Ottant'anni fa si consumò l'atroce uccisione dei 7 fratelli Cervi

Fu una rappresaglia mostruosa che non può trovare una minima spiegazione ragionevole. Lo stesso ministro dell'Interno la ritenne un'enormità spaventosa


La famiglia Cervi al completo - Foto Wikipedia.

Il nostro giornale non vuole dare spazio a tutti i fatti di rilievo accaduti 80 anni fa nel nostro Paese, quando infuriava la Guerra Civile.
Da entrambe le parti c’erano gli idealisti e gli sciacalli. E il più delle volte si è trattato di atrocità compiute per vendicare efferatezze precedenti.
Sembrava che nulla avrebbe potuto fermare il vortice di sangue che si era innescato con creazione della Repubblica Sociale di Salò. E infatti i delitti continuarono a lungo anche dopo la fine della guerra, il più delle volte senza un vero e proprio coinvolgimento politico.
Solo l’amnistia e indulto volute da Palmiro Togliatti, allora ministro della Giustizia, e approvate nel 1946 posero fine al sangue fratricida.
Ma quello che accadde ai Fratelli Cervi non va dimenticato e anzi è l’emblema di come una guerra civile risulti spesso fuori controllo. Non vi erano gerarchie in grado di imporre regole, né da una parte né dall’altra.

I Cervi erano una famiglia contadina di Reggio Emilia e per questo numerosa. Come si usava in quei tempi, infatti, nelle campagne servivano tante braccia. Non erano mezzadri ma affittuari, decisi a creare un’azienda modello e un domani, chissà, diventare proprietari. Di certo lavoravano bene, generando - come accade in questi casi - una certa invidia.
Alla caduta del fascismo organizzarono a spese loro una grande festa. Ma ben presto si accorsero che la fine della dittatura poteva richiedere anni e dovettero ben presto adattarsi alla situazione.
Vocati alla resistenza, come tutta l’Emilia, salvarono un’ottantina di persone ricercate dai repubblichini, come renitenti alla leva, militari alleati, accogliendoli nelle proprie disponibilità.

Il 25 novembre 1943 la loro abitazione fu attaccata a sorpresa dalle camice nere che, comandate dal capitano Cesare Pilati, cercavano partigiani. Ci fu una breve sparatoria, ma i Cervi avevano poche armi e pochissime munizioni. Roba da caccia.
I fascisti incendiarono il fienile e ordinarono la resa. I Cervi si arresero e i maschi furono portati in un carcere politico a Reggio Emilia.
Accadde in quei giorni che fu ucciso un alto ufficiale fascista e, nello scontro, sua figlia rimase accecata. Il federale di Regio Emilia riuscì a impedire ogni rappresaglia, annunciando anzi la liberazione dei rastrellati che non si erano macchiati di delitti di sangue. In questo modo attirò la rabbia dei fascisti più estremisti.
E così il 27 dicembre, quando venne ucciso dai partigiani il segretario comunale, i fascisti decisero di fucilare per rappresaglia tutti i prigionieri. Il 28 dicembre avvenne la strage nella quale perirono anche i sette fratelli Cervi.
 
Quando stesero la triste contabilità della strage, si accorsero che si trattava di una atrocità spaventosa, priva di senso per qualità e quantità.
Perfino il Ministro dell’interno repubblichino Buffarini Guidi rimase esterrefatto alla notizia.
«Sette fratelli? – Disse. – Stavolta l’avete fatta troppo grossa.»
Ne parlò a Mussolini, il quale da tempo aveva cercato di evitare episodi di questa assurdità perché non avrebbero portato da nessuna parte, se non verso l’odio incolmabile presso gli stessi italiani. Ma la situazione non era più sotto controllo.
Il federale di Milano disse al Duce che se alla fine venisse fucilato, avrebbe voluto non finire al muro con quei tagliagole che militavano nelle camice nere.
Gli stessi autori della strage provvidero a seppellire i sette fratelli quasi di nascosto nel cimitero più vicino.
Solo l’8 gennaio di 80 anni fa un bombardamento distrusse quel cimitero e nel risistemare le tombe i sette fratelli Cervi vennero identificati.
 
Non vogliamo pensare che cosa provò la loro mamma quando venne informata.
Alla fine della guerra i sette fratelli Cervi furono decorati di Medaglia d'argento al Valor Militare alla memoria.
Originari di Campegine, si chiamavano Gelindo (nato il 7 agosto 1901), Antenore (30 marzo 1904), Aldo (9 febbraio 1909), Ferdinando (19 aprile 1911), Agostino (11 gennaio 1916), Ovidio (13 marzo 1918) ed Ettore (2 giugno 1921).
Riposino in pace.

GdM