Centenario della Marcia su Roma e il Trentino – Di G. de Mozzi

Prima parte: la situazione in Italia alla fine della Grande Guerra. Nascono le Bande Rosse, seguite dalle Squadre d’Azione

Iniziamo oggi la pubblicazione di sei puntate sulla Marcia su Roma, che avvenne il 28 ottobre di cento anni fa.
Visto che la Marcia ha dato il via al ventennio della dittatura fascista, pubblicheremo una puntata al giorno, per concludersi il 28 ottobre 2022.
Oltre ai fatti nazionali, riporteremo in esclusiva su L’Adigetto.it anche quanto accadde in Trentino Alto Adige in quel periodo.
Per evitare di suscitare l'insano interesse di eventuali nostalgici, abbiamo deciso di non pubblicare immagini.

Il 4 novembre 1918 fu per l’Italia il giorno della vittoria. La vittoria più importante della sua storia, conquistata da sola e senza l’aiuto degli alleati, che in qualche modo soffrirono per essere stati preceduti dall’alleato minore.
Ma l’Italia ne uscì duramente provata, materialmente, economicamente, politicamente e moralmente.
Per tre anni gli italiani erano stati costretti a lasciare le proprie case e le proprie attività per combattere e uccidere, cercando di sopravvivere.
Gli italiani chiamati alle armi furono 5.615.000, dei quali 670mila morirono e un milione rimasero feriti. A questi vanno aggiunti i 24.000 italiani morti combattendo per l’Impero Austro Ungarico, più della metà dei quali trentini.
Vanno poi aggiunti altri 600.000 decessi dovuti alla febbre spagnola, conteggio che non c’entra con la guerra, ma che incise comunque pesantemente sull’Italia di allora.
Il Regno d’Italia si era trovato a dover corrispondere le pensioni ai parenti dei caduti e i sussidi agli invalidi.
In quattro anni il debito pubblico era passato dai 15,766 miliardi del 1914 ai 92,857 del 1918. La lira si era svalutata del 272 percento.
Difficile parlare di vittoria, dunque. Se poi aggiungiamo che gli alleati non mantennero le promesse territoriali fatte per farci entrare in guerra, possiamo dire che l’Italia si trovava nel periodo più brutto della sua breve storia.
 
Il fatto che l’Impero austroungarico fosse stato sfasciato, passando dai 50 milioni di sudditi a 6 milioni di abitanti, non era di consolazione. Cioè non portava benessere alcuno all’Italia, mentre la Francia si era rafforzata al punto da farsi considerare l’unica vera vincitrice della guerra. Tanto vero che fu la Francia a dettare le condizioni di pace che, come sappiamo, avrebbero ingenerato le condizioni per la Seconda guerra Mondiale.
Ma torniamo in Italia. La cessazione del conflitto e il ritorno a casa dei combattenti avevano generato un sacco di problemi. La gente era stufa di dare senza avere nulla in cambio e l’esempio della rivoluzione russa si era fatta strada negli strati più poveri della popolazione.
Non erano tornati a casa solo i soldati, ma anche gli ufficiali e gli arditi. Tutti erano stati addestrati a uccidere ed erano stati obbligati a farlo dallo Stato.
Gli ufficiali di complemento fecero più fatica ad ambientarsi perché erano stati prelevati da un ufficio o dalla loro attività che stava funzionando, che adesso magari non c’erano più, o che al loro posto c’erano altri più giovani o imboscati.
Quanto agli arditi, che corrispondevano alle odierne forze speciali, non sapevano fare altro che combattere, assaltare e uccidere, si consideravano una élite rispetto al resto del Paese. Élite del tutto dimenticata dal Paese per cui si erano battuti.
Per contro, i socialisti odiavano i reduci come se la guerra l’avessero voluta loro e assalivano quelli che ostentavano le decorazioni conquistate sul campo.
 
 Nascono le bande rosse  
Sulla portante della Rivoluzione russa, si erano organizzate migliaia di bande rosse. Non volevano più subire soprusi e, uscendo da una guerra in cui la vita valeva poco, non esitarono a usare la violenza per ottenere quello che volevano.
Già tre mesi dopo la fine del conflitto sorsero le prime organizzazioni proletarie e sei mesi dopo ci fu il primo assalto ai negozi alimentari. Nel corso del 1919 si contarono quasi 2.000 scioperi.
Lo Stato non faceva molto per fermare le scorribande rosse perché, là dove erano state attivate, le azioni delle forze dell’ordine finivano con scontri a fuoco e numerose vittime. Se volevano evitare la guerra civile, era meglio… non fare nulla.
E così le bande rosse si moltiplicarono, soprattutto per depredare i proprietari agricoli - preferibilmente quelli piccoli - per portargli via tutto. E magari ucciderli. Ma si scatenavano un po’ su tutto, distruggendo raccolti, bruciando fienili, uccidendo armenti, picchiando i contadini.
Il 1920 vide le rinunce dell’Italia alla politica estera e, all’interno, dilagavano violenza, devastazioni, attentati, sommosse, scioperi e serrate.
Già il 1° gennaio di quell’anno iniziò in tutta Italia lo sciopero dei tranvieri. Il 14 gennaio cominciò quello postelegrafonico, il 17 quello ferroviario. Non furono semplici astensioni al lavoro, perché scoppiarono conflitti veri e propri, con il sacrificio di molte vite umane.
Da quel momento ogni pretesto era buono per accendere la scintilla della violenza. Il senso della legalità era praticamente scomparso.
 
A Ziano Piacentino, per esempio, l’11 gennaio fu sufficiente una lite in sala da ballo per arrivare a uno scontro politico sanguinoso, che fu sedato solo con l’impiego delle autoblinde.
Lo stesso accadde a Pietrasanta (Lucca) il 6 febbraio e a Ponzano (Firenze) il 22 marzo.
Il 6 marzo a Rimini i vetturini proclamarono lo sciopero perché un loro compagno era stato multato.
Il 23 febbraio, a Pieve di Soligo, si proclama il Soviet e si invade il Municipio. Interviene la forza pubblica e a Treviso si fa uno sciopero generale di protesta.
A Viareggio, durante una partita di calcio, nasce una rissa tra tifosi che si trasforma in una rivolta bestiale che durerà tre giorni. Devono intervenire le truppe da Pisa, Lucca, Massa, Firenze e Carrara. La Spezia invierà addirittura una nave da guerra, che per fortuna non sparò cannonate come invece sarebbe avvenuto a Fiume contro D’Annunzio.
A Roma i postelegrafonici praticarono l’ostruzionismo per punire il governo che non accettava imposizioni. Allora il governo attivò procedimenti disciplinari e in tutta Italia scattarono scioperi, tumulti e conflitti. Le punizioni furono ritirate.
A Bologna, l’11 aprile fu costituito il Soviet.
 
A Roma, al termine di uno sciopero dei tranvieri, le vetture riprendono la circolazione con bandiere rosse applicate dappertutto. Ne nasce uno scontro con la popolazione che finisce con l’assalto alla sede romana dell'Avanti!.
Il 16 febbraio i metallurgici vicentini scioperano e si scontrano con le forze dell’ordine.
Nella fonderia Ansaldo della Liguria, gli operai sfondano le porte, penetrano nella direzione, dichiarano decadute le autorità amministrative ed eleggono un consiglio di fabbrica.
Stessa cosa il 24 aprile alle officine di Villar Perosa, a Torino.
Prosegue così in tutta l’Italia: scioperi degli insegnanti e perfino i becchini. Vero o falso che sia, nelle cronache di allora si legge anche di un comizio svolto dagli accattoni che non ricevevano elemosine sufficienti.
 
Questo accadeva nelle città, ma presto si mossero i contadini, i mezzadri e i coloni.
«Fin qui abbiamo dormito! – Gridano. – Ora ci siamo svegliati e non dormiamo più.»
Da una parte annullano la proprietà privata, dall’altra si invoca la terra ai contadini. Anche quella che è già dei contadini.
Iniziati nel febbraio nel ferrarese, i moti agrari si estendono subito e raggiungono un crescendo rumoroso nel veneto meridionale, nella bassa Lombardia, nell’Emilia, in Toscana e Lazio.
Nel marzo si ha uno sciopero in Piemonte con 150.000 lavoratori provenienti dalle campagne di Novara, Vercelli, Casale Monferrato e Lomellina.
Poco tempo dopo scioperano 25.000 contadini a Pisa. Ne seguono altri a Parma, Firenze, Bologna, Brescia, Bari ecc.
Secondo le meticolose statistiche di allora, gli scioperanti agrari furono 505.128, le giornate di lavoro perdute furono 3.436.829. L’anno successivo furono rispettivamente 1.045.732 e 14.170.001, per un totale di 189 scioperi.
Poiché armi in circolazione ce n’erano ancora molte - e soprattutto granate – le ricolte finivano spesso nel sangue. Si assisteva a un continuo susseguirsi di rivolte, conflitti a fuoco, incendi, ferimenti e uccisioni. Questi ultimi avvennero ad Ancona, Livorno, Milano, Torino, Asti, Cremona, Trieste, Napoli, Trevigiano, tutta l’Emilia e le Marche.
Si dava la caccia al crumiro (chiamato giallo), al proprietario che non cedeva, ai reduci, ai carabinieri.
 
 Nascono le squadre d’azione  
Ovviamente queste rivolte generarono gli anticorpi da parte di chi le voleva contrastare. Cominciarono già il 13 aprile di quello stesso 1919, quando i rossi e gli anarchici fecero una manifestazione unita in chiave genericamente antinazionalista. Ma stavolta scesero in campo gli estremisti di destra, generando scontri con morti e feriti. I rossi, presi alla sprovvista, ebbero la peggio. Ma si riorganizzarono in fretta, tanto che solo due giorni indissero uno sciopero generale.
Anche stavolta nazionalisti, reduci, arditi e quant’altro, contrastarono lo sciopero con determinazione. Entrarono anche nella sede dell’Avanti! Mettendo fuori uso la tipografia del giornale. Ci furono colpi di arma da fuoco e morì un soldato tra i militari che proteggevano il giornale e persero la vita anche tre ragazzi, tra i quali un’operaia di 19 anni.
Mussolini, dal suo giornale, Il Popolo d’Italia, si affrettò a dire che la contromanifestazione «nera» non era autorizzata e precisò che «le azioni patriottiche erano scaturite spontaneamente per contrastare il bolscevismo e per… difendere il proletariato». Bisogna ammettere che Mussolini aveva una bella faccia tosta arricchita da un uso sottile della dialettica politica.
La borghesia iniziò a vedere nelle parole di Mussolini l’unico baluardo contro le leghe rosse, che stavano dilagando un po’ in tutte le città del paese, trasformandosi anche in soviet con l’intento di occupare le fabbriche e le terre.
 
Anche le leghe contadine assunsero sempre più potere e occuparono le terre delle grandi proprietà. Prive di una guida carismatica con precisi obiettivi politici, saccheggiavano tutto, senza una logica precisa. I «Soviet annonari» non interessavano a nessuno.
Nel 1919 le bande sorte per contrastare le scorrerie rosse erano definite genericamente «Squadre d’azione», che di certo contribuirono all’affermazione del fascismo tra il 1919 e il 1924.
In molti casi i membri di queste bande organizzate erano squadristi di antica data, militanti mantenuti in disparte perché poco inclini alla disciplina, ma anche una minoranza variegata e opportunista di disperati, avventurieri, uomini senza altra scelta e perfino ex detenuti per reati comuni.
Per le Bande rosse, però, le «squadre d’azione» costituirono il vero e proprio antagonismo alle loro scorribande. E, con l’affermazione dei Fasci di combattimento, le bande nazionaliste iniziarono a prendere la conformazione di una struttura vera e propria.
Si disse che fu Mussolini a ispirare le iniziative contro le bande rosse, ma qualcuno sostiene che il futuro Duce rimase sorpreso dal sorgere spontaneo del fascismo agrario.

Guido de Mozzi – [email protected]
 
(Continua domani col titolo: «Nascono i fasci di combattimento – Anche in Trentino»)