Vittorio Emanuele III, la memoria corta degli italiani
Da poco è rientrata in patria la salma del Re nel totale disinteresse della gente – La testimonianza del tempo, di Maurizio Panizza
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Guai a toccare agli italiani i propri modelli e la propria storia! Guai a proporre di rileggere criticamente avvenimenti poco attinenti alla realtà dei fatti o a riconsiderare uomini posti da sempre sugli altari e che oggi alla prova del tempo, magari non sarebbero per nulla meritevoli di essere ricordati!
Gli italiani (perché in fondo è di loro che parliamo) molto semplicemente non sono disponibili a rivedere su base critica e documentata le loro certezze, perché è un’operazione troppo complicata e faticosa quella di studiare, di approfondire e di pensare con la propria testa.
Meglio non cambiare nulla, non farsi domande e piuttosto, senza esitazione, credere ciecamente alle tante fake news che girano in rete o su Facebook: quest’operazione, si sa, è gratuita e non costa nessuna fatica.
Tutto questo preambolo per dire di come alcune settimane fa il rientro in Italia da Alessandria d'Egitto della salma di Vittorio Emanuele III abbia sollecitato qualche esaltazione o protesta in ambienti interessati, ma soprattutto non abbia trovato nel resto dell’opinione pubblica nessuna partecipazione attiva. In altre parole alla stragrande maggioranza della gente pare importare poco se un re condannato dalla Storia viene ancora oggi gravemente omaggiato con un volo di Stato (pagato da noi) alla stregua di un eroe o di un grande statista.
Poi si sa com’è: noi amiamo fin troppo le fiabe in cui ci sono re e regine, castelli e feste di corte, così che in una visione eternamente romantica contano per noi - ex sudditi della Monarchia Sabauda - più le storielle che la Storia, quella vera s’intende.
Nel caso di Vittorio Emanuele III, di cui parlavamo, sembra che per molti bastino solo 70 anni per mettere definitivamente in archivio un periodo tristissimo della Storia italiana e il comportamento dei suoi protagonisti.
Si badi bene: non è che il Monarca non varò nessuna riforma positiva durante il suo lungo regno, piuttosto è da dire invece che molti atti e omissioni di Vittorio Emanuele depongono a suo grave sfavore avendo favorito, solo per dirne alcuni, l’instaurarsi del regime fascista, lo scioglimento dei partiti, la censura di stampa, le fine delle libertà civili, i Tribunali speciali, le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei, senza considerare la decisione di far entrare in guerra l’Italia nei due conflitti mondiali.
Secondo il più grande storico del fascismo, Renzo De Felice, «senza il compromesso con la monarchia è molto improbabile che il fascismo sarebbe mai potuto arrivare veramente al potere».
L’Italia, dunque, pare dimenticare il suo passato. Spesso lo fanno molti suoi cittadini con un oblio assolutorio sul passato fascista, ma lo hanno fatto di recente anche le più alte Istituzioni del Paese concedendo un volo ufficiale di Stato per trasportare dall’Egitto la salma del re Vittorio Emanuele III, il quale non potrebbe vantare alcun credito nei confronti dell’Italia e degli italiani.
E allora perché tante riverenze, tanti favori nei confronti dei Savoia? E poi, perché in Italia ci sono ancora vie intitolate a questo Re codardo, assieme a scuole e biblioteche prestigiose, come per esempio la Biblioteca Nazionale di Napoli? Semplicemente perché per molti opportunisti, piccoli o grandi che siano, è al potere che bisogna elevare i calici, indipendentemente dai meriti e dalle virtù.
Non tutti, ovviamente, sono di questo parere o lo sono stati. Se vogliamo trovare qualcuno che non ebbe paura né allora né dopo nel denunciare le nefandezze del Re e del Fascismo senza ricorrere ad amnesie o a compromessi, uno di quelli è un personaggio della Storia italiana che meriterebbe ben altro ricordo di quello sin qui assegnatogli.
Ebbe numerosi contatti con il Trentino, in particolare con l’amico socialista avv. Antonio Piscel, fondatore del Partito socialista con Cesare Battisti e Augusto Avancini.
Ci riferiamo a Gregorio Agnini, nominato il 25 settembre 1945 Presidente della Consulta Nazionale, il primo organismo democratico del dopoguerra composto dai rappresentanti antifascisti con il compito di preparare le basi per l’Assemblea Costituente.
Grande testimone del suo tempo, Agnini sin da giovane aveva partecipato in prima fila alle lotte dei braccianti agricoli in Emilia-Romagna e dopo avere combattuto il fascismo ed essere stato confinato in casa, a Sassuolo, per via dell’età avanzata, quel 25 settembre, a 89 anni compiuti, si preparava a lanciare un’invettiva che avrebbe dovuto rimanere come monito nella Storia.
Salì faticosamente i gradini della Camera dei Deputati e prese posto sul banco più alto dell’aula, fiero e commosso per l’alto incarico a cui era stato chiamato. Quando poi iniziò a pronunciare il suo discorso, si fece un profondo silenzio.
Gregorio Agnini.
Dopo avere ricordato con riconoscenza i caduti per la libertà, il punto saliente del suo breve discorso lo incentrò con coraggio sull’accusa al Re e ai Savoia dicendo: «Io ricordo ad onore della schiera di ex parlamentari che fanno parte di questa Assemblea, l’episodio della secessione che fu detta aventiniana; essa fu principalmente determinata dall’illusione che colui [il Re – NdR] il quale aveva giurato di rispettare, lealmente rispettare lo Statuto del Regno sarebbe intervenuto a difesa delle prerogative parlamentari.
«Fu vana illusione perché la Monarchia era legata a doppio filo al fascismo e il doppio filo diventò catena con le conseguenze che pesano e che peseranno lungamente, duramente sul popolo italiano.
«Lo ricordi il popolo italiano! Vi sono responsabilità che devono essere scontate! L’ideale non muore, trionferà. Evviva l’Italia Repubblicana!»
Gregorio Agnini morirà alcuni giorni dopo, soddisfatto per avere dato tutto se stesso alla nobile causa del socialismo e della democrazia.
Tuttavia con quelle parole solenni che erano echeggiate nel silenzio dell’aula, l’anziano e onesto combattente aveva voluto esprimere la sua rabbiosa riprovazione per i Savoia che avrebbero dovuto tutelare l’Italia, ma che invece erano stati completamente acquiescenti.
E sempre con quelle parole, Agnini non solo anticipò coraggiosamente il risultato del referendum Monarchia-Repubblica - cosa che gli valse una dura reazione da parte dell’Unione monarchica - ma volle altresì lanciare un monito al Paese nella speranza che la memoria degli italiani non andasse mai perduta.
Maurizio Panizza