Un salvagente alle problematiche che non esistono
Avvocata? Assessora? Fossero tutti qua i problemi della disparità di genere…!
Il nostro giornale ha sempre portato avanti con convinzione il discorso sulla parità di genere, tanto vero che abbiamo una pagina fissa dedicata alla questione e la nostra giornalista Luciana Grillo pubblica ogni settimana recensioni di libri scritti esclusivamente da donne. Tuttavia, ogni volta che sentiamo parlare di linguaggio di genere rimaniamo perplessi.
Da una parte ci pare davvero cacofonico sentir parlare di «sindaca» o «assessora», così come ci sembrerebbe strambo che un redattore venisse maschio chiamato «giornalisto» o un aviatore «piloto».
Dall’altra ci pare che questo sia un argomento non proprio in cima alle priorità della problematica.
Tutto questo lo diciamo ispirati da un dialogo intercorso a distanza tra l’assessore (assessora?) Stefania Segnana e la presidente (presidentessa?) della Commissione per la Pari Opportunità Paola Maria Taufer.
La prima sostiene che si tratti di una forzatura linguistica tipica della «ridondanza», cioè l’«eccesso dialettico non necessario in quanto la sua assenza non modificherebbe il senso del significato».
La seconda ritiene doveroso modificare la desinenza delle parole, «così come vuole la stessa Costituzione Italiana», precisando che, se le cariche importanti sono nate sotto il segno maschile, è giunto il momento di cambiare.
Aggiungiamo che, anche se destre e sinistre stanno cercando di appropriarsi di una tesi o dell’altra, la questione è puramente legata alla naturale evoluzione della lingua.
Infatti una lingua, non solo quella italiana, è una forma di espressione dinamica, per cui ogni novità che entra nell’uso corrente va certamente adottata dalla grammatica ufficiale.
Prima o poi quindi è possibile che si arrivi a dire sindaca o assessora, ma al momento ci pare una forzatura.
E non ci sembra riduttivo chiamare «Presidente del Senato» l’onorevole Maria Elisabetta Alberti Casellati. Anzi, sentirsi chiamare presidentessa (che nella lingua italiana esiste benissimo) non le sarebbe magari gradito, così come la maggior parte delle donne avvocato non vogliono essere chiamate né avvocatesse, né tantomeno avvocate.
Tutto questo lo diciamo perché - al di là della stima che abbiamo sia nei confronti di Stefania Segnana che di Paola Maria Taufer - l’argomento non ci pare abissale.
Una mia amica è stata la prima del corso di odontotecnica. Ma quando è stato il momento di cercare lavoro, non ha trovato nessuno disposto ad assumerla… perché era una donna.
Ora fa la barbiera (la parola al femminile non esiste, ma accettiamola) nel negozio della sua famiglia. È bravissima, anche se non era nella sua vocazione, d’altronde le donne hanno sempre qualche numero in più degli uomini.
Questo aneddoto lo riportiamo perché di fronte all’assurdità di una donna che - prima della classe - non trova lavoro in quanto donna, troviamo penoso vedere che si perda tempo a parlare sugli aspetti formali della parità e non a quelli sostanziali.
Salvagenti per non annegare in questo mare di cavolate ce ne vogliono ancora molti.
Gudo de Mozzi.
[email protected]