito di lingua tedesca, ma anche ai cattolici trentini, ad accantonare i motivi di contrasto e a riprendere al più presto il dialogo interetnico.
 
Un primo significativo passo in tale direzione fu la presentazione del cosiddetto «Piano Kessler», un insieme di misure lungamente dibattute all’interno della DC e illustrate da Bruno Kessler, capo-gruppo DC in Consiglio regionale, nella seduta del 26 febbraio 1960, quando ancora viva era l’eco delle parole di monsignor Gargitter.
La novità del Piano Kessler consisteva nelle aperture politiche riguardo agli ambiti di applicazione dello Statuto di autonomia.
Addirittura, venivano proposte delle modifiche allo Statuto, superando così il tabù della sua intangibilità, con lo scopo di garantire, meglio di quanto non fosse accaduto in passato, la salvaguardia dei diritti della minoranza di lingua tedesca: un allargamento della potestà provinciale sulla scuola, l’istituzione del Tribunale Amministrativo Regionale, la partecipazione dei cittadini di lingua tedesca ai pubblici uffici, la delega di nuove funzioni statali alla Regione e alle Province, e una serie di provvedimenti per evitare contaminazioni linguistiche in Sudtirolo.
Veniva però esclusa qualunque ipotesi di soppressione della Regione.
 
Ma il Piano Kessler si poneva anche l’obiettivo del rilancio dell’economia regionale, da attuarsi con mezzi ordinari e straordinari, che andavano dagli investimenti infrastrutturali, a cominciare dall’Autostrada del Brennero (all’epoca ancora in sospeso), al sostegno del credito alle imprese, alla meccanizzazione agricola, agli investimenti nel settore dei lavori pubblici e a una politica di qualificazione della manodopera attraverso un sistema d’istruzione professionale all’avanguardia.
Il Piano rappresentava, di fatto, il primo progetto organico di ripensamento della politica economica regionale ma incontrò, forse proprio a causa del suo carattere innovativo, impreviste resistenze.
 
Tra le prime conseguenze, vi fu il ritiro dell’appoggio alla Giunta da parte dei missini e dei liberali.
Anche la Volkspartei respinse il Piano, attestandosi ancora una volta su posizioni di assoluta intransigenza, con la richiesta di un’autonomia separata per il Sudtirolo.
La Giunta Odorizzi si ritrovò quindi senza una maggioranza e quando, ai primi di maggio, una mozione di sfiducia presentata dai socialisti venne votata da tutti i partiti, a eccezione della DC, l’apertura della crisi divenne inevitabile.
Odorizzi fu costretto, per la prima volta, a dimettersi.
Nelle settimane seguenti le trattative tra la Volkspartei e la DC non portarono ad alcuna soluzione condivisa fino all’8 giugno quando Odorizzi venne rieletto Presidente, con i voti determinanti del MSI.
La Volkspartei ritirò allora i propri rappresentanti dai lavori del Consiglio regionale e la Giunta finì con il rimanere ingabbiata in un sostanziale immobilismo, sia politico che operativo, anche se per un tempo relativamente breve, data l’imminenza delle elezioni regionali nell’autunno successivo.
 
Mauro Marcantoni
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