Italia-Libia./ 1 – Chiusa un’avventura cominciata 97 anni fa
Le tappe della nostra avventura coloniale libica. Prima parte: 1911-1932
In seguito agli accordi sottoscritti
in questi giorni da Berlusconi e Geddafi, con i quali si è chiusa
una vertenza che risale al periodo coloniale del nostro Paese, è
cresciuto considerevolmente l'interesse sul nostro recente passato
e sugli eventi che accaddero nella prima metà del XX secolo. In
effetti, la gente ne sa poco, anche perché la nostra storia
ufficiale ha preferito parlarne poco, a cominciare dai libri di
scuola.
Per questo abbiamo deciso di pubblicare un articolo che potesse in
qualche modo inquadrare l'intera problematica.
La «Grande Jamahiriyya Araba di Libia Popolare e Socialista», o semplicemente Libia (in arabo: ?????), è lo Stato del Nordafrica confinante a nord con il mar Mediterraneo e compreso tra l'Egitto a est, il Sudan a sudest, il Ciad e il Niger a sud e l'Algeria e la Tunisia ad ovest. La sua capitale è Tripoli. È grande come metà Europa. È Abitata per soli 300 chilometri dalla costa, il resto è un immenso giacimento di gas naturali e petrolio coperto dal deserto più grande del mondo: il Sahara. |
La campagna italiana di Libia si riferisce ai combattimenti che si
sono svolti sul territorio libico nell'ambito della guerra
italo-turca, tra le forze militari del Regno d'Italia e dell'Impero
Ottomano tra il 28 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912, quando le
ambizioni colonialiste dell'Italia avevano spinto il Paese a
impadronirsi delle province ottomane di Tripolitania e Cirenaica
che, assieme al Fezzan, sono oggi note con il nome di Libia, lo
stesso nome che i Latini avevano dato a quella grande regione
africana.
Le condizioni che portarono alla Guerra di Libia
Con l'apertura del canale di Suez (1869) il Mediterraneo aveva
riacquistato in parte l'importanza strategica che aveva perso nel
XV e XVI secolo con l'apertura delle rotte per le Americhe e del
capo di Buona Speranza per collegare l'Estremo Oriente con i
mercati dell'Europa. Di conseguenza era aumentata anche
l'importanza strategica dell'Italia, in quanto potenza in grado di
tenere sotto controllo il traffico marittimo del Mediterraneo,
condizionando le rotte delle navi che passavano il canale di Suez
dirette a Gibilterra. Tuttavia, per l'Italia l'unico modo di
garantire questa rilevanza strategica era quello di avere il
controllo, almeno parziale, dell'Africa Centro Settentrionale.
Il «naturale» territorio d'oltremare per l'Italia (la cosiddetta
Quarta Sponda) era la Tunisia, sia perché più vicina
geograficamente, sia perché proprio con la costituzione del Regno i
rapporti si erano sviluppati considerevolmente
con Tunisi. E invece, nel 1881 la Francia ci aveva preceduti con un
rapito colpo di mano, mettendo così un freno al pericolo potenziale
che il nostro giovane stato poteva rappresentare controllando il
canale di Sicilia. I rapporti tra Italia e Francia si incrinarono e
il re Umberto Primo aveva colto l'occasione per avvicinarsi agli
imperatori di Germania e di Austria Ungheria. Singolare come il
figlio di Vittorio Emanuele Terzo avesse voluto frequentare il
secolare nemico di suo padre, ma tant'è, a volte la storia lascia
perplessi anche i più sottili osservatori.
Comunque sia, con l'Inghilterra che presiedeva Gibilterra e Suez, e
la Francia che condizionava l'Africa Nord-Occidentale, all'Italia
oramai non «restava» che la Libia. Ma non è un discorso cinico
questo, come può sembrare all'occhio di oggi, per una serie di
logiche pragmatiche consolidate in quel periodo storico. La prima
era data dal fatto che Francia, Germania, Inghilterra e, sia pure
in decadenza, la Spagna, si erano già spartiti quasi tutta
l'Africa. Inoltre, se restare a guardare gli imperialisti europei
che si spartivano il mondo era autolesionismo, dall'altra i
cittadini dell'Africa (soprattutto settentrionale)
desideravano essere colonizzati dagli stati europei. Per
capire meglio la situazione, si provi pensare a quanto poteva
essere arretrata l'amministrazione del fatiscente Impero Ottomano
rispetto a dei paesi europei che avevano appena attraversato due
rivoluzioni industriali, aveva fatto invenzioni incredibili come le
ferrovie e il telegrafo, le automobili e l'aereo, per non parlare
delle armi automatiche e delle comunicazioni via radio.
Insomma, la Tunisia avrebbe proprio «gradito» essere colonizzata
dall'Italia, ma il nostro governo si era perso per strada e si era
fatto precedere, come abbiamo visto, dalla Francia.
Verso la guerra
Da quel momento la Libia cominciò a sentirsi osservata da Roma, ma
dobbiamo precisare che questo Paese apparteneva all'Impero Ottomano
e che i Libici non avrebbero gradito che un qualsiasi paese europeo
mettesse piede sui territori della Tripolitania, della Pirenaica e
del Fezzan.
E infatti, dagli inizi del '900 la Libia era divenuta oggetto di
particolari attenzioni da parte della politica estera italiana, che
aveva in qualche modo optato di avviare in quel Paese i rapporti
commerciali che in Tunisia avevano dato buoni frutti ad entrambe le
parti. Erano stati stipulati trattati di amicizia e si era
iniziata
da qualche tempo una penetrazione pacifica in Libia istituendovi
consolati, uffici postali, scuole, ambulatori, agenzie di banche
molte imprese. Ma la penetrazione pacifica non aveva dato nessun
utile risultato, anzi era servito solo a mettere sull'avviso il
Governo turco e ad indurlo ad ostacolare ogni altra azione
italiana.
In Italia il governo era presieduto da Giovanni Giolitti
(nel ritratto di
fianco), politico discusso ma sicuramente abile, che aveva
sfruttato una serie di incidenti minori per avviare una campagna di
stampa ostile alla Turchia (Corriere della Sera compreso),
appoggiata dagli ambienti industriali e finanziari.
Invece in Turchia stavano cominciando i terremoti politici che alla
lunga avrebbero portato alla fine del sultanato e alla
instaurazione della Repubblica di Kemal Atatürk (letteralmente:
Padre dei Turchi). Nel 1908 il regime imposto dalla
Rivoluzione dei Giovani Turchi non era ancora stabilizzato e,
soprattutto nei territori dell'Impero esterni alla penisola
anatolica (Balcani, Medio Oriente, Arabia e Nord Africa), erano
presenti forti componenti irredentistiche indigene. Insomma, la
Libia avrebbe volentieri acquisito l'indipendenza dalla Turchia, ma
non certo per passare sotto un dominio europeo.
Prima dell'inizio della guerra, in Italia si manifestarono forti
correnti interventiste, con una convergenza di interessi fra la
borghesia settentrionale, che vedeva un intervento come
un'occasione per allargare i mercati per i prodotti agricoli e
soprattutto industriali, e il proletariato agricolo del sud che
vedeva nella Libia, descritta come terra generalmente fertile,
un'occasione per ridurre la piaga dell'emigrazione. Per l'occasione
fu addirittura scritta una canzone, «Tripoli bel suol d'amore», che
veniva cantata in tutti i teatri.
Quello era il clima della Belle Epoque. Si pensi che il Partito
Nazionalista venne fondato nel 1910, con l'appoggio soprattutto dei
futuristi, che vedevano la guerra come «sola igiene del mondo», che
i localismi irredentistici stavano per condizionare la storia del
mondo (Turchia compresa, come abbiamo visto), e che la spinta
imperialista soffiava su tutto il mondo europeo e americano. A
questa spinta verso la guerra si aggiunsero anche voci
precedentemente insospettabili, come il poeta Giovanni Pascoli,
che, infiammato dalla propaganda che circolava in Italia, scrisse,
parlando dell'Italia che «la grande proletaria si è mossa».
Contrapposti a questi entusiasmi erano sia i dubbi espressi da
Salvemini, che definì la Libia «uno scatolone di sabbia», sia
l'opposizione molto più netta di alcune correnti dei socialisti,
che rifiutavano la guerra soprattutto per motivi ideologici,
capeggiate da Benito Mussolini e dall'ala estrema repubblicana
guidata da Pietro Nenni. Quello stesso Mussolini che pochissimi
anni dopo sarebbe sceso in piazza a favore dell'intervento nella
Grande Guerra.
La guerra
Nell'agosto del 1911 i rapporti con la Turchia erano diventati
estremamente tesi; la stampa turca minacciava l'espulsione di tutti
i sudditi italiani dall'impero ottomano e la proclamazione della
guerra santa.
La situazione precipitò quando si seppe che partiva da
Costantinopoli il piroscafo turco Derna carico di
munizioni diretto a Tripoli. Il 23 settembre il Governo italiano
consegnò al Governo turco una nota in cui protestava vivamente per
le angherie cui erano soggetti a Tripoli gli Italiani e avvertiva
che sarebbe considerato atto gravissimo l'approdo a questa città di
trasporti militari.
Alla nota italiana, la Sublime Porta rispose che la Turchia era
disposta ad accordare all'Italia qualunque concessione economica
compatibile con la dignità del Paese, ma intanto il 25 i capi arabi
tripolini telegrafavano al Governo inglese pregandolo di
intervenire per impedire l'occupazione italiana e il giorno dopo
approdava a Tripoli il Derna, facendo precipitare gli eventi.
Il giorno 28 settembre, in seguito ad un incidente minimale,
l'ambasciatore italiano a Costantinopoli consegnò alla Sublime
Porta un ultimatum che, per dichiarazione degli stessi nostri
diplomatici, «fu compilato in modo da non aprire strade a qualunque
evasione e non dare appigli ad una lunga discussione che dovevamo
ad ogni costo evitare». Il termine per accettare le condizioni
dell'ultimatum era di sole 24 ore.
L'incredibile di questa fase è che la risposta turca fu
estremamente accomodante, ma… giunse con un ritardo di due ore,
quando già era avvenuto il primo scontro bellico.
La guerra era cominciata per la precisione alle ore 14 del 29
settembre 1911, quando il capitano di fregata Guido Biscaretti, che
si trovava al comando di un gruppo di cacciatorpediniere, incrociò
la torpediniera turca Tocat. Due nostri cacciatorpediniere,
l'Artigliere e ol Corazziere la presero a
cannonate, facendola incagliare in fiamme.
Nella foto, un reparto da sbarco della Regia Marina. La
Marina Italiana giocò un ruolo molto importante in tutto il
conflitto.
Per le operazioni in Libia il Regio Esercito mobilitò un Corpo
d'armata appositamente costituito allo scopo, su due divisioni per
un totale 34.000 uomini, comandato dal generale Carlo Caneva. Le
novità di un esercito moderno (e il nostro aveva cominciato a
diventarlo all'indomani della dura sconfitta di Adua) consistevano
nelle dotazioni di cannoni, mitragliatrici, radiotelegrafi,
motorizzazioni e aeroplani. Le forze vennero poi aumentate nel
corso del conflitto, sulla base dei problemi riscontrati.
Nel corso di questa guerra, l'Impero ottomano ovviamente era
gravemente svantaggiato, non solo perché lontano dalle nostre
tecnologie, ma anche perché poteva rifornire il piccolo contingente
di circa 4.000 uomini (una divisione) di stanza in Libia solo
attraverso il Mediterraneo, e la sua marina non era certo in grado
di competere con la Regia Marina Italiana. Tuttavia, se Istanbul
non fu in grado di inviare rinforzi alle province d'oltremare, ci
riuscì il Kaiser che fece passare più di un piroscafo carico di
munizioni e armi individuali, quali i fucili mauser.
D'altronde le grandi nazioni europee erano certe che l'Italia dal
punto di vista militare fosse ancora inefficiente come avevano
avuto modo di vederla nel corso della Terza Guerra d'Indipendenza e
nella campagna d'Abissinia. Come vedremo, dovranno ricredersi.
Le operazioni belliche vennero svolte dal Regio Esercito con una
certa professionalità e, nonostante errori che oggi possono
sembrare inconcepibili, la guerra fu sempre sotto controllo.
Ma, a dispetto delle previsioni, la popolazione araba locale non si
era schierata dalla parte italiana e la guerriglia cominciò
praticamente subito. La reazione da parte dei nostri ufficiali fu
come quella degli altri eserciti coloniali: rappresaglie e
fucilazioni.
Altra insidia non prevista fu il colera. Già presente a Tripoli fin
dal 1910, l'epidemia imperversò fino a fine dicembre, con 1.080
militari italiani colpiti, dei quali 333 morirono.
Non vogliamo qui parlare delle operazioni militari in dettaglio,
rinviando piuttosto a varie pubblicazioni (anche bellissime)
scritte da persone molto ben documentate, preferendo inquadrare gli
aspetti politici.
Il 5 novembre le due regioni libiche furono poste sotto la
sovranità del Regno d'Italia, con un decreto di annessione che
suscitò reazioni negative da parte delle potenze europee e del
Parlamento italiano. L'Italia stava sconvolgendo lo scenario
internazionale con iniziative che costituivano solo cattivi esempi
in un mondo a due passi dalla guerra totale. La diplomazia
internazionale si mosse come nelle altre crisi pre-belliche
(Marocco e Balcani), fece pressioni a Roma e Istanbul affinché le
parti si sedessero a un tavolo di pace.
La pace di Losanna
L'Italia era piuttosto impantanata nella guerriglia ma, come
abbiamo visto, non a causa dei Turchi, quindi accettarono di
trattare. La Turchia invece voleva subito chiudere la partita, ma
non a tutti i costi. Quando parve chiaro che la Turchia non aveva
nessuna intenzione di riconoscere le annessioni italiane, Giolitti
diede il via alle operazioni navali italiane nel mar Egeo per
portare la guerra nel cuore dell'Impero. In maggio, truppe
italiane, al comando del generale Giovanni Ameglio, sbarcarono a
Rodi e nelle altre isole del Dodecanneso. Poco dopo la Regia Marina
mandò una squadra di cacciatorpediniere a bombardare i forti turchi
dei Dardanelli, operazione che generò sorpresa e ammirazione in
tutto il mondo. L'Italia si era presentata sulla scena mondiale
come una nazione moderna e non più adolescenziale.
A quel punto Vienna e Berlino capirono il pericolo che avrebbe
potuto costituire una Turchia dimostrata incapace di difendere gli
stretti, sollecitando così i mai sopiti appetiti dello Zar, e
intervennero diplomaticamente sulla Sublime Porta. La Turchia,
nell'impossibilità di rispondere efficacemente sul piano militare e
isolata sul piano diplomatico, accettò di aprire trattative di pace
che cominciarono a Losanna il 18 ottobre 1912. L'accordo prevedeva
la rinuncia da parte italiana delle isole dell'Egeo in cambio del
ritiro dei funzionari turchi dalla Libia, che la Turchia si
rifiutava di cedere formalmente. Poiché i turchi continuarono a
mantenere presidi in Cirenaica, l'Italia non cedette Rodi e il
Dodecanneso, dove al contrario forze di occupazione rimasero sul
posto anche durante la prima guerra mondiale.
Con il trattato di Losanna del 1923 le isole furono poi assegnate
ufficialmente all'Italia, e sarebbero rimaste colonia italiana fino
al 1945, ufficialmente come forza di inter-posizione tra Turchia e
Grecia.
Le guarnigioni turche in Tripolitania si arresero all'atto della
pace e furono rimpatriate in parte da Tripoli ed in parte
attraverso la Tunisia. Invece le guarnigioni della Cirenaica,
guidate dal bellicoso Enver Bey, che aveva giurato di continuare la
guerra anche contro i decreti del governo centrale, tergiversarono
e furono mantenute.
Le popolazioni arabe della Cirenaica non si rassegnarono al fatto
compiuto e proseguirono azioni di guerriglia contro gli italiani,
che a causa dello scoppio della Grande Guerra dovettero mantenere
un basso profilo militare.
Negli anni successivi alla guerra mondiale fu necessaria
un'operazione di ripristino della sovranità italiana che durò per
tutti gli anni venti. Il controllo italiano sul territorio rimase
circoscritto sino ai tardi anni venti, quando le truppe al comando
del generale Pietro Badoglio e di Graziani intrapresero una serie
di campagne volte alla pacificazione dell'area che divennero presto
una repressione brutale e sanguinosa. La resistenza libica fu
soffocata definitivamente solo dopo l'esecuzione del capo dei
ribelli Omar al-Mukhtar (nella foto bianco
nero) il 15 settembre 1931. Il 4 gennaio 1932, ad
Ankara, fu firmata la convenzione fra Italia e Turchia per regolare
la sovranità di alcune isole dell'Egeo.
Commmento a conclusione della prima parte
Le reazioni italiane a quello che considerarono un «tradimento»
degli arabi, schieratisi con i turchi, furono assolutamente
sproporzionate. Effettivamente gli italiani pensavano di essere
accolti dagli arabi come «liberatori», ma questa era un'idea
presuntuosa prima ancora che sbagliata. Se i Tunisini pensavano che
con la colonizzazione del loro paese potesse rappresentare la loro
entrata in Europa, i Libici pensavano al contrario che gli Europei
volessero entrare in Africa tramite il loro Paese.
E loro invece volevano solo essere lasciati in pace, liberi, senza
Turchi né Italiani in casa.
(Continua)