Cartoline di Bruno Lucchi: Giuliano Vangi al Mart di Rovereto

Due gli artisti che inconsapevolmente mi hanno spinto verso la scultura, quella che mi caratterizza oggi: Luigi Mainolfi e Giuliano Vangi

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Era l’estate del 1995 e lui era lì. Il maestro. In cuor mio speravo di poterlo incontrare, ma non ci contavo.
Partiti all’alba per essere a Firenze a metà mattinata, 350 chilometri parlando di progetti e di arte.
In viaggio per vedere la sua più importante mostra antologica mai allestita. Con noi gli amici Manuela e Silvio anche loro impazienti di vedere la prestigiosa esposizione a Forte Belvedere.
Nel 1991, dopo un'interruzione di più di quindici anni, avevo ripreso a fare arte e di conseguenza esposizioni.
Sono passati trent’anni dalla mostra Artisti per dopodomani, alla galleria Artiflex di Torino, quando, alcune mie opere sono state pubblicate per la prima volta su di un catalogo d’arte.
 
Oggi, mi piace ripensare a quel titolo premonitore.
Due gli artisti che inconsapevolmente mi hanno spinto verso la scultura, quella che mi caratterizza oggi.
Il primo Luigi Mainolfi conosciuto nel 1987 alla sua personale a Castel Ivano... Fu lì che mi convinsi che un materiale considerato povero come l’argilla potesse essere usata al pari di altri.
Pochi gli artisti che ne fanno uso con tutte le attrezzature e gli spazi adatti per la lavorazione.
Ci vuole l'esperienza di un ceramista nel manipolare questa antichissima materia. In quegli anni dopo aver abbandonato il figurativo, considerato ormai finito, avevo come tutti abbracciato l’astratto.
Realizzavo paesaggi d’argilla, tracce e nuovi Menhir, utilizzando il semi refrattario e la tecnica del colombino (uno dei metodi più antichi di lavorazione dell'argilla, sovrapponendo i cordoncini di creta uno sull’altro creavo volumi tridimensionali come presenze).
 
Frequentando gallerie d'arte e arte fiere ho scoperto le opere di Giuliano Vangi. Artista a tema unico «l’uomo e la condizione umana».
La sua interpretazione contemporanea della figura, abbandonata e bistrattata da tutti, mi ha convinto che c’era ancora spazio di esplorazione nel mondo del figurativo.
E lui, Giuliano Vangi era lì a Forte Belvedere. Conversava con due persone all’interno dell’installazione Uomo nel canneto.
Graziella, Manuela, Silvio e soprattutto io, imbarazzato con la mia Nikon FM al collo, giravamo vicino all’installazione simbolo della mostra.
Cercando il coraggio di chiedergli di fare una foto con me non lo volevo disturbare ma non volevo nemmeno perdere l’occasione di avere una fotografia assieme al maestro, il mio mito.
 
Mentre cercavo il coraggio per realizzare il mio desiderio, lui, il maestro, mi si avvicina e mi chiede (non ricordo le parole precise ma il senso era questo: «Visto che ha un apparecchio fotografico professionale, sarebbe così gentile da farmi una foto con i miei amici con la nostra macchina fotografica?»
Sollevato dall’imbarazzo e felice, risposi che lo avrei fatto molto volentieri chiedendogli a mia volta la disponibilità di fare una foto anche assieme a me.
Fatti gli scatti agli amici e con me si è poi fermato a conversare.
Gli ho raccontato il perché del viaggio a Firenze e di cosa rappresentavano per me le sue opere assieme al mio desiderio di diventare scultore.
La breve conversazione si è conclusa con l’invito a fargli visita nello studio a Pesaro.
Ahimè incontro mai avvenuto anche se, con il senno del poi, forse è stato meglio così. La formazione della mia poetica già comunque influenzata dal forte carattere e personalità delle sue opere, probabilmente sarebbe stata ancora più condizionata da quell’incontro.
 
È uno dei ricordi più vivi che mi porto nel cuore e naturalmente la foto è poi finita in uno dei miei primi cataloghi.
Il processo creativo di Vangi, come per me il disegno, ha un’importanza fondamentale.
È il progetto di partenza per la realizzazione delle opere...molto complesse le sue dove associa, fonde, combina, incastona materiali diverse per realizzare opere policrome in perfetta armonia.
 
Fino alla fine di ottobre le opere di Giuliano Vangi sono esposte al Mart di Rovereto per una mostra voluta da Vittorio Sgarbi che nel presentarlo lo ha definito «il più grande scultore italiano vivente».
Non potevo assolutamente perderla, credo sia l’esposizione più importante in Italia dopo quella di Firenze al Forte Belvedere, sono rare le sue mostre e pensare che in Giappone c’è un museo Vangi privato.
Ancora una volta concludo con il cuore pieno di gioia ripensando alla mostra appena visitata.
 
Vi regalo questa frase, a me molto cara:
«L'arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità» – Pablo Picasso.
 
Bruno Lucchi





























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