L'immunoterapia contro il cancro al colon-retto – Di N. Clementi
Ne parliamo con il dottor Alessandro Ottaiano dirigente medico oncologo presso l’Istituto Nazionale Tumori Irccs «G. Pascale» di Napoli
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Dalle statistiche riportate dal portale della salute del governo.it, il cancro al colo-rettale è il terzo tumore in ordine di frequenza nell’uomo e il secondo nella donna, con circa 49.000 nuovi casi diagnosticati in Italia nel 2019.
Anche se la mortalità per questo tipo di cancro è in forte calo, con tassi diminuiti di circa il 10% nell’ultimo quinquennio, rimane in ogni caso la seconda causa di morte per cancro in entrambi i sessi.
I tumori del colon-retto sono localizzati nell’ultima parte dell’intestino definita anche «intestino crasso» o «grosso intestino» (colon ascendente, trasverso, discendente, sigma, retto).
Circa l’80% dei tumori del colon-retto si sviluppa a partire da formazioni preesistenti, i cosiddetti polipi, piccole escrescenze, inizialmente benigne, che possono diventare maligne nell'arco di 7-15 anni.
La malattia colpisce prevalentemente la popolazione a partire dai 60 anni di età ed è molto rara prima dei 40 anni.
È un tumore che rimane asintomatico per lungo tempo e proprio per questo è fondamentale sottoporsi a programmi di screening periodici, come l’esame del sangue occulto e colonscopia che permettano di individuare e eliminare i polipi prima che acquistino caratteristiche pericolose.
Negli ultimi due anni, a causa dell’esplosione della pandemia, sono diminuiti gli inviti allo screening, ma secondo una sorprendente scoperta, sembrerebbe che l’infezione da Covid-19 possa contribuire alla regressione del tumore metastatico al colon-retto.
Noi, per saperne di più rispetto a questa incredibile scoperta e in merito alle nuove frontiere terapeutiche contro il cancro al colo-retto abbiamo intervistato il dottor Alessandro Ottaiano dirigente medico in oncologia presso l’Istituto Nazionale Tumori di Napoli IRCCS «G. Pascale».
Il dottor Ottaiano è l’autore principale dello studio concentrato sulla componente immunologica che caratterizza il tumore metastatico, in relazione all’infezione indotta dal COVID, dalla quale sarebbe emerso che in alcuni pazienti, la malattia metastatica è regredita successivamente alla positività accertata al COVID-19.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista «Therapeutic Advances in Medical Oncology» lo scorso aprile 2021.
Chi è il dottor Alessandro Ottaiano Il dottor Alessandro Ottaiano è nato a Cercola (NA) l’11 settembre del 1975. Si è laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999 e specializzato in Oncologia nel 2003 all’Università di Napoli «Federico II». Dal 1996 al 1999 ha lavorato nei laboratori di Immunologia del Dipartimento di Biologia e Patologia Cellulare della stessa facoltà occupandosi del ruolo dell’immunità innata (linfociti NK –Natural Killer) nel riconoscimento e nell’eliminazione delle cellule tumorali. Dopo questo periodo, dal 1999 al 2003 ha lavorato all’Istituto Nazionale Tumori di Napoli, IRCCS «G. Pascale» dedicandosi alla conduzione di studi clinici e alla ricerca di biomarcatori e terapie innovative contro diversi tipi di tumore (sarcomi, melanomi e cancro del colon-retto). Dal 2004, il Dr. Ottaiano è Dirigente Medico all’Istituto Nazionale Tumori di Napoli, IRCCS «G. Pascale». Attualmente lavora presso la SSD-Terapie Innovative nelle Metastasi Addominali del Dipartimento di Oncologia Addominale. È autore di più di 100 articoli scientifici, co-editore e revisore di prestigiose riviste scientifiche internazionali nel campo dell’oncologia. Inoltre, è stato recentemente nominato dal Direttore Scientifico Dr. Nicola Normanno, Responsabile della programmazione della macro-area di ricerca «Trattamenti integrati in oncologia» per l’IRCCS Pascale (2022-2024). È membro di diverse società scientifiche, tra cui l’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), e la ENETS (European NeuroEndocrine Tumor Society). Tra i suoi studi più importanti si annoverano la descrizione di traiettorie genetiche regressive come elemento caratterizzante il comportamento oligo-metastatico (in collaborazione con la Columbia University, Stat Uniti, e l’Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale, Francia) e lo studio dei meccanismi immunologici alla base dell’azione di alcuni anticorpi monoclonali come il cetuximab nel cancro del colon-retto metastatico. Il Dottor Ottaiano è responsabile scientifico di studi no-profit traslazionali tesi alla definizione di strategie terapeutiche innovative e del ruolo prognostico di specifiche mutazioni genetiche, all’identificazione dei meccanismi immunologici alla base dell’abscopal effect della radioterapia e a un brevetto per una vaccinoterapia nel cancro del colon-retto e nel colangiocarcinoma metastatico in collaborazione con l’Università degli Studi della Campania L. Vanvitelli. |
Dottor Alessandro Ottaiano, ci spiega in breve cos’è il tumore al colon-retto?
«Il tumore del colon-retto è la principale forma tumorale maligna che insorge nel cosiddetto grosso intestino che rappresenta il tratto finale dell’intestino.
«Esso inizia dalla valvola ileo-cecale (il confine tra piccolo e grosso intestino) e termina con l’ano.»
Quali sono i sintomi preliminari del tumore del colon-retto?
«Nelle sue fasi iniziali, purtroppo, il tumore è del tutto asintomatico. Con il progredire della malattia e, quindi, con l’accrescimento della massa tumorale, esso può determinare uno o più dei seguenti sintomi: sanguinamento di variabile entità, talvolta determina anemia, difficoltà ad evacuare le feci, dolore.»
Come si arriva alla diagnosi di tumore?
«Dopo un corretto e approfondito inquadramento anamnestico e semeiotico, la procedura principale per arrivare alla diagnosi di tumore del colon-retto nel paziente con sintomi sospetti è la colonscopia.
«Essa consente l’individuazione della lesione tumorale e il prelievo di tessuto per la diagnosi istologica e la caratterizzazione molecolare.
«La colonscopia è necessaria anche nei casi individuati attraverso la ricerca del sangue occulto nelle feci (il principale test utilizzato negli approcci di screening) o nei casi in cui, per una documentata familiarità per cancro del colon-retto, viene attuato un monitoraggio più intensivo.»
Quali sono i fattori di rischio e come possiamo prevenirli?
«I principali fattori di rischio descritti nella letteratura scientifica sono la vita sedentaria, il fumo, il sovrappeso, l’alimentazione (ricca di grassi e carni rosse, povera di fibre, calcio e vitamina D), alcune forme infiammatorie croniche intestinali, la familiarità.
«Quest’ultima non significa che avere un familiare con cancro del colon sancisce con certezza che il cancro sarà ereditato. Essa fa parte di un più ampio e complesso concetto di predisposizione vale a dire avere un assetto genetico che rende il soggetto più suscettibile al cancro del colon in un contesto ambientale favorente. I casi di cancro del colon-retto ereditari veri e proprio sono fortunatamente rari.
«La prevenzione dei tumori del colon si basa sullo stile di vita (cessazione del tabagismo, riduzione del peso, aumento dell’attività fisica, predilezione di un’alimentazione ricca di fibre e vitamina D), sul controllo dell’infiammazione nelle forme infiammatorie croniche, e sul monitoraggio con colonscopia nei casi a rischio o in cui vi sia una documentata familiarità.
«Secondo numerosi studi, l’applicazione delle sole misure legate allo stile di vita potrebbe salvare centinaia di migliaia di vita all’anno nei paesi occidentali.»
Quali sono le nuove terapie farmacologiche del cancro al colon-retto?
«Il trattamento dei tumori del colon-retto si è arricchito negli ultimi 10-15 anni di nuovi farmaci biologici che agiscono con un meccanismo d’azione più specifico rispetto alla chemioterapia, interagendo cioè con gli attori molecolari che sono prevalentemente utilizzati dal cancro per proliferare o diffondersi.
«Tra questi sono ormai di suo comune alcuni anticorpi monoclonali come il panitumumab e il cetuximab che legano e bloccano EGFR, un recettore molto importante per le cellule tumorali, e il bevacizumab che lega VEGF, una sostanza che fornisce al cancro i vasi sanguigni per nutrirsi.
«Meccanismo analogo a quest’ultimo è posseduto dall’aflibercept, una cosiddetta proteina chimerica. Questi farmaci possono essere tutti combinati con la chemioterapia classica potenziandone i benefici.
«Altro farmaco biologico che merita di essere citato è il regorafenib, la prima piccola molecola per uso orale che inibisce molte proteine tumorali nel cancro del colon-retto e che viene utilizzata a fallimento delle altre terapie. I progressi ottenuti con queste terapie rispetto alla sola chemioterapia sono significativi.»
Che cos’è il trattamento con l’immunoterapia? Ci può spiegare in che cosa consiste?
«L’immunoterapia nel cancro del colon cosi come in altri tipi di neoplasia è stata resa possibile grazie a studi pioneristici a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 che hanno consentito di identificare antigeni tumorali, vale a dire proteine non espresse nelle cellule normali o alterate nelle cellule tumorali e in grado di stimolare una efficace risposta immunitaria proprio contro le cellule che le esprimono.
«La dimostrazione di questo fenomeno insieme all’approfondimento delle conoscenze sull’immunologia di base sono state apripista per successivi studi in cui l’immunologia ha incontrato l’oncologia.
«In sostanza, il sistema immunitario e in particolare i linfociti sono in grado di riconoscere ed eliminare le cellule tumorali (che possiedono queste proteine alterate) cosi come farebbero per una cellula infettata da un virus o un batterio.
«Il tumore purtroppo nella sua furba corsa evolutiva verso la crescita si attrezza con una serie di numerosi sotterfugi per sfuggire al riconoscimento e all’eliminazione da parte dei linfociti. Uno di questi sotterfugi consiste nell’inibire la risposta immunitaria. L’immunoterapia riattiva la risposta immunitaria agendo sugli interruttori molecolari che fisiologicamente la spengono o la attivano (i cosiddetti checkpoint immunitari).
«Tra i vari farmaci immunoterapici in studio, il pembrolizumab è un anticorpo che lega uno di questi punti di controllo immunologico (PD-1/PD-1L) inibendo un potente segnale inibitorio per i linfociti. Il risultato dell’inibizione di un segnale inibitorio è una attivazione dei linfociti contro il tumore.
«A gennaio di quest’anno, l’EMA, l’agenzia europea per il farmaco, lo ha approvato per il trattamento in prima linea del carcinoma del colon-retto metastatico con elevata instabilità dei microsatelliti.
«Quest’ultima è una caratteristica biologica molto importante posseduta da circa il 5% dei tumori del colon-retto ed è associata alla produzione da parte del tumore di molti antigeni estranei (le proteine alterate di cui ho parlato prima). Essa si valuta con tecniche di immunoistochimica o anche di biologia molecolare.»
Immagine del colon stilizzato (con un tumore a livello del colon discendente).
Ci parli di questa vostra importante scoperta concentrata sulla componente immunologica che caratterizza il tumore metastatico, in relazione all’infezione indotta dal Covid-19. Il virus potrebbe essere davvero un’arma contro il cancro al colon-retto?
«Lo studio è nato dall’osservazione che alcuni pazienti in attesa di iniziare una chemioterapia per malattia metastatica avevano manifestato una riduzione spontanea del carico tumorale in coincidenza con l’infezione da Covid-19.
«In altri termini, questi pazienti, alla rivalutazione strumentale della malattia dopo il periodo di convalescenza post-Covid-19, avevano mostrato una riduzione del carico tumorale. La caratterizzazione del tessuto tumorale di questi stessi pazienti mostrava elevata espressione di ACE-2 (il recettore utilizzato dal virus per infettare le cellule).
«Inoltre, i loro linfociti NK (tra i principali attori dell’immunità naturale contro cellule infettate da virus) avevano una spiccata capacità di eliminare cellule neoplastiche in laboratorio.
«L’ipotesi che ci ha permesso di formulare questa ricerca è che le cellule neoplastiche potrebbero essere infettate direttamente da SARS-CoV-2 ed essere rese suscettibili all’eliminazione da parte delle cellule del sistema immunitario.
«Altre ipotesi più complesse potrebbero essere formulate ma questa è quella più intuitiva.»
A che punto siete con questa sensazionale e sorprendente ricerca?
«Il messaggio di questo studio non è quello che il virus ha effetti positivi nei pazienti oncologici. Infatti, in altri pazienti non si è osservata una riduzione della malattia e le variabili in gioco sono tante e poco controllabili fuori da modelli sperimentali. Tuttavia, questa osservazione spinge ad approfondire i meccanismi che regolano i rapporti tra virus e ospite nonché tra cancro e ospite.
«In quest’ottica, una maggiore comprensione di questo fenomeno potrebbe aiutare a formulare strategie immunoterapiche innovative.
«I nostri studi procedono nei pazienti vaccinati nei quali è disponibile siero e tessuto neoplastico (interventi chirurgici o biopsie) prima e dopo il vaccino.
«Questo ci consentirà di capire come varia la risposta immunitaria periferica e il microambiente tumorale con il vaccino anti-Covid-19 e generare ipotesi su quali modifiche immunologiche positive potrebbero essere sfruttate in chiave anti-neoplastica.»
Nadia Clementi – [email protected]
Dr Alessandro Ottaiano – [email protected]
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