Franca Desilvestro, «Arturo libraio di strada» – Di Daniela Larentis
Attraverso le pagine del libro l’autrice racconta la storia di uomo che ha dato una svolta alla sua vita, abbracciando un’idea di libertà – L’Intervista
Franca Desilvestro con Arturo Osti.
Franca Desilvestro è autrice di «Arturo libraio di strada» (Edizioni Reverdito, 2020). Il volume raccoglie una cinquantina di racconti incentrati sui ricordi di un uomo che ha compiuto una scelta di libertà, intraprendendo un’attività tanto poetica quanto difficile, quella del venditore di libri in un chiosco itinerante a cielo aperto.
Dalla sua postazione privilegiata nel cuore di Trento, egli può posare lo sguardo sulla gente che quotidianamente cammina a passo veloce innanzi a lui, avendo occasione di tessere relazioni con chi si ferma incuriosito davanti a questo o quel libro oppure a un vecchio disco in vinile divenuto introvabile.
Le storie affidate a Franca Desilvestro per essere raccontate sono impreziosite da riflessioni personali della stessa autrice, episodi realmente accaduti di individui che vivono in città o semplicemente la attraversano, uomini e donne in transito che, in modi diversi, hanno avuto a che vedere con il lavoro di Arturo: le relazioni sono importanti per chi come lui vive in mezzo alle persone ed è abituato a osservare, nella convinzione che occorra recuperare i valori più autentici dell’esistenza.
Per il «libraio di strada» ogni singolo volume esposto, con il quale entra in relazione dialogica, non è solo un libro da vendere, potenzialmente è una storia da raccontare, fa da ponte fra la sua vita e quella di chi gli passa accanto.
Il suo modo di considerarlo richiama alla mente il pensiero del noto pedagogista Martin Bubber; «l’uomo si fa Io nel Tu» evidenziava il «filosofo del dialogo», teorizzando l’importanza della relazione interpersonale autentica.
Ed è proprio la ricerca di autenticità nelle relazioni umane ciò che interessa ad Arturo e che emerge con forza dalle pagine del libro.
«L’isola di Arturo» con la sua piazza diventa un luogo di relazione, uno di quei luoghi antropologici di cui parla Marc Augè, dove ci si si può riconoscere, dove si comprendono le proprie radici, l’identità di un gruppo.
Alcune note biografiche prima di passare all’intervista.
Franca Desilvestro è nata a Predazzo nel 1962. Da quarant’anni abita e lavora a Trento. Ha lavorato da sempre nel sociale: prima nelle comunità con adolescenti e poi nei servizi all’infanzia.
Da vent’anni si occupa di Nidi familiari - servizio tagesmutter.
Educatrice, amministratrice, pedagogista, counselor, formatrice, direttrice della rivista Smile, componente del direttivo dell’Associazione Donne in cooperazione. Pratica Nordic Walking, ama stare nella natura, leggere e scrivere.
Arturo Osti nato nel 1965 vive da sempre a Spormaggiore. Ha lavorato per trent’anni come agente di commercio e da cinque gestisce il suo negozio senza pareti, itinerante. Interessato fin da piccolo al collezionismo e agli oggetti d’altri tempi, è appassionato di telemark, prima disciplina sciistica dalle origini nordiche – libera il tallone libera la mente – che lui vive intensamente, vestendo capi e usando accessori d’epoca, in armonia con il Gruppo goliardico «le Zoste della Paganella». Nel poco tempo libero ama vagabondare con la sua vecchia moto Guzzi California II.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarli in piazza Fiera a Trento, porgendo loro alcune domande.
Iniziamo con lei, Franca: come è nata l’idea di scrivere «Arturo libraio di strada»?
«Un giorno, attraversando la città mi sono fermata al banco dei libri di Arturo per cercare un libro per bambini.
«Dialogando con lui mi sono resa subito conto che era depositario di moltissime storie di gente comune ma anche di suore, di frati, di personaggi provenienti da contesti diversi con cui era venuto a contatto; lui stesso è una persona che ha scelto di realizzarsi pienamente come uomo e come imprenditore, la sua storia è molto interessante.
«Ho sempre avuto la passione per la scrittura e per le storie vere, così ho iniziato ad ascoltarlo, con le orecchie ma soprattutto con il cuore, e a scrivere. I racconti sono proseguiti anche durante il lockdown; lui lavorava in magazzino, durante le pause mi telefonava e io da casa continuavo a scrivere, questo è un libro che ha preso vita anche in questa modalità.»
Arturo, chi è il libraio di strada di cui l’autrice parla nel libro?
«È un ragazzo nato a Mezzolombardo nel 1965 che vive da sempre a Spormaggiore, Trento. Ha tre fratelli più grandi, purtroppo ha perso i genitori in giovane età. Si è presto fatto una famiglia, ha due figlie che vivono fuori provincia, tutte e due laureate. Sua moglie è un’insegnante, è nata in Sicilia.
«Dopo aver lavorato come agente di commercio in una multinazionale tedesca per molti decenni, decide di cambiare lavoro, assecondando la sua voglia di mettersi in gioco, avvalendosi delle competenze acquisite, soprattutto della capacità di relazionarsi con le persone.
«Diventa così libraio di strada, cerca di posizionare dei cartelli con delle frasi ad effetto, dei segnali che possano in qualche modo attirare l’attenzione delle persone che transitano davanti al banco dei libri.
«C’è chi si ferma solo per osservare, chi indugia più a lungo intrattenendosi a parlare e ad acquistare un libro o un vecchio disco in vinile.
«Quando qualcuno si ferma è già una vittoria, riuscire a catturare l’interesse delle persone è un passo importante, il contatto umano per lui è un nutrimento, chiaramente vendere rappresenta una doppia gratificazione.»
Lei è il personaggio di cui scrive Franca Desilvestro: come è nata l’idea di intraprendere questo tipo di attività?
«A un certo punto della mia vita il lavoro era diventato molto stressante e io non ero più motivato, non affrontavo più con la stessa carica emotiva le giornate, alzandomi al mattino non avevo più lo stesso entusiasmo di un tempo; era anche cambiato il sistema di lavoro, la gestione era diventata sempre più informatizzata, penalizzando la relazione umana.
«Ho quindi deciso di cambiare, dedicandomi a un’attività che mi permettesse di relazionarmi con le persone e che mi offrisse la possibilità di osservarle da un punto di vista privilegiato: davanti alla mia postazione passa gente di ogni tipo, c’è chi passa per lavoro, chi aspetta l’autobus, c’è lo studente o l’anziano che si reca a passeggio in città e perfino chi vive per strada.»
Ritorniamo a lei, Franca: cosa la colpisce della scelta di vita di Arturo?
«Mi colpisce l’idea di libertà che accompagna questa scelta coraggiosa. Lasciare un posto fisso, stabile, remunerativo, per intraprendere un’attività del tutto nuova e particolare allo scopo di dare spazio alle relazioni umane non è da tutti. Di Arturo mi colpisce la franchezza, è una persona molto diretta, senza filtri, autentica. In lui c’è tanta buona educazione, umanità, rispetto.»
Quali sono i luoghi principali che fanno da teatro alla narrazione?
«La città, con le strade che la attraversano, in particolare via Verdi e soprattutto piazza Fiera, parlando di Trento. Ci sono poi altri racconti che conducono il lettore alla scoperta di luoghi lontani, viaggi oltre confine, in quanto ci piaceva trasmettere l’idea di quanto sia bello viaggiare, scoprire nuovi posti, conoscere altre persone e soprattutto sé stessi.»
Con che criterio sono state selezionate le storie raccolte nel libro?
«Ho lasciato che lui raccontasse liberamente ciò che aveva nel cuore, Arturo non è una persona che poi imbrigliare.
«Ho rispettato la sua spontaneità, i racconti non sono esposti in ordine cronologico, sono stati riordinati in un secondo momento dividendoli per argomento.
«Ho voluto dare spazio e visibilità alle donne, un tema che mi è particolarmente caro, ai giovani, offrire una visione complessiva di quella che è la nostra società.»
Mi rivolgo di nuovo a lei, Arturo: l’idea del nome scelto per la sua attività a cielo aperto è «l’isola di Arturo» di Elsa Morante. Può condividere qualche pensiero a tale riguardo?
«Io non avevo ancora letto il libro di Elsa Morante, mi capitò tra le mani un’edizione molto vecchia, l’immagine di copertina raffigurava un grande sole arancio sopra un mare blu, ne rimasi affascinato. Il titolo era perfetto per rappresentare la mia attività, io mi chiamo Arturo come mio nonno.»
Franca, fra i vari racconti c’è la storia del dottor Coraiola…
«Ho un vivo ricordo del momento in cui Arturo mi ha resa partecipe di quell’incontro, emozionandosi al ricordo, era una giornata fredda e ventosa di febbraio.
«È una storia legata alla vita di Arturo e a quella della sua famiglia. Un giorno è passato innanzi al banco dei libri un distinto signore, intento a osservare una cartina geografica della val di Sole.
«Dialogando con lui ha avuto modo di scoprire che si chiamava Coraiola, lo ha riconosciuto, era il dottore che aveva salvato suo padre dall’infarto quando aveva 55 anni.»
A parer suo, cosa può rappresentare un libro in termini emotivi?
«Il libro alla fin fine parla anche di noi stessi. Grazie ad altri va a toccare la nostra sensibilità, fa vibrare questa o quella corda.
«Nella vita si cambia e cambiano anche le letture, a meno che non ci si appassioni a un autore in particolare, riconoscendosi nelle sue parole e nel suo modo di scrivere. Il libro è uno strumento che può migliorare la nostra vita.»
Lo zio Fra’ Berardo conobbe niente di meno che Ernesto Guevara; Arturo, lei ha avuto occasione di conoscere Aleida Guevara, figlia del «Che»…
«Stavo lavorando fuori dalla facoltà di Sociologia, quando sono venuto a sapere che la figlia del Che, Aleida Guevara, pediatra all’Avana, era ospite all’Università di Trento in qualità di ambasciatrice di Cuba.
«Vedendola arrivare, ho approfittato della sua gentilezza per raccontarle dell’incontro fortuito in Bolivia di Fra’ Berardo con suo padre, il noto rivoluzionario.
«Le ho anche mostrato l’adesivo del mitico Che sul mio furgone, raccontandole come lo aveva definito mio zio, un buon uomo che stava dalla parte dei poveri, lei incredula e commossa mi ha abbracciato.»
Torno nuovamente a lei, Franca, e alla sua decisione di terminare il libro con il ricordo di due viaggi…
«Quando Arturo mi ha raccontato la storia dei due viaggi, uno in Norvegia e l’altro in Sicilia, ho subito pensato che sarebbe stato un bel modo di concludere la narrazione.
«Quest’idea del viaggio a conclusione di un percorso di vita, professionale e umano, era perfetto, richiamando l’idea del coraggio, della determinazione, qualità che lo caratterizzano, e anche la solitudine, trattandola da un altro punto di vista, perché non è la solitudine di chi è in strada ma è la solitudine di chi sceglie di viverla pienamente fino in fondo.
«Mentre scrivevo il racconto del viaggio in Sicilia a un certo punto mi sono messa a ridere, c’erano dei passaggi davvero divertenti… chiudere il libro con un velo di leggerezza mi è sembrata una bella scelta.»
Arturo, può condividere un ricordo legato al suo viaggio in Norvegia?
Il viaggio in Norvegia è il sogno di tutti coloro che amano viaggiare in moto, recentemente tre miei amici di Andalo sono arrivati a Capo Nord facendo quello stesso viaggio, mi hanno mandato la foto davanti alla grande sfera metallica di Nordkaap, il punto considerato più a nord dell’Europa. Per arrivare fino lassù, nel giugno del 2000 ho fatto un viaggio di una settimana, senza navigatore, con una moto che aveva già una ventina d’anni all’epoca, una Moto Guzzi California 2 del 1983, attraversando in solitaria le meraviglie naturali e godendo della luce solare, il sole non scende mai sotto l’orizzonte in quel periodo dell’anno.
«Durante il viaggio mi è capitato di incontrare persone davvero speciali; ero a Stoccolma, stavo ammirando le mongolfiere che solcavano il cielo, quando ho notato un’Audi grigia fermarsi lì vicino, dalla quale sono scese due persone.
«Ricordo con grande piacere l’incontro con questa coppia sulla sessantina che dopo aver chiacchierato a lungo con me mi ha generosamente ospitato a casa, offrendomi un comodo letto nel quale poter dormire e una colazione che ho trovato pronta al mio risveglio.
«L’uomo e la donna mi avevano infatti avvisato la sera prima che sarebbero usciti presto al lavoro, chiedendomi dove avevo intenzione di arrivare con la mia moto e sorridendo increduli innanzi alla mia dichiarazione di voler raggiungere Capo Nord, ero infatti circa a metà strada e avevo ancora da percorrere 2.500 km per arrivare alla meta!
«Al mattino, dopo aver riordinato, ho lasciato sul tavolo un biglietto con il mio indirizzo e l’augurio di ricambiare in Italia la loro ospitalità.»
Franca, ha dei progetti editoriali futuri di cui vuole fare un accenno?
«Sto raccogliendo il materiale per il prossimo libro, nuove storie, nuovi incontri sempre legati ai racconti di Arturo, in un arco temporale di un anno. Ho in mente una struttura diversa, vorrei introdurre riferimenti letterari e collegamenti con la realtà.»
Daniela Larentis – [email protected]