Corrado Passera: l’informazione non può sostituire le regole
«Il deficit pubblico va posto sotto controllo, ma attenzione a non ridurre eccessivamente la spesa pubblica»
L'amministratore delegato del Gruppo
Intesa San Paolo, con un passato che lo ha visto alla guida di
importanti gruppi industriali e di aziende pubbliche, tra cui il
gruppo L'Espresso e le Poste italiane (di cui divenne
amministratore delegato nel 1998) è intervenuto sul tema
«Trasparenza, finanza e sviluppo».
Intervistato da Jennifer Clark del Wall Street Journal, Passera ha
parlato della crisi e delle sue conseguenze, sostenendo che il
sistema bancario ha bisogno di regole, che però devono essere
diversificate a seconda della tipologia di banca.
«Gli anglosassoni - ha detto Passera - per anni ci hanno detto che
le regole non servivano. Oggi vediamo che i paesi che sono usciti
meglio dalla crisi sono proprio quelli che disponevano di regole e
controlli efficaci.»
In quanto all'informazione, essa ha le sue responsabilità ma non
può scagionare chi ha operato male, o con scarsa competenza.
Riguardo alla spesa pubblica, Passera ha ricordato che oggi tutti
sono favorevoli a porre sotto controllo il deficit pubblico, il che
è un bene, a patto però che non si sacrifichino gli obiettivi di
sviluppo.
«Non dobbiamo ridurre eccessivamente la spesa pubblica - ha detto.
- «Quello che conta è fare attenzione a come si spendono i
soldi.»
L'incontro si è aperto con alcune considerazioni riguardanti la
crisi.
Cosa è successo realmente? Com'è che la bolla è scoppiata?
«Tutti insieme abbiamo sottovalutato una serie di comportamenti non
adeguati - ha ammesso Passera - e sono mancati regole e controlli
efficaci. I fattori che spiegano la crisi sono diversi; ad esempio,
abbiamo lasciato crescere il debito oltre misura e questo è sempre
fonte di problemi. Da ultimo, per venire al tema di questo festival
dell'Economia, anche l'informazione non ha fatto bene il suo
mestiere, tutta l'informazione, quella delle aziende, quella dei
regolatori, quella prodotta dalle agenzie di rating, quella di
provenienza politica, e, ovviamente, l'informazione riconducibile
ai mass media.»
Problemi possono però derivare anche da un eccesso di informazione,
che genera una sorta di nebbia o nuvola la quale non consente di
valutare i fenomeni adeguatamente.
«Si tratta di un fenomeno ben noto - ha riconosciuto il CEO di
Intesa San Paolo. - Oltre alla disponibilità di informazione ci
vuole la capacità cognitiva di elaborarla. E poi comunque esistono
anche fattori irrazionali che spiegano i comportamenti degli attori
economici. Attenzione però: a volte l'idea che bastasse buttare
fuori informazioni, e poi il mercato avrebbe provveduto a
ordinarle, è stata un alibi per non produrre le regole necessarie.
L'informazione non può sostituire regole e controlli. Paesi come
l'America e l'Inghilterra per anni ci hanno detto che le regole non
servivano, che non ce n'era bisogno. Possiamo dire che una delle
lezioni che possiamo ricavare dalla crisi è proprio questa: paesi
con regole e controlli migliori hanno attraversato la crisi con
minor danno.»
Poi, naturalmente, c'è il fattore umano.
Quanto hanno pesato le scarse competenze manageriali?
Quante responsabilità possono essere ascritte a chi ha gestito male
gli affari, se non addirittura in malafede?
«Moltissime - ha confermato Passera. - Ma attenzione: di quanto è
successo siamo tutti responsabili. Nessuno ha detto basta, non le
banche, non le imprese, non le famiglie. Poi, ad un certo punto, la
bolla è scoppiata. Vale anche per l'inflazione: abbiamo tollerato
il 1.000 per cento sugli asset mentre solitamente facciamo
attenzione allo 0,1% sull'inflazione al consumo. Adesso tutti
concordano sul fatto che i debiti e i deficit pubblici devono
essere messi sotto controllo. Ma si deve mettere in moto anche una
nuova fase di crescita, perché senza crescita non si creano posti
di lavoro, non c'è sostenibilità del welfare, non c'è benessere.
Quindi è giusto parlare di austerità, ma guai se facessimo l'errore
di andare dalla recessione alla depressione. Non dobbiamo ridurre
eccessivamente la spesa pubblica. Quello che conta è fare
attenzione a come si spendono i soldi.»
«Dov'è il 'collo di bottiglia' che blocca lo sviluppo del Paese?» -
ha chiesto ancora la Clark.
«Che l'Italia nell'ultimo periodo precedente alla crisi sia
cresciuta meno dei Paesi europei a noi confrontabili è un fatto. Ci
siamo giocati 6-700 miliardi di risorse pubbliche in più, risorse
che potevano essere impiegate per fare il bene comune. Dove sono le
nostre debolezze? Nell'efficienza del sistema (in particolare tutti
i fattori infrastrutturali) e nel dinamismo (concorrenza, processi
decisionali e quant'altro). Abbiamo compensato invece con la
competitività delle aziende e con la coesione sociale. Quindi direi
che abbiamo due motori che spingono nella direzione giusta e due
che tirano indietro.»
E la vicenda Alitalia?
«All'inizio io mio sono preso la responsabilità di dire "così
l'azienda non è salvabile". Ma ho anche detto che era possibile
estrarre dal "corpaccione" dell'Alitalia una parte consistente che,
con la dovuta iniezione di capitali, poteva tornare a funzionare.
Ci siamo impegnati insomma a creare dalle rovine di un'azienda che
andava chiusa una nuova azienda che poteva farcela, come sta
effettivamente dimostrando.»
Ma quali regole sono necessarie per «disciplinare» il sistema
bancario?
«Non esistono le banche in quanto tali. - Ha precisato Passera. -
Esistono diversi tipi di banche. Volendo semplificare, banche per
l'economia reale, quella delle famiglie, per intenderci, e barche
del trading. Così come diversi tipi di regole. Se volessimo cercare
soluzioni valide in maniera indifferenziata per tutte, senza tenere
conto delle differenze, commetteremmo un errore. In questo momento
è importante che le regole non blocchino l'attività delle banche
che operano per l'economia reale. Credo inoltre si debba premiare
le banche che hanno fatto bene il loro mestiere. Paradossalmente
chi è stato salvato si è trovato invece ad essere maggiormente
valorizzato rispetto a chi aveva attraversato la crisi con le sue
forze. Ma pazienza, così è la vita.»
In chiusura una domanda più personale.
«In futuro pensa ancora di fare questo mestiere? Non pensa ad
entrare in politica, ad esempio?»
«In effetti in passato ogni 4-5 anni ricominciavo da capo.
Ultimamente sto bene dove sto. Non vorrei fare
qualcos'altro.»