Un centenario da celebrare – Di Anna Maria Isastia

Soroptimist International: un volume che vuole essere la memoria e la bussola delle soroptimiste per gli anni a venire: la strada percorsa, i traguardi conquistati

Titolo: Una rete di donne nel mondo. Soroptimist
            International, un secolo di storia (1921-2021)

 
Autrice: Anna Maria Isastia
Editore: Storia e Letteratura 2021
 
Pagine: 360
Prezzo di copertina: € 28
 
Nel primo dopoguerra del secolo scorso, nacquero negli USA vari club di servizio, sia per dare prova di vigore e coraggio dopo gli eventi bellici, sia per sostenere le classi sociali più provate dal punto di vista socio-economico, sia infine per creare legami di conoscenza, amicizia e affari tra soci.
In realtà già nel 1905 era nato il Rotary e aveva mosso i suoi primi passi in California.
Nel 1919 videro la luce un club maschile, il Kiwanis, e lo Zonta, femminile.
Due anni dopo, nell’ottobre 1921, a Oackland, in California, nacque il Soroptimist: contava 85 socie e si basava su tre concetti: la qualità delle socie, professionalmente affermate, l’armonia che doveva regnare fra loro e il servizio, cioè la disponibilità a favorire rapporti pacifici tra popoli, oltre che la promozione delle donne.
 
Nella ricorrenza del centenario, il Soroptimist International d’Italia ha deciso di pubblicare un testo che racconti la storia di questa associazione che è cresciuta per numero di socie e si è evoluta, rimanendo sempre al passo con i tempi che cambiavano.
Ha ricevuto l’incarico di elaborare questa pubblicazione una soroptimista di lungo corso, la professoressa Anna Maria Isastia, che da tempo immemorabile si occupa di donne e di associazionismo e che per due anni è stata Presidente Nazionale dell’associazione, dal 2013 al 2015.
È partita da lontano, dunque ha raccontato la nascita e i primi anni del Soroptimist, da quel club che nel 1921 aderì alla campagna Save the Redwood, per salvaguardare e tutelare le gigantesche sequoie della regione, fino ai giorni nostri, attraversando l’oceano Atlantico e il Pacifico, diffondendosi in Europa e in Oriente, anche in Cina – dove in realtà ebbe vita breve perché fagocitato dalla Rivoluzione.
 
In Europa arrivò nel 1924, a Londra fu fondato il Central London Club, le cui socie appartenevano alle più varie categorie lavorative: c’erano un‘architetta, la direttrice di un college, una produttrice di giocattoli, una ginecologa, una dentista, un’ottica, un’attrice, eccetera. Dall’Inghilterra, il Soroptimist si diffuse nell’Europa continentale e, in Australia, si innestò all’interno di un altro club – il Quota – nato nel 1919.
A Parigi una giovane chirurga estetica, Suzanne Noel, provata da dolorosi lutti, diede un nuovo senso alla sua vita dedicandosi dal 1923 alla conoscenza del Soroptimist e dei suoi principi fondamentali: il 14 febbraio 1924 nacque il club di Parigi, e poi, di anno in anno, seguirono tanti altri club, tra cui, nel 1928, quello di Milano.
 
Naturalmente, molti furono costretti a chiudere quando si affermarono le dittature, mentre le socie inglesi continuarono a riunirsi e le americane mostrarono grande solidarietà morale e materiale, anche inviando fondi per le necessità delle popolazioni alleate.
Nel dopoguerra, la proliferazione dei club continuò praticamente in tutto il mondo, si tennero congressi internazionali (1948 a Harrogate,1952 a Copenhagen, 1958 a Parigi, 1971 a Roma ecc), nacquero le Federazioni in ciascun continente (costituite dalle Unioni) e, grazie all’impegno umanitario delle soroptimiste, il Soroptimist fu ammesso all’Unesco ed entrò a far parte di tutte le agenzie delle Nazioni Unite.
 
Mi è difficile sintetizzare nello spazio di un articolo le 360 pagine di questo libro che spiega con precisione cosa siano Unioni e Federazioni, arrivando a citare l’ultima Federazione, quella Africana, nata solo pochi mesi fa, grazie all’intuizione di due presidenti della Federazione Europea, la greca Nima Koumanakou (1991-1993) e la tedesca Gisela Freudenberg (1993-1995) che al Congresso di Atene del 1987 proposero l’accorpamento dei club africani che facevano riferimento a due Federazioni, quella di Gran Bretagna e Irlanda e quella d’Europa.
Dopo lunghi incontri e complicate trattative, nel 2019, durante la Convention internazionale a Kuala Lumpur, è stata approvata la nascita della Federazione Africana.
 
Isastia dedica molta attenzione ai club italiani, a cominciare da quello di Milano, nato dopo l’incontro tra Suzanne Noel e Alda da Rios Rossi, donna di straordinaria cultura e apertura mentale, capace di parlare in sei lingue, ottima musicista, nota conferenziera, traduttrice abile: nel 1928, dunque, nacque il club che annoverava tra le socie «sorottimiste» (con grafia italianizzata, come i tempi imponevano) la scrittrice Ada Negri, la musicologa Mary Tibaldi Chiesa, la pianista Rina Franco, e tante altre, immortalate nella splendida foto che ritroviamo in copertina.
Ebbe vita breve, però, perché già nel 1934 ne fu imposta la chiusura.
 

 
Passata la guerra, nel 1948 il club rinacque e Alda da Rios Rossi ne fu di nuovo presidente, riallacciando rapporti con le socie europee, tra cui le inglesi che diedero un notevole aiuto al nostro Paese, accogliendo nelle loro case le giovani donne che volevano imparare la lingua inglese, e favorendo la nascita di nuovi club sul territorio nazionale finalmente pacificato.
A Bologna, a Roma e a Firenze i club nacquero speditamente, tanto che nel 1950, a Milano, nella casa di alta moda di Jole Veneziani, i quattro club costituirono l’Unione italiana, la cui presidenza fu affidata a da Rios Rossi.
 
È impossibile per me raccontare la nascita degli altri club, citare le socie più rappresentative o le azioni più significative, ma una parola in più la merita il club di Trieste che nacque il 20 giugno 1951: era una fase difficilissima nella vita di questa città sottoposta al governo militare alleato, confinante con la Zona B controllata dal maresciallo Tito, da cui provenivano i profughi istriani.
Di anno in anno, i club si sono diffusi in tutto il territorio nazionale; il club di Potenza, grato all’Unione italiana del sostegno ricevuto in seguito al terremoto del 1980, ha intitolato ad Alda da Rios Rossi una scuola materna, arredata da artigiani del luogo.
 
Puntualmente, sono stati celebrati gli anniversari della nascita dei club e dell’Unione con grande partecipazione di socie, provenienti da club italiani e stranieri.
I giornali ne hanno dato notizia, sottolineando che le soroptimiste «non vogliono fare concorrenza all’uomo ma raggiungere il medesimo piano della sua condizione di responsabilità» (Giornale d’Italia, 2 luglio 1959).
Nel 1971, per ricordare la nascita del Soroptimist, a Roma il club organizzò grandi eventi per tutte le ospiti: furono ricevute da papa Paolo VI, dal presidente della Repubblica Saragat, dal sindaco Darida; in piazza di Siena, «in loro onore si svolse una edizione straordinaria del celebre Carosello dei carabinieri, mentre nella chiesa dell’Ara Coeli fu eseguita la Petite Messe Solennelle di Rossini. Per loro i principi Colonna diedero un ricevimento nel palazzo di piazza SS. Apostoli e i principi Odescalchi nel castello di Bracciano».
 
Certamente, erano donne privilegiate che mettevano, a disposizione di chi aveva meno, le loro competenze e il loro tempo.
Sul Messaggero leggiamo che erano «delle idealiste, delle donne convinte di poter dare un contributo considerevole, nell’ambito delle strutture politiche e sociali vigenti, alla soluzione dei grandi problemi mondiali, quali quelli della fame, dell’analfabetismo, dell’inquinamento… Non posso dire che non ne sia rimasto alquanto frastornato: anche le soroptimiste sono loquaci, a tratti ciarliere, qualche volta scatenano quel cicaleccio assordante e ossessivo proprio delle donne che si raccolgono all’ora del tè nei romanzi della Compton-Burnett».
 
Anche L’Osservatore romano dedicò tre colonne in prima pagina… titolando il pezzo «Per l’elevazione sociale e morale della donna»; più caustico il commento di Roberto Gervaso sul Corriere della sera del 7 luglio 1971: «La sorella soroptimista è una pugnace paladina dei diritti femminili. Non ha niente però della suffragetta di cui non condivide né gl’isterismi, né i livori rivendicazionisti… non sfoggia eleganza ma si veste con decoro. Se è nata al di là dell’Atlantico indossa di preferenza abiti fatti, scarpe di gomma, impermeabili in tela cerata… tiene a tracolla una macchina fotografica… Spedisce valanghe di cartoline, fuma molto e beve coca cola. La sorella ottimista europea… è più sofisticata… alla coca cola preferisce un buon bicchiere di vino. In comune con la collega degli Stati Uniti, dell’Africa, dell’Asia, dell’Australia ha uno spiccato senso solidaristico e la volontà di migliorare il mondo».
 
In questa occasione così importante, non soltanto i club italiani si autotassarono, ma offrirono, per la serata a Villa Miani, una generosa scelta di prodotti tipici, dal prosciutto di San Daniele del club di Udine ai cioccolatini torinesi, dai confetti di Sulmona alle mozzarelle di Napoli.
In Italia, gli anni settanta e quelli che seguirono non furono facili, neanche per i Soroptimist club: nascevano le Regioni, dunque era necessario che i club cominciassero a lavorare insieme anche su base regionale.
Nacquero gli interclub, (il primo di una lunga serie fu organizzato dai club liguri), le consulte femminili, le commissioni Pari Opportunità, i Consigli delle Donne e le soroptimiste entrarono in queste e in altre istituzioni, in organismi che si occupavano di disabili e di assistenza agli anziani, di istruzione e di ambiente, mentre la presidente nazionale, considerando lo scarso interesse manifestato dalle donne nei confronti dei problemi di vita pubblica, impegnò i club sulla riforma del diritto di famiglia. Era il 1972, la presidente nazionale era Renata Maggioni Malaguzzi Valeri, socia del club di Bari, dove nel 1973 il seminario su questa riforma produsse la presentazione di una mozione al Parlamento.
 
Poi, arrivarono altri temi su cui impegnarsi, il divorzio, la cittadinanza italiana per le donne coniugate con stranieri, l’occupazione femminile e insieme gli «anni di piombo» che inevitabilmente colpirono le socie e i club; ne seguirono una certa stanchezza e qualche contrasto intergenerazionale, per cui dai club più grandi nacquero secondi (e terzi) club nella stessa città, prima a Milano, poi a Roma, a Genova, a Firenze, a Napoli.
Dopo uno sguardo ampio sull’insieme dei club, Isastia procede per aree geografiche, ricorda la nascita del Segretariato permanente, «macchina amministrativa che muove tutta la struttura organizzativa dell’associazione» e descrive tanto l’organizzazione interna e le cerimonie ufficiali, quanto l’attività dei club, i progetti nazionali che da trent’anni e più si rinnovano nella sostanza, nel rispetto della tradizione, come il Corso Bocconi, il Concorso giovani talenti della musica, le borse di studio, i restauri operati dai vari club e anche dall’Unione italiana grazie al Fondo Arte.
 
Negli ultimi decenni, l’Unione italiana ha rivolto la sua attenzione all’Africa, ai progetti di educazione finanziaria, di agricoltura sostenibile, di acqua come bene comune, di maternità responsabile; alla collaborazione con le case circondariali italiane, alla lotta contro la violenza sulle donne, al linguaggio di genere e alla toponomastica femminile, alla condizione femminile; ha stipulato protocolli con Ministeri e Istituzioni, ha creato aule d’ascolto protetto per i minori e salette riservate alle donne che sporgono denuncia di violenza presso Caserme dei Carabinieri e Questure, ha promosso azioni di microcredito, ha diffuso la medicina di genere, ha celebrato le donne del Risorgimento, ha organizzato mostre d’arte con opere di soroptimiste e sponsorizzato la risistemazione di musei (come il Mubaq distrutto dal terremoto in Abruzzo), ha sostenuto con un fondo specifico i club nel cui territorio si erano verificate calamità naturali, ha scelto come testimonial (purtroppo per un solo biennio) la nota schermitrice Bebe Vio… e così via, dimostrando una incrollabile vitalità.
 
Di biennio in biennio, l’Unione ha organizzato convegni con ospiti illustri, ha curato pubblicazioni significative tra cui quella sulla «Fecondazione assistita: il possibile e il ragionevole» con la prefazione del prof. Dulbecco nel 1995, pubblicato i Notiziari e la rivista Soroptimist News/La voce delle donne, con cadenza trimestrale; ha un sito nazionale e ha spinto i club ad archiviare i propri documenti presso Archivi di Stato o biblioteche pubbliche o Musei o Fondazioni, perché non si perda la memoria di ciò che in cento anni è stato faticosamente conquistato.
 
A questo punto, non posso che chiudere questa presentazione, sicuramente non esaustiva, ricordando che di questa associazione io faccio parte da tanti tanti anni, che sono testimone diretta di avvenimenti qui raccontati, che nel Soroptimist ho trovato donne intelligenti, capaci di guardare lontano, sensibili, colte e generose, che mi sono impegnata e mi impegno con dedizione e onestà perché il futuro delle donne possa essere migliore.
Ad Anna Maria Isastia, che ha lavorato senza risparmiarsi perché questo libro raccontasse con completezza i 100 anni del Soroptimist, senza diventare mai noioso, ma sempre ricco di annotazioni e riflessioni, va il mio ringraziamento affettuoso e sincero, e sono certa che a me si uniscono idealmente tutte le socie italiane.