Il re è nudo e guai a chi lo dice – Di Cesare Scotoni
L’intervento di Giuliano Amato sulla tragedia di Ustica può sembrare fuori tempo massimo. Ma in realtà ha un tempismo chiarissimo e un obiettivo preciso
Proporre una riflessione che abbia la pretesa di un minimo di respiro e l’ambizione di offrire un testo il più vicino possibile ai fatti, in un contesto come quello che caratterizza oggi il nostro Paese non è cosa facile.
Un contesto dove gli inconcludenti predicano convinti la concretezza e gli inviti al realismo politico si fondano su ipotesi soggettive tutte da dimostrare.
Chi scrive questo articolo è un affezionato adepto di quel ramo della Teoria della Conoscenza che è chiamato Costruttivismo Radicale e che si fonda sulla socratica convinzione del sapere di non sapere.
Ovvero noi conosciamo solo alcuni elementi di ciò che vorremmo credere essere una realtà oggettiva, che nella incompletezza dell’informazione di cui disponiamo può offrirci comunque una lettura.
Questa sarà «vera» solo finché le previsioni che ci permetteremo di elaborare su quella avranno a verificarsi.
Quando fossero sbagliate dovremo avere il coraggio di abbandonare la lettura su cui abbiamo sviluppato quella previsione inesatta e cercarne un’altra.
Fare ciò costa fatica. Perché come persone ci si affeziona con facilità a tutto ciò che ci permette di trarre rassicurazione circa il nostro destino.
Quando mi chiesero le ragioni dello scontro in atto nel Donbass ebbi modo di illustrare anche da queste pagine il convivere di ragioni e fini ben distinte tra i diversi protagonisti.
Dove la convergenza di Washington arrivava fino alla sconfitta di Berlino e di quelle ambizioni, Londra e Varsavia ne avevano altre, mentre la Russia voleva che lo scontro minasse l’assetto dell’Alleanza Atlantica ed i francesi facevano una partita tutta focalizzata a rafforzarsi nell’Unione Europea a spese di una Germania che lì aveva aiutato a mettere fuori gioco sia Londra che Roma.
Era scontato che a farne le spese alla fine, assieme all’Ucraina, sarebbe stata l’Unione Europea con le sue ambizioni lascate a metà, dall’Euro, all’esercito, alla Costituzione.
E ovviamente gli otto anni in cui Francia e Germania, a nome dell’Unione Europea, non gestirono gli accordi Minsk II sarebbero stati una pietra tombale su quel Progetto Europeo fatto di sotterfugi e voluminosi equivoci spacciati per trattati.
Scontato che le diverse e mutevoli narrazioni centrate sulla tutela delle minoranze, le aggressioni, le vittorie e le sconfitte di cui i giornali ci hanno pasturato per 18 mesi e su cui astuti mestieranti fingono di costruire le proprie fortune politiche o televisive, in quel quadro generale pesano come piume.
Perché questa premessa? Perché in un’Italia che, con il nuovo governo ha finalmente riavuto dopo anni il ritorno di un ambasciatore USA su Roma e dove una Meloni atlantista e flessibile è stata ricevuta a Washington il 28 luglio scorso al 22 agosto, ha detonato in un silenzio seguito dal silenzio, l’intervista dell’ex Presidente francese Sarkozy.
Fatta dopo le difficoltà francesi in Niger - dove ci sono anche i militari italiani per assistenza - l’intervista in cui, con invidiabile disinvoltura, Sarkozy ha raccontato nel dettaglio come, dopo la gratuita aggressione della Francia agli interessi italiani in Libia e la lettera di Trichet e Draghi dell’estate 2011 al Governo Berlusconi, i governi di Francia e Germania avessero operato ai danni dell’Italia per avere un governo docile nell’accettare la linea Franco Tedesca per una economia continentale centralizzata e pianificata in base agli interessi di quei due Paesi che coincidevano per l’appunto a quelli generali dell’Europa (infranti poi a Kiev nel 2014).
Con la gradita assistenza degli amici italiani della Francia e di Confindustria con il suo giornale.
In un paese normale sarebbero stati convocati gli ambasciatori di Francia e Germania alla Farnesina per chiarimenti e una sollecita Procura della Repubblica avrebbe fatto richiesta al Parlamento per interrogare almeno 2 senatori a vita.
Il silenzio tombale spinse il sottoscritto ad ipotizzare che la triste passività delle Istituzioni potesse significare solo 2 cose.
O che l’attivismo atlantista fosse fine a se stesso e non potessimo più fare alcunché e i francesi ce lo stessero ricordando oppure che i francesi cercassero di indebolire il nostro Paese con la via del minare le Istituzioni alla vigilia di una inevitabile recessione tecnica attesa per inizio ottobre.
Uno strano insistere poi di alcune testate nazionali sulla vicenda del generale Vannacci, montata ad arte su stupidaggini e il collegarla alle responsabilità dell’allora ministro della difesa e oggi Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sulle conseguenze dell’uso di proiettili all’uranio impoverito in Kossovo suggeriva che fosse quello un potenziale obiettivo dell’azione avviata dall’intervista di Sarkozy.
Ipotizzai quindi che riaprendo rapidamente la vicenda Ustica, dove la leggenda di una responsabilità francese fu rilanciata più volte in passato, i francesi volessero invece far emergere responsabilità di altri ed indebolire la presa della NATO sull’Unione Europea indebolendo l’Italia atlantista.
Mi spinsi ad ipotizzare che dovesse accadere entro metà settembre per poter così interferire con le scelte di una finanziaria su cui Parigi e Berlino possono dire troppo.
L’uscita in prima pagina sul giornale La Repubblica di un antico amico della Francia come Giuliano Amato e proprio nei tempi previsti, ci conferma come lo scontro nell’ambito dell’Unione Europea ci veda vicini a Washington, competitor nel contesto dell’Alleanza Atlantica di Londra e avversari di chi rischiò di essere padrone di un’Europa senza un’anima.
Le elezioni del Parlamento Europeo dell’8 giugno prossimo potrebbero essere le ultime a svolgersi in quel modo e ciò è lampante.
Bisogna capire se conviene al Paese un cambio al Colle che le preceda.
O sia invece meglio attendere gli equilibri che seguiranno quella scadenza e saranno assai diversi da quelli che abbiamo oggi.
Certo è che, stando a ciò che si vede, Sergio Mattarella non completerà il secondo mandato.
Il dubbio forse è sul come, ma l’interesse generale vorrebbe uno sforzo di concordia.
Cesare Scotoni