A cinquant’anni dall’alluvione del 4 novembre – Prima parte

Le grandi piogge iniziarono il 1° novembre e iniziarono a intensificarsi il giorno 2

La cartina dell'Università di Trento indica in rosso le aree alluvionali della Vela e in blu quelle della città.
 
Il 6 novembre 1966, cioè due giorni dopo l’alluvione che allagò Firenze, Venezia e il Trentino, il colonnello Bernacca – il più illustre meteorologo dell’Italia di allora – spiegò davanti alle telecamere della Rai il fenomeno che provocò il disastro. E fu l’unico caso che io ricordi di un meteorologo che anziché prevedere il tempo lo descrisse con il senno di poi.
Ma la sua lezione fu chiarissima.
Una Bassa pressione si era venuta a creare nel Mediterraneo e una area ciclonica di media grandezza si era stabilizzata con l’occhio del ciclone sulla Sardegna.
Per tre giorni il medesimo vortice ciclonico andò a scaricare pioggia sulla parte settentrionale del Paese, dopo essere passato sulle terre calde del Sahara.
Due gli aspetti più disastrosi: la stabilità dell’occhio del ciclone che non si spostò dalla Sardegna, mantenendo la persistenza delle precipitazioni sui medesimi luoghi, e l’innalzamento della temperatura delle piogge che si riversarono sulle montagne trentine già precedentemente innevate.
«Queste – concluse Bernacca – le causa di una catastrofe senza precedenti.»
Le Dolomiti orientali, a cavallo tra il Trentino e il Bellunese, fermarono buona parte della perturbazione concentrando così la maggior parte delle precipitazioni.
 
Va precisato che i mezzi di informazione nazionali, allora parlarono solo di Firenze e di Venezia. Ed è triste notare che avrebbero iniziato a parlare nella nostra terra solo cinquant’anni dopo, ma per tutt’altri motivi.
Eppure, il Trentino – certamente meno importante di Firenze e Venezia – attraversò il periodo più brutto della sua storia a memoria d’uomo.
Si sa che il 1° settembre 1757 l’Adige, che ancora correva nel vecchio alveo – via San martino, via Torre Verde, via Torre Vanga – straripò e allagò la città.
E il 17 settembre 1882, l’Adige – da poco più di 20 anni nel nuovo alveo, quello attuale – straripò e invase nuovamente la città. Il fiume nel nuovo tragitto aveva aumentato leggermente la velocità e dopo quell’evento il ponte di San Lorenzo fu sostituito con uno di ferro a campata unica. Crollò poi nel bombardamento del 2 settembre 1943. In sostituzione, i tedeschi costruirono il ponte in legno di San Giorgio in una posizione più protetta dalle incursioni aeree. Il nuovo ponte di San Lorenzo fu ricostruito a guerra finita.
Ma l’alluvione del 1966 raggiunse livelli mai conosciuti prima, come si può vedere dal capitello che riporta le altezze delle acque alluvionali vicino a Torre Vanga (foto seguente).
 

 
Il 1° novembre di cinquanta anni fa iniziarono le grandi piogge anche in Trentino. Il caldo vento di scirocco che le accompagnò sciolsero la neve, caricando velocemente i corsi d’acqua, in particolare quelli che nascono attorno alle Dolomiti di San Martino: l’Avisio, il Cismon, il Brenta, il Bieno, il Chieppena.
Il Noce, l’Avisio e il Fersina si riversarono nell’Adige, che per fortuna era stato risparmiato dall’Alto Adige.
Allora avevo 20 anni, abitavo alla Vela e ricordavo alcune alluvioni di una certa importanza. Sapevo che nel 1942 un violentissimo temporale si era scaricato sul monte Bondone, provocando l’esondazione del torrente Vela e dei corsi d’acqua che passano da Sardagna e da Romagnano.
La Vela e Romagnano furono disastrati e il Genio civile provvide a rifare gli alvei più capaci e più robusti.
Nel 1952 si ripeté la stessa situazione e il torrente Vela esondò in più parti nonostante i lavori che avevano portato l’alveo a cinque metri di larghezza per quattro di altezza. E così la mia famiglia decise allora di dotarsi di un sistema di difesa a sbarramento artificiale che impedisse all’eventuale prossima piena di violentare il nostro abitato e il giardino connesso.
Per fortuna il torrente Vela non ebbe altre piene, fino agli anni sessanta, quando però a preoccupare e a fare i danni maggiori fu il fiume Adige.
 
La parte della Vela che si trova a oriente di via SS Cosma e Damiano, quella attraversata dalla Strada Fonda, è sempre stata a rischio inondazione del fiume Adige. Non era infrequente che in occasione di piene anche non troppo pericolose si formassero i cosiddetti «fontanazzi», che sembravano «geyser» d’acqua creati dalla pressione del fiume che scorreva nel suo alveo al di là dell’argine. Si allagavano le campagne, ma per fortuna non ricordo che ci siano mai state devastazioni di una certa importanza.
Agli inizi degli anni Sessanta, però, l’Adige si innalzò più volte avvicinandosi paurosamente ai limiti degli argini. Nel 1964 il fiume ruppe gli argini a monte della Vela e invase la campagna, allagando le case sulla sinistra del torrente Vela. Il Genio civile in quell’occasione si limitò a tenere sotto controllo il fenomeno, rinviando gli interventi alla primavera successiva.
 
L’anno dopo tuttavia, per quanto sistemato l’argine, il fiume ruppe nuovamente e invase la stessa porzione di terra e di case. Stavolta anche l’allevamento di trote che sorgeva qualche chilometro a monte della Vela venne distrutto e la gente della Vela non perse tempo a catturare i pesci più grossi. Gli anni della fame patita ai tempi della guerra erano ancora nei ricordi della gente e… non ci fu scorpacciata di pesce più imponente di quella volta.
Queste due piene successive, però, avevano allarmato sia gli abitanti della Vela che il Genio Civile. Era indubbiamente un segnale chiaro e forte che non poteva essere preso alla leggera. Una terza piena avrebbe potuto essere disastrosa.
 
Il 2 novembre 1966 le precipitazioni si erano intensificate e la temperatura si era alzata. Alla Vela si respirava aria di alluvione e gli abitanti si prepararono ad affrontarla.
La mia famiglia decise di mettere in atto le difese anti alluvionali per via precauzionale. Fu lasciato aperto solo un piccolo passaggio che consentisse il movimento di un autoveicolo, perché allora il comune non aveva disposto un servizio di trasporto pubblico urbano e pertanto era necessario avere la disponibilità dell’unico mezzo di locomozione disponibile.
Vennero fatte scorte alimentari e ci si preparò al peggio.
Ma nel corso del 1966, l’anno dell’alluvione, era intervenuto un fatto nuovo, imprevedibilmente positivo per la Vela e devastante per la città di Trento.
La società che aveva iniziato a costruire l’autostrada del Brennero aveva cominciato i lavori alla Vela, rinforzando proprio quegli argini dell’Adige che avevano ceduto più volte.
Fu così che la piena del 1966 non danneggiò la Vela, ma ruppe lo stesso gli argini, stavolta a Roncafort, la porta per la città.
 
G. de Mozzi
(Continua domani)