L’intervento del Premio Nobel Gary Becker ha chiuso il Festival. – «Il capitale umano, formidabile motore di crescita»

«Nel XXI secolo crolleranno i Paesi che non investiranno sulla conoscenza e sulla formazione continua. Il ruolo delle donne diventa sempre più importante»

Dove saranno di casa, nei prossimi anni, nei prossimi decenni, il successo e la crescita?
«In quei Paesi che sapranno investire nei propri cittadini. Perché il capitale umano è sempre più importante; perché non basta possedere petrolio e materie prime per prosperare; perché le persone e non le risorse o le macchine determinano già, ma lo faranno sempre di più, la nostra ricchezza. Questa è la mia visione dell'umanità: le persone sono importanti.» Parola di Gary Becker, premio Nobel nel 1982, l'economista più citato al mondo.

E' toccato a lui - presentato da Tito Boeri come «pioniere capace di estendere, con il suo pensiero, il raggio di azione dell'economia in altri territori» - concludere la seconda edizione del Festival dell'Economia di Trento, davanti ad un folto pubblico.
Lo ha fatto ringraziando proprio il Festival, «formidabile occasione di confronto, paradigma di quei luoghi della formazione permanente e continua» che il grande studioso statunitense indica come necessario strumento per affrontare le sfide del XXI secolo. Ha citato Benjamin Franklin: «Il miglior investimento è la conoscenza".»

«Ho dedicato molta parte della mia vita allo studio del capitale umano - ha detto Becker - e dunque mi sembra quasi naturale essere ad un Festival che proprio questo tema ha deciso di affrontare.»
E ha proseguito «So che questo termine, capitale umano, non piace ad alcuni. In Germania, nel 2000, c'è stato persino un voto per abolirlo dalla lingua tedesca. No, io penso invece che il capitale umano, e dunque le informazioni, la conoscenza e le abitudini stesse delle persone, siano decisivi. Di più: i Paesi crollano se non investono nelle persone. Il XXI secolo segnerà la rivoluzione del capitale umano e la conoscenza sarà - è già - il fondamento di ogni aspetto della vita umana.»

Dati alla mano, Becker ha detto - riferendosi tanto agli Stati Uniti e all'Europa quanto alle nuove economie sempre più emergenti, dall'India alla Cina, al Messico - che «tanto maggiore è il livello delle competenze, tanto maggiori sono anche i benefici economici e i livelli di reddito di chi queste conoscenze ha saputo acquisire e sviluppare.»
E il balzo in avanti sta nell'evidenza dei numeri, ha ricordato ancora il premio Nobel per l'economia. «I laureati nel mondo sono passati in quindici anni da 82 a 212 milioni e i siti internet da 9.300 a 110 milioni. Sempre l'alta formazione vuol dire stipendi migliori e non dobbiamo pensare che la formazione e la conoscenza abbiano ricadute solo sulla sfera economica. No, hanno a che fare anche con salute, matrimonio, famiglia, crescita dei figli, capacità di pianificare meglio le risorse, migliore adattabilità agli imprevisti.»
Ed ha teorizzato persino che le persone dotate di formazione e conoscenza «non fumano e non devono.»

Certo, Becker non ha nascosto i rischi - a fronte di un aumento del capitale fisico, oggi quantificabile in un passaggio dal 7 al 12 per cento - di un aumento delle diseguaglianze. Che fare per impedirlo? Ricette semplici quanto decise, quelle dell'economista.
«Si deve puntare con forza ad un sistema scolastico di qualità: meno alunni nelle classi, più insegnanti da pagare meglio (perché un bravo insegnante spesso fa la differenza nella vita di una persona), programmi intensivi.»

Becker ha delineato il passaggio verso quella che ha definito «la terza ondata della rivoluzione industriale», nella quale alle donne toccherà un ruolo decisivo.
Ha detto Becker: «L'economia del XXI secolo sarà più aperta verso le donne. Il loro grado di istruzione supererà quello degli uomini, già ora i salari delle donne sono in crescita rispetto a quelli dei maschi e sempre alle donne tocca e toccherà di trovare impiego in professioni assai importanti, nel passato al di fuori dei loro orizzonti.»

Non ha avuto dubbi Becker. «Il capitale umano è un potente motore di crescita e quei Paesi con scarsi investimenti in capitale umano sono destinati a soccombere nella competizione economica. Certo, sono necessari altri cambiamenti per far sì che questa linea di condotta trovi compiuta affermazione.»
Ecco dunque, ha continuato l'economista - docente all'università di Chicago - la necessità tanto di «mercati del lavoro flessibili quanto delle facilitazioni da garantire a chi avvia nuove attività imprenditoriali.»
Insomma, «Il fattore più importante sempre più sarà legato a come i Paesi tratteranno la propria cittadinanza, permettendo a tutti di partecipare in modo moderno alla vita della società.»

A chi teme che la flessibilità significhi rischio di maggiore disoccupazione, Becker risponde.
«No. Negli Stati Uniti dove la flessibilità è sviluppata, il tasso di disoccupazione è del 4,5 per cento, in Europa siamo all'8 per cento, in Italia ancora più su. Si è detto che la crescita di Paesi come l'India e la Cina avrebbe creato problemi sul mercato del lavoro statunitense: non è stato così.»

Esaurita la sua relazione «Il capitale umano nel XXI secolo», Gary Becker ha affrontato le domande del pubblico. L'occasione da una parte per ribadire la sua convinzione sulla necessità di puntare su conoscenza e formazione e, dall'altra, l'opportunità, cui non si è sottratto, per rispondere anche ad una domanda su un tema - quello della pena di morte - che nei giorni precedenti al Festival aveva suscitato qualche polemica.

Becker è stato lapidario. «Ho scritto quattromila pagine di economia e due pagine sulla pena di morte. L'ho fatto affrontando la questione del crimine e dei modi per contrastarlo. Credo che i criminali si combattano prima di tutto con un migliore capitale umano, un migliore mercato del lavoro, un grado maggiore di cultura, maggiori opportunità legali offerte specie alle giovani generazioni. Credo anche che nel breve periodo questo non basti. Ritengo che crimini gravissimi ed efferati - penso allo stupro e all'uccisione dei bambini - debbano essere contrastati con sanzioni gravissime. Dunque solo per una piccola quota di crimini, io penso che si possa ricorrere alla pena di morte, come deterrente. Tutto qui.»
E se in precedenza aveva riscosso un caloroso applauso, in questo caso ha incassato anche qualche fischio e, peraltro, altri applausi.

(cm)