La Russia è in crisi per il crollo di rublo e petrolio

La scarsa differenziazione del sistema economico post-sovietico è un vistoso tallone d’Achille per la Federazione

Lo scorso martedì sui mercati finanziari si è registrato un attacco speculativo senza precedenti nei confronti della Russia.
Già in fibrillazione a causa delle sanzioni occidentali, del crollo del prezzo del petrolio e dell’assertività del Cremlino riguardo la crisi ucraina i mercati finanziari non hanno accolto con favore la misura straordinaria decisa dal consiglio d’amministrazione di Bank of Russia, l’istituto di credito nazionale, che ha portato i tassi d’interesse dal 10,5 al 17%.
L’effetto, opposto a quello auspicato, è stato quello di diffondere il panico sui mercati internazionali, che hanno reagito scatenando un crollo delle quotazioni del rublo e del listino azionario espresso in dollari americani.
Nel giro di poche ore il cambio rublo-dollaro ha toccato quota 100, facendo segnare il massimo storico degli ultimi anni, e la Borsa di Mosca ha registrato perdite pesanti, arrivando a cedere sino al 17%, la peggior perdita dal 1998.
La Banca Centrale, di concerto con il Governo, ha evitato un ulteriore peggioramento della crisi valutaria iniettando cospicue quantità di valuta pregiata nel mercato per riequilibrare il cambio rublo-dollaro e rublo-euro, riuscendo a rassicurare momentaneamente i mercati.
 
Anche i moderati toni del Presidente Vladimir Putin nel corso della tradizionale conferenza stampa pre-natalizia dello scorso 18 dicembre hanno avuto l’effetto di tranquillizzare momentaneamente i mercati, che tra mercoledì e giovedì hanno fatto rimbalzare il listino azionario moscovita e ridotto i tassi di cambio del rublo.
L’incognita più pesante che però permane nei confronti della stabilità economica e finanziaria del Paese è però per quanto le istituzioni di governo riusciranno a tamponare questa vera e propria emorragia di capitali e liquidità, dato che dall’inizio della crisi in Ucraina - e quindi dell’isolamento sui mercati finanziari della Russia - la Banca Centrale ha già dovuto bruciare più di 100 miliardi di dollari di riserve valutarie per stabilizzare la moneta nazionale e ricapitalizzare le banche, sempre più con l’acqua alla gola per effetto delle tensioni sui mercati.
Come evidenziato dallo stesso Presidente Putin, l’economia russa è troppo dipendente dall’esportazione di materie prime (oltre il 70% dell’export nazionale), connotandosi come un’economia di tratta (un sistema economico che esporta materie prime e importa prodotti finiti).

La scarsa differenziazione del sistema economico post-sovietico è un vistoso tallone d’Achille per la Federazione, che è tra l’altro sprovvista di un polo tecnologico all’avanguardia e di un polo finanziario di rilevanza globale.
Di conseguenza, l’economia russa, pur godendo di asset rilevanti dal punto di vista delle risorse, ha importanti deficit strutturali, che se non saranno colmati rapidamente continueranno a rappresentare fattori di vulnerabilità politica per l’establishment al potere, come ha ampiamente dimostrato la recente storia del Paese, tanto nel 1990 quanto nel 1998.