Storie di donne, letteratura di genere/ 357 – Di Luciana Grillo
Silvia Albertazzi: «Questo è domani. Gioventù, cultura e rabbia nel Regno Unito, 1956-1967» – A mio figlio Aurelio, londinese di elezione, dedico questa recensione
Titolo: Questo è domani. Gioventù, cultura e rabbia
nel Regno Unito, 1956-1967
Autrice: Silvia Albertazzi
Editore: PaginaUno 2020
Pagine: 224, Brossura
Prezzo di copertina: € 20
È difficile recensire un libro denso come questo che racconta con puntualità gli anni che hanno cambiato il mondo occidentale dopo la seconda guerra mondiale.
Lo sguardo rivolto a quegli anni passa attraverso il cinema, il teatro, la musica, le arti figurative, l’architettura, ma non dimentica gli eventi che hanno lasciato una forte impronta, come la perdita – per il Regno Unito – delle Colonie e le riforme radicali che hanno portato il Regno a severe misure di austerità «non dissimili da quelle del tempo di guerra… Nel decennio 1945-1955, il Regno Unito passa dalla difficile ricostruzione dell’immediato dopoguerra a una ripresa segnata da una crescita esponenziale che… facilita l’emergere di un’utopia politica e sociale destinata a imporsi nel decennio successivo: la liberazione pacifica degli individui attraverso i consumi».
A partire dal 1956, al National Film Theatre di Londra, si proiettano per quattro giorni cortometraggi indipendenti, pellicole che suscitano interesse e curiosità nel «pubblico londinese che, come testimoniano le foto dell’epoca, per vederle si sottopone a estenuanti file al freddo».
È un tentativo di sottrarsi alla televisione che «viene imponendo con sempre maggiore forza il proprio predominio come intrattenimento familiare», mentre grandi eventi come l’invasione sovietica dell’Ungheria, la crisi di Suez, la subordinazione del Regno Unito al potere degli Stati Uniti, il ritiro delle truppe francesi e inglesi dall’Egitto sconvolgono il mondo.
I registi, i romanzieri, i drammaturghi si rivolgono alla classe operaia, ai giovani, alle «persone come individui, non come tipi o portavoce di una classe o di qualche problematica psicologica» e danno quindi vita al rinnovamento culturale che si realizzerà nel decennio 1956-67, alla New Wave – affine alla Nouvelle Vague francese e non lontana dal neorealismo italiano – che racconta una umanità che lavora, soffre, ama, sogna.
Tra questi, si ricordano Osborne e Wesker per il teatro e Lessing, Sillitoe e Braine per la narrativa, mentre le canzonette in voga, «canticchiate distrattamente, ascoltate senza pensare… non pongono né suscitano domande, appaiono quanto mai diseducative, sono uno degli espedienti efficaci per mantenere la gente in uno stato di stordimento apatico».
Solo la musica britannica, però, «si impose in tutto il mondo con i Beatles, quattro ragazzi giovanissimi, che non provenivano dalla buona borghesia e neppure da Londra o dal sud ricco e acculturato, ma erano invece originari, come quasi tutti i personaggi dei film della New Wave e gli attori che li interpretavano, di quel Nord povero che i londinesi tuttora guardano con disprezzo».
I loro fans erano affascinati dalla «leggerezza, il senso di piacere e di divertimento… i Beatles diventarono eroi per i giovani perché non erano rispettosi… erano fiduciosi e divertenti… l’apparente leggerezza non deve trarre in inganno: sotto la forma di una atipica dichiarazione d’amore la canzone tradisce la paura…di invecchiare come i propri genitori», apprezzavano «la possibilità di emergere e raggiungere un successo planetario dei giovani talentuosi dei ceti più bassi» e rappresentarono perciò «il target delle ricerche di mercato dei tardi anni Cinquanta e primi anni Sessanta».
In questo mondo che vive il cambiamento culturale, sociale, economico si inserisce anche una giovane italiana – Lorenza Mazzetti – che ha diretto Together, un film tenero, i cui protagonisti sono due giovani sordomuti che vivono nella Londra dei pub fumosi, in una situazione di evidente isolamento.
L’esempio di Umberto D. non si può non citare.
Dopo il cinema e la musica, arriva il momento della letteratura e il primo autore che incontriamo è il già citato John Osborne, autore di quel Ricorda con rabbia che, a pochi mesi dalla prima, «si impose al grande pubblico, diventando l’opera più popolare del decennio», recuperando il fascino e il rischio della nostalgia e ponendo al centro il male di vivere detto, all’italiana, montaliano.
Quest’opera l’anno successivo - 1957 - fu tradotta in italiano e portata in scena dalla Compagnia Antonioni-Sbragia-Vitti.
Tornando al mondo inglese, mi sembra opportuno sottolineare lo scarso numero delle donne, in qualsiasi campo.
In quello letterario si cita Doris Lessing; in quello artistico, Pauline Boty, detta «la Bardot di Wimbledon», ottima pittrice morta a 28 anni, condannata all’oblio, sia per la sua intelligenza che per aver osato dire: «Mi piace la nudità… L’arte è piena di nudi e io sono un nudo in grado di pensare e discernere. Io sono l’artista in quanto corpo nudo. Io sono il corpo nudo in quanto artista».
E ancora Jann, una delle artiste più bistrattate, il cui lavoro fu oscurato dalla fama del marito, e Bridget Riley, prima donna «artista scelta per rappresentare la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia del 1965 (dove, nel 1968, vinse il Premio Internazionale di Pittura)».
Intanto, si scatenava la crisi dei missili a Cuba, scoppiavano lo scandalo Profumo in Inghilterra e la guerra in Vietnam, John F. Kennedy veniva ucciso a Dallas e una musica nuova scaturiva «dalle sperimentazioni delle art schools», mentre pittori, scultori, grafici e architetti, fra cui gli italiani Facetti e Scannavino, si impegnavano a collaborare sostenendo: «Condividiamo lo stesso ambiente visuale: siamo sulla stessa barca».
A metà degli anni Sessanta, cantano Dylan e Donovan; sul Telegraph Weekend «il giornalista americano John Crosby definiva Londra la città più eccitante del mondo», mentre la rivista statunitense Time nel 1966 dedica la copertina alla Londra Swinging City, «moderna, vivace, alla moda, ma anche trasgressiva, festaiola, edonista…variopinta, chiassosa e allegra, sorta quasi miracolosamente dalle ceneri del grigio universo di nebbia».
John Lennon, nei primi anni Settanta, dopo lo scioglimento dei Beatles, dirà che «non è successo niente, ci siamo solo vestiti a festa… È sempre lo stesso gioco, niente è cambiato … vendono armi al Sud Africa, uccidono i neri per strada, la gente vive in stramaledetta povertà… E io mi sono svegliato. Il sogno è finito».
Tanto altro potrei scrivere, questo saggio mi ha incuriosito, ricordo quei tempi, la musica dei Beatles e le minigonne di Mary Quant… Ho ripercorso le strade e ritrovato luoghi già conosciuti, in qualche modo accompagnata idealmente da mio figlio Aurelio, che a Londra ha vissuto felice gli ultimi anni della sua breve vita e che poco più di un mese fa ci ha lasciato.
A lui, londinese di elezione, dedico questa recensione.
Luciana Grillo – [email protected]
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