Cosa c’è nel microbioma di quello che mangiamo?

Un team internazionale, coordinato dall’Università di Trento, ha sequenziato i metagenomi di migliaia di alimenti, evidenziandone il ruolo

Microbioma Nicola Segata - ©UniTrento - Ph. Federico Nardelli.

Il cibo che mangiamo contiene microbi che possono influenzare sia la qualità del cibo, sia il microbioma umano, vale a dire il patrimonio di microorganismi proprio di ogni persona.
Fino ad ora, sapevamo però poco sui microbi presenti negli alimenti. Un gruppo di ricerca internazionale coordinato dal Dipartimento Cibio dell’Università di Trento ha creato un database del «microbioma alimentare» con i metagenomi di 2.533 alimenti diversi.
Questo ha permesso di identificare 10.899 genomi di microbi associati al cibo, metà dei quali appartenenti a specie fino ad ora sconosciute. La ricerca ha inoltre dimostrato che i microbi associati al cibo rappresentano in media fino al 3% del microbioma intestinale di una persona adulta e al 56% del microbioma intestinale di un bambino. Lo studio è stato pubblicato il 29 agosto sulla rivista «Cell».
 
«Questa è la più grande indagine sui microbi negli alimenti mai realizzata», racconta Nicola Segata, co-senior author dello studio e microbiologo computazionale dell’Università di Trento e dell’Istituto europeo di Oncologia (Ieo) di Milano. «Ora, potremo utilizzare questi dati per comprendere meglio come la qualità, la conservazione, la sicurezza e altre caratteristiche degli alimenti siano collegate ai microbi che contengono».
 
Tradizionalmente, i microbi presenti negli alimenti sono coltivati uno a uno in laboratorio, con un processo molto lento e non adatto a tutti i tipi di microrganismo.
Per caratterizzare il microbioma alimentare in modo più completo ed efficiente, il gruppo di ricerca di Segata e il team internazionale hanno invece sfruttato la metagenomica, uno strumento molecolare che permette di sequenziare simultaneamente l’intero materiale genetico di un campione alimentare. Complessivamente, sono stati analizzati oltre 2.500 metagenomi provenienti da 50 paesi, inclusi 1.950 metagenomi sequenziati per la prima volta.
 
Attraverso lo studio, sono stati individuati 10.899 genomi di microbi associati agli alimenti, classificati in 1.036 specie batteriche e 108 specie fungine.
Il gruppo di ricerca ha inoltre osservato che alimenti simili tendono a ospitare microbi simili ma non identici, con una maggiore varietà tra i latticini.
Nonostante siano stati individuati pochi batteri potenzialmente patogeni, la ricerca ha identificato alcuni microbi meno desiderabili per l’impatto sul sapore o sulla conservazione del cibo. Queste informazioni potrebbero servire per migliorare la qualità di ciò che mangiamo, ma anche aiutare chi si occupa di regolamentazione alimentare o deve determinare l’identità e le origini di un alimento.
 
«Una cosa sorprendente – continua Segata – è che alcuni microbi sono presenti con funzioni simili in alimenti molto diversi. Allo stesso tempo, abbiamo dimostrato che gli alimenti che provengono da una specifica struttura o azienda agricola presentano caratteristiche uniche. Questo potrebbe aiutare a determinare le specificità e le eccellenze di una singola zona di produzione. Potremmo addirittura usare la metagenomica per identificare gli alimenti provenienti da un determinato luogo e un determinato processo produttivo».
 
Comprendere il microbioma alimentare può avere implicazioni anche per la salute umana poiché alcuni dei microbi che mangiamo potrebbero entrare stabilmente nel nostro microbioma. Per esaminare le sovrapposizioni tra i microbi associati al cibo e il microbioma umano, il team ha confrontato il nuovo database con 19.833 metagenomi umani precedentemente sequenziati. Ne è risultato che le specie microbiche associate agli alimenti compongono circa il 3% del microbioma intestinale adulto e oltre il 50% del microbioma intestinale dei neonati.
 
«Questo suggerisce che alcuni dei nostri microbi intestinali potrebbero essere acquisiti direttamente dal cibo, o che storicamente le popolazioni umane hanno ottenuto questi microbi dal cibo e poi questi microbi si sono adattati per diventare parte del microbioma umano», spiega Segata. «Potrebbe sembrare una piccola percentuale, ma quel 3% può essere estremamente rilevante per funzione e ruolo all’interno del nostro organismo. Con questo database possiamo iniziare a studiare su larga scala il modo in cui le proprietà microbiche degli alimenti influiscono sulla nostra salute».
 
Lo studio è stato uno dei principali risultati del consorzio of MASTER (Microbiome Applications for Sustainable food systems through Technologies and EnteRprise), un’iniziativa finanziata dall’Unione europea che comprende 30 partners in 14 paesi e mira a caratterizzare la presenza e la funzione dei microbi lungo l’intera catena alimentare.
La ricerca è stata sostenuta da Horizon H2020, dal Ministero italiano degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, dal Consiglio europeo della Ricerca, dal National Cancer Institute of the National Institutes of Health, dal Ministero spagnolo della Scienza e dell'Innovazione, dalla Science Foundation Ireland e dall'Irish Department of Agriculture, Food and the Marine.