Il Trentino del 2000 è diventato la patria dello sport

Non è sempre stato così, ma i grandi campioni li abbiamo avuti lo stesso

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Nei giorni scorsi si è tenuta a Trento una cerimonia ufficiale per riconoscere il merito agli atleti trentini che si sono segnalati alle Olimpiadi di Tokyo.
Abbiamo pubblicato un servizio dedicato (vedi), ma pensiamo che sia bene ricordare anche come i tempi siano cambiati nel Trentino dal dopoguerra a oggi.
Nei primi 20 anni dopo la fine della guerra mondiale, lo sport era considerato poco più che un gioco.
Le Olimpiadi erano nate da una cinquantina d’anni, così come i campionati mondiali di calcio. Eventi straordinari, interrotti dal conflitto mondiale.
L’Italia si era sempre segnalata con ottimi atleti, basti pensare che i campionati mondiali di calcio furono vinti due volte nel corso del Ventennio.
Lo sci aveva visto un grande campione come Zeno Colò che, avendo potuto evitare l’arruolamento, si portò in vetta alle gare di sci più importanti.
Girardengo, Coppi e Bartali avevano fatto sognare un'intera generazione.
 
Ma la gente comune non aveva possibilità di accedere agli impianti sportivi. Sì, tutti i paesi trentini - anche i paesini - avevano un campo da calcio, perlopiù su terreno parocchiale, sport che possiamo proprio per questo definire «nazionale».
Ma i campi erano a malapena piatti, le erbacce crescevano un po’ dappertutto, le porte erano fatte con tronchi di alberi tagliati nei boschi, le reti non esistevano. Ma non esistevano neanche le segnaletiche. In qualche caso venivano tracciati i bordi del campo, ma se la palla usciva si continuava a giocare.
Il pallone era cucito ed era uno solo: da conservare bene. Ogni volta doveva essere gonfiato. Se lo tiravi fuori e troppo lontano, dovevi andare a prendertelo.
Le divise non esistevano. E le scarpe da calcio altro non erano che scarpe che non potevi utilizzare più. Qualcuno inchiodava i zocchetti, rigorosamente fatti in casa.
E comunque, prima dovevi studiare. Poi, se andavi bene, potevi andare al campo.
Le squadre più importanti di calcio trentine erano nate agli inizi del secolo, ma nessun trentino pensava che lo sport potesse diventare una professione.
 

 
Il nuoto non era considerato uno sport. Intendiamoci, le associazioni esistevano e funzionavano, ma non pretendevano risultati. D’altronde, molti genitori consideravano inutile saper nuotare…
Ci volle il trentino Marcello Guarducci, che probabilmente fu il primo atleta italiano a conquistare una certa popolarità grazie al nuoto, per spingere i genitori a mandare i figli in piscina. Siamo già la fine degli anni Settanta: prima si nuotava nei torrenti, nell'Adige, nei laghi.
Guarducci ebbe una grande sfortuna, quando l’Italia decise di boicottare le Olimpiadi del 1980 perché l'URSS aveva invaso l'Afghanistan (la storia si ripete). Era un carabiniere e lo Stato gli impedì di partecipare, mandando in fumo la sua grande occasione.
Per non parlare della subacquea, dove si imparava da soli a compensare, a trovare pinne e maschere adatte, a scendere per scoprire il mondo acqueo.
 
Gli altri sport muovevano i primi passi. Il tennis era considerato uno sport per ricchi. Nei campi non poteva entrare nessuno che non fosse socio. E iscriversi costava una follia, per non parlare delle attrezzature.
Pietrangeli e Scirola provavano regolarmente a vincere la Coppa Davis, ma gli australiani erano un avversario insuperabile. E difatti il tennis conobbe il riconoscimento popolare solo dopo che Adriano Panatta e Corrado Barazzuti vinsero la Coppa nel 1976, con Corrado Pietrangeli capitano non giocatore.
Insomma, già allora era evidente che solo il successo invitava al giocare più di mille prediche.
Per qualche anno Trento ha avuto un campione di tuffi, Klaus Di Biasi. Poi si è trasferito a Bolzano, dove c'erano le strutture.
 

 
L’atletica ebbe una strana vita in Trentino.
Verso la fine dell’anno scolastico venivano organizzati i campionati studenteschi, ai quali partecipavano gli atleti dei vari istituti.
Era un momento fantastico, perché si scopriva che non c’era solo il calcio. E anzi, la grande partecipazione numerica dava il senso delle possibilità aperte a tutti.
Ciononostante, a scuola nessun insegnante di ginnastica faceva il talent scout. Ricordo che un compagno di scuola, nei 50 metri piani, dava 10 metri a tutti gli altri. Eppure nessuno lo fece mai partecipare a una qualsiasi gara.
Un atleta merita essere ricordato a questo punto: Renato Dionisi.
È stato un grande campione di salto con l’asta, in un momento in cui nelle scuole quella specialità neanche veniva presa in considerazione.
E - pensate - nel 1972 con l’asta rigida aveva superato i metri 5,45!
Il come ha fatto, ci piacerebbe saperlo. E magari un giorno glielo chiediamo.

Renato Dionisi.

Ci furono altri campioni, nazionali. La gente ricorda Francesco Moser, lo «sceriffo», ma prima di lui va citato il fratello Aldo.
Aldo Moser è stato un ciclista su strada, professionista dal 1954 al 1974, cioè ai tempi di Bartali e Coppi, Magni e Coblet, Charly Gaul e Anquétil, Adorni e Gimondi.
Aldo, nato nel 1934, contò dodici successi in carriera. E quando sentivamo parlare di lui alla radio, si esultava come se tutti i trentini corressero in bicicletta.
È merito di Aldo se Francesco è poi divenuto il ciclista italiano che han vinto di più.
Ma i tempi erano già maturati.
 

Livio Berruti, primo grande campione dell’atletica italiana.

Le Olimpiadi di Roma del 1960 diedero un impulso enorme alla pratica dello sport in Italia.
Per la prima volta ogni giorno c’erano ore di trasmissioni televisive (in bianco e nero) sulle attività olimpioniche e, come di recente a Tokyo, non passava giorno senza una medaglia.
Per questo non abbiamo gradito il rifiuto della sindaca di Roma Virginia Raggi ad ospitare le Olimpiadi del 2023.
Ora la sindaca si difende dicendo che allora - quando disse no - la città di Roma non era in grado di ospitare l’evento.
Cioè pensava davvero di sistemare la città per tempo?
Beh, a parte che non l’ha ancora sistemata, allora aveva affermato che non voleva che i soliti palazzinari si arricchissero a spese della città.
Poi però, smentendosi, aveva proposto una mega costruzione di uno stadio con accessori in grande stile.
E così abbiamo perso un’occasione davvero importante, perché lo sport è la vera via di salvezza per i giovani.
Lo sport è la prima opportunità che ha un giovane per capire che se vuole farcela deve impegnarsi. Un avvio alla vita decisamente positivo.
Altro che droghe, rave party, illegalità. Un impulso all’attività sportiva avrebbe salvato la generazione appena uscita dalla pandemia della DAD.

Aldo Moser.

Oggi il Trentino ha importanti strutture sportive e per questo dobbiamo dire grazie alla Provincia autonoma di Trento che ha capito sia l’importanza dello sport presso i giovani, che la valenza turistica per chi può fare sport solo quando va in vacanza.
Ci sono ancora dei buchi da riempire, come ad esempio la piscina per tuffi in una città che ha una campionessa olimpica. La nostra Dallapè non può ancora lasciare la sua esperienza in eredità.
Mancano campi da golf. Il golfista va in vacanza solo dove c’è un campo da golf e la tipologia di chi pratica questo sport è uguale a quella degli sciatori. E non possiamo avere campioni di golf finché non abbiamo strutture adeguate.
Sono gap che sicuramente riempiremo. Col tempo.

Ma il Trentino resta comunque all’avanguardia in tema di sport.
E lo ha dimostrato l’altro giorno la Provincia, quando ha voluto premiare ufficialmente gli atleti che sono stati alle Olimpiadi di Tokyo.
Con tanto di Inno al Trentino iniziale e Inno di Mameli finale.
Ed è così che deve essere. La rivalità tra nazioni moderne non può essere che sportiva. E i giovani potranno essere sempre i nostri cavalieri, i nostri campioni.

GdM