Nell’estate di 100 anni fa nasceva «La Leggenda del Piave»
E.A. Mario, pseudonimo del maestro Ermete Giovanni Gaeta, scrisse musica e testo della canzone che celebrò la capacità italiana di reagire nei momenti di difficoltà
Foto Museo del Piave.
Tutte le battaglie sostenute dall’Italia dal Risorgimento in poi sono state accompagnate da canzoni popolari nate e cresciute presso i soldati impegnati nei conflitti.
La Grande Guerra ne ha generate parecchie, tutte legate ai momenti più dolorosi per i nostri soldati.
Si pensi alla tragedia del «Monte Nero»:
«Colonnello che piangeva a veder tanto macello/ Fatti coraggio Alpino bello che l'onore sarà per te.»
Oppure agli eroismi sul morte «Pasubio»: «Ma gli alpini non hanno paura.»
O alla terribile canzone dell’Ortigara, «Ta-pum»: «Zimitero de noi soldà/ Forse un giorno ti vengo a trovà».
O alla angosciante «Tradotta», della Prima battaglia del Piave:
«Siam partiti in ventisette/ solo in cinque siam tornati qua./ E gli altri ventidue?/ Sono morti tutti a San Donà».
Molte di queste canzoni si ispiravano a melodie di altre canzoni popolari, adattate apposta per ricordare un tragico evento.
Ma due vennero scritte appositamente per dare coraggio ai soldati nei momenti più difficili per la guerra e per l’intero Paese. La prima fu «Monte Grappa», la seconda fu «La Leggenda del Piave».
Scritta dal generale De Bono, che si era ispirato a una scritta apparsa su una casa in Val Cismon «Monte Grappa tu sei la mia patria», la canzone era destinata a divenire la canzone portante della Grande Guerra, ma aveva il limite di valere solo per quel teatro, il massiccio del Monte Grappa, la V Armata.
E difatti, quando nacque la canzone destinata a rappresentare il riscatto dell’intero Paese nei momenti più difficili, il popolo fece la sua scelta: «La leggenda del Piave».
Le sorgenti del Piave.
Scritta dal maestro napoletano Ermete Giovanni Gaeta, passato alla storia con il nome d’arte E.A. Mario, «La leggenda del Piave» aveva dei pregi indubbiamente al di sopra di tutte le altre canzoni.
Era in corso la gigantesca Seconda battaglia del Piave (15-24 giugno 1918 - vedi) quando l’intero Paese stava trattenendo il fiato in attesa che si compisse il destino, quando E.A. Mario si sentì ispirato e volle contribuire al riscatto italiano. Scrisse di botto una canzone destinata a dare fiducia e coraggio a militari e civili, che divenne il simbolo stesso della capacità italiana di reagire e rialzarsi nei momenti di grande difficoltà.
Come abbiamo visto nelle puntate dedicate alla Battaglia del Solstizio, tutta l’Italia aveva bisogno di credere che ce l’avremmo fatta. La Grande Guerra non era più una guerra di aggressione ma di difesa. L’intero Paese era pronto a reagire. Aveva bisogno solo di una portante comune, E.A. Mario gliela diede.
E.A. Mario (lo chiameremo come voleva essere chiamato lui) scrisse una canzone semplice, in FA Maggiore con quattro strofe senza ritornelli e senza modulazioni, con le quinte dominanti che riconducevano sempre alla stessa tonalità.
Anche il testo era semplice, dove il Piave era un essere vivente come in una favola. Dapprincipio mormorava, solenne ma non felice, poi reagiva indomito a vedere i suoi ragazzi indietreggiare sospinti dal nemico.
Nella prima strofa, il fiume Piave assiste calmo e placido al trasferimento di truppe italiane verso l’Isonzo. Era il 24 maggio 1915.
Poi, recita la seconda strofa, in una notte triste il Piave assistette sgomento alla ritirata di Caporetto, quando il nemico invase il Paese con profughi disperati in fuga che dovevano attraversarlo per mettersi al sicuro.
Nella terza strofa il Piave reagisce e grida il suo «no» all'avanzata dei nemici e la ostacola gonfiando il suo corso, reso rosso dal loro sangue. Con lui anche i fanti reagiscono: «NO! disse il Piave, NO! dissero i fanti / Mai più il nemico faccia un passo avanti». E il nemico si arrestò.
Infine il riscatto. Nella quarta strofa iI nemico è in fuga, respinto oltre Trieste e Trento, riscattando così il sacrificio degli eroi la morte Guglielmo Oberdan, Nazario Sauro e Cesare Battisti.
Nel riassumere in così poche parole la storia della Grande Guerra, E.A. Mario coglie l’aiuto concreto che il Piave aveva dato, sceso in campo a fianco di un’Italia che risorge quando viene aggredita.
E tutte le strofe finiscono con «straniero». L’ultima, addirittura, vede l’Europa: «senza nemici né stranieri». Una lungimiranza che oggi non può sfuggire.
[Vale la pena aggiungere a questo punto un particolare che pochi conoscono: il Piave si gonfiò anche quando furono gli Italiani a passarlo per scacciare il nemico. Come dire che il Piave non gradiva gli assalti, le aggressioni, da qualunque parte arrivassero…]
La tradizione vuole che l’ispirazione della Leggenda del Piave sia nata con la battaglia d’Arresto sul Piave al termine della ritirata di Caporetto e che E.A. Mario l’abbia completata gli ultimi giorni della Battaglia del Solstizio, 23-24 giugno 1918.
Qualcuno sostiene invece che non sia mai arrivata al fronte prima della fine della guerra. Di certo però la canzone conobbe il suo debutto ufficiale circa un mese dopo la battaglia del Solstizo, il 23 luglio, quando la cantante Gina de Chamery la interpretò per la prima volta al Teatro Rossini di Napoli. Per questo celebriamo oggi i cent’anni della Leggenda del Piave.
Da quel momento, per la Leggenda fu un tripudio e divenne presto la Marsigliese italiana. Al posto dell’appello accorato alla gloria dell’inno francese che esortava a scendere in armi (allons enfants de la Patrie/ le jour de gloire c’est arrivé), c’era la sollevazione contro le avversità (no disse il Piave, no dissero i fanti/ mai più il nemico faccia un passo avanti!).
La leggenda del Piave dilagò a tutti i livelli e divenne presto la canzone della Patria degli Italiani. Tutti la cantavano e in tutte le occasioni venne eseguita, anche prima e dopo i concerti. E in tutte le manifestazioni e cerimonie militari.
Per avere un’idea dell’importanza che raggiunse non solo nell’immaginario collettivo ma anche presso le istituzioni tesse, basti ricordare il ruolo che le venne affidato nella lunga cerimonia del Milite Ignoto. Nel corso della traslazione da Aquileia a Roma della salma di uno degli 11 caduti senza nome scelti tra le migliaia dei dispersi in tutte le aree dei fronti, la Leggenda del Piave di E.A. Mario fu l’unico suono autorizzato a rompere il silenzio assoluto prescritto al passaggio nelle stazioni ferroviarie e quella di arrivo del convoglio che lo trasportava.
All’inumazione finale del Milite Ignoto nel Vittoriano di Roma l’inno si mescolò alle campane e alle salve di cannone, segnali di guerra e di pace volutamente mescolati dalle note del Piave.
Confuso tra la folla, nel vicolo Doria che si apre su Piazza Venezia, E.A. Mario seguiva la scena con il cuore gonfio di emozioni. Il Ministero delle Poste, del quale l’autore era dipendente, non era riuscito a trovarlo per fargli avere il posto che gli spettava in prima fila…
Tuttavia venne anche per lui il momento della gloria. Il Ministero della Guerra e il Ministero dell’Istruzione gli offrirono una medaglia d’oro di benemerenza per aver scritto la canzone che meglio interpretava, con il Milite Ignoto, il soldato comune, il soldato di diritto «senza qualità».
Il Re, finalmente accortosi che la Leggenda del Piave dovesse a avere un autore, mosse la Questura di Roma affinché riuscisse a portare E.A. Mario in udienza a Corte.
Quando E.A. Mario volle incontrare Mussolini, invece, il Duce preferì evitarlo facendogli pervenire piuttosto duemila lire di premio per il lavoro svolto creando la più bella canzone della Patria. Mussolini non aveva capito perché voleva incontrarlo.
La Leggenda del Piave venne adottata come inno nazionale provvisorio dal 1943 al 1946, in quanto la marcia del regime fascista Giovinezza era stata abolita e la Marcia Reale era fuori luogo.
Nel 1946 fu Alcide De Gasperi a voler sostituire Il Piave con l’Inno di Mameli.
Tuttora, quando si svolge una cerimonia al Vittoriano di Roma, l’inno che suonano le bande militari è «La Leggenda del Piave».
Guido de Mozzi