Una riforma necessaria al Paese – Di Daniele Bornancin
Dopo anni di attesa si è avviato il percorso della riforma costituzionale
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Il Disegno di Legge in materia, di recente approvato, prevede una divisione dell'attività delle due Camere e un superamento del bicameralismo.
Un progetto questo che comporta l'effettuazione di un referendum popolare confermativo, previsto per gli inizi del prossimo ottobre.
Di fatto, una significativa rivoluzione istituzionale che non ha precedenti nel patrimonio legislativo nazionale, che però può diventare un passo avanti verso una semplificazione degli organismi nel rispetto della Costituzione.
In varie città italiane in queste ultime settimane sono sorti Comitati spontanei per il SI, dove hanno dato la loro adesione giuristi, costituzionalisti, professionisti, ed esperti del mondo economico - politico - sociale e accademico, ma anche piccoli imprenditori, rappresentanti delle categorie economiche e sindacali e tanti cittadini, tanti giovani, tutti insieme consapevoli della necessità della riforma.
Anche a Trento, ed in alcune altre località del Trentino, sono sorti questi Comitati e uno di questi «BastaunSì» tenuto a battesimo dal ministro Boschi in occasione della sua presenza al Festival dell'economia.
Certo i Comitati del NO, non potevano mancare con le loro critiche, le loro motivazioni, le loro contestazioni in particolare all'attuale governo, pronti a dare battaglia insieme ad alcuni partiti o a varie organizzazioni sociali. Una battaglia che si preannuncia difficile, complicata, che sembra dividere i territori sia nel Trentino che in altre zone del paese tra progressisti e innovatori, conservatori e difensori dell'esistente.
Giova ricordare che l'esigenza, e per certi aspetti il desiderio, di riformare la Costituzione è stata avvertita già molti anni fa, se pensiamo che nel 1947 quando la Costituzione fu approvata, fu introdotto uno specifico articolo che prevede un particolare percorso per la revisione e la modifica della Costituzione.
Negli anni, nei più disparati Governi italiani, i tentativi per una modifica della costituzione, anche attraverso la realizzazione di apposite commissioni bicamerali, non sono mancati che però non hanno sortito nessun effetto e nemmeno lusinghieri risultati.
Nel dibattito che si è aperto durante l'impostazione di questi tentativi di modifica, incentrati tra il 1980 a oltre il 2000, i maggiori costituzionalisti erano favorevoli al «monocameralismo» o in alternativa a un «bicameralismo differenziato» che è rimasto fermo ai nastri di partenza.
Lo stesso Scoppola, uno dei maggiori studiosi della politica e della Costituzione, allora sosteneva che le due Camere (camera e senato) hanno spesso operato con maggioranze sovrapposte o simili.
Già allora vi era l'effettiva esigenza di una riforma anche per non avere. come si è verificato. governi di durata limitata, di larghe intese, balneari, stagionali.
Il bicameralismo attuale e da anni operativo nel nostro paese, è un doppione, un sistema che ha dimostrato tutte le sue difficoltà, lento, farraginoso, non al passo con i tempi, certo non di aiuto alle imprese e ai cittadini.
Ecco allora la riforma per giungere a una funzione di riequilibrio, di bilanciamento dei due rami del parlamento.
Vi è una riduzione del numero dei senatori, che passano da 320 a 100, con una diminuzione dei costi diretti, ossia delle indennità degli onorevoli e dei senatori.
Importante anche la riduzione dei costi indiretti che la riforma prevede, quelli incentrati sulla lentezza del procedimento legislativo, con due camere e con la conosciuta procedura «navetta», il passaggio dalla Camera al Senato nella doppia lettura dei disegni di legge o delle modiche alle leggi esistenti.
Tutto questo ha fatto proliferare negli anni i Decreti Legge, che spesso sono stati successivamente modificati e che i vari governi che si sono succeduti hanno spesso abusato.
La proposta di riforma elimina inoltre le materie della c.d. «legislazione concorrente» tra Stato e Regioni, dove lo Stato adotta norme generali e di sistema, le Regioni quelle locali e differenziate, per giungere così ad una maggiore distinzione tra i ruoli dello Stato e quelli delle Regioni, pertanto non per un maggior accentramento dei poteri dello Stato, ma per una netta separazione dei ruoli, una sorta di nuova linea di confine tra centro e periferie.
Una riforma che non va a toccare il sistema parlamentare, non cambia la formula elettorale, ma il premio di maggioranza non va ai partiti di coalizione, ma al partito che raggiunge il 40% o che si aggiudica il ballottaggio.
Vi sono inoltre due principi che non vanno sottovalutati: solo la Camera concede la fiducia al governo e come novità l'introduzione del referendum propositivo.
Per la nostra autonomia, nella riforma che sarà sottoposta a referendum, è stata inserita la «clausola di salvaguardia» che garantisce le prerogative dell'autonomia speciale e la modifica dell'art.116 della Costituzione sulle nuove competenze che possono essere chieste, sia dalle Regioni ordinarie che dalle speciali.
La riforma costituzionale, quindi riconosce in via definitiva le autonomie, la loro crescita anche con nuove competenze.
L'impianto autonomistico così delineato dall'art. 5 non viene messo in discussione, ma la riforma pone le premesse per un nuovo regionalismo collaborativo, di cui la Camera delle autonomie (ex senato) costituirà un tassello fondamentale per i territori.
Un avvicinamento come è stato auspicato nella storia di alcuni partiti, tra le Regioni ordinarie a quelle Speciali.
La storia della nascita delle Regioni, già nel 1972 quando nacquero si basavano su una spinta che veniva dal basso, dalla necessità di governare i territori e lo sviluppo delle comunità, ma soprattutto dal rinvigorirsi delle richieste di una sempre più ampia partecipazione democratica alla vita del paese.
Infatti le Regioni si fecero, e fortunatamente si fecero, non solo perché si volle farle, ma perché non era più possibile non farle.
Queste, in sintesi, le ragioni del Si al prossimo referendum autunnale, che rimane comunque il primo tassello della riforma e che dovrebbe aprire una nuova stagione di cambiamento, di innovazione e di miglioramento della realtà istituzionale italiana.
Bisogna rendersi conto che la tanto auspicata crescita economica ha bisogno di riforme strutturali e quindi bisogna dare al Paese, quelle giuste riforme, spesso annunciate e mai realizzate e questa riforma è certamente la riforma base per tutte le altre che seguiranno dopo, anche per far sì che anche l'Italia rientri così pienamente tra i Paesi più evoluti d'Europa.
Non si può pertanto escludere per «principio» questa opportunità che il referendum ci offre, non partecipando ad esprimere il nostro parere in merito, anche perché l'alternativa si racchiude in una «introvabile governabilità».
Daniele Maurizio Bornancin
(Rubrica «Scenari»)