L'8 marzo per festeggiare cosa? – Di Giuseppe Maiolo, psicanalista
Più che festeggiare, sarebbe doveroso scongelare «l’era glaciale» della coscienza
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La chiamiamo «Festa della donna» ma, da uomo, mi viene da dire che non c’è nulla di cui festeggiare in una ricorrenza che ricorda 128 donne uccise dalla brutalità maschile.
Non credo sia controcorrente sostenere che le delicate mimose che siamo soliti regalare alle donne per solidarietà e per annunciare una nuova primavera, non servono a nulla, se ci troviamo ogni giorno a fare i conti con la violenza dei maschi e siamo ancora immersi in un freddo inverno culturale e sociale.
Perché è inverno pieno se pensiamo a tutti i casi di femminicidio dello scorso 2016.
Ed è «l’era glaciale» della coscienza se solo per un attimo ci fermiamo ai dati, impressionanti, relativi allo stalcking e all’abuso e in particolare a quello psicologico, sulle donne.
Più che festeggiare, credo sia doveroso ricordare la violenza e le sue forme per sostenere la memoria di una comunità globale che tende alla smemoratezza, ma soprattutto per educare i giovani a riconoscere gli abusi, i soprusi e le prepotenze che si compiono quotidianamente e intercettare con reale empatia il dolore e la sofferenza di chi subisce il male e le offese.
Ricordare ha senso solo se riusciamo trasferire la precisa sensazione che c’è un lungo filo di collegamento tra quello che è stato e ciò che succede ancora.
Ricordare serve se ne facciamo una questione educativa che va oltre gli anniversari e ci spinge a far riflettere i minori su questa terribile piaga sociale.
Lo dico da clinico e da uomo che si occupa da molti anni ormai di prevenzione di abuso e maltrattamento in tutte le sue forme.
Sono convinto che per arginare la violenza, non vi sia altra strada che quella di educare i bambini nella gestione dei propri sentimenti e renderli consapevoli che quando questi diventano incontrollabili non è mai per caso, né è espressione di una patologia sconosciuta. La violenza è molto più vicina alla normalità di ogni quotidiano pensare e agire.
Di certo ha qualcosa a che vedere con una coscienza maschile disturbata e un disagio che si annida in uomini incapaci di mettere a fuoco le proprie parti oscure e la gestione di esse.
Ma il problema da affrontare non è solo quello di curare un maschile fragile e disturbato che sta dentro molte esistenze corazzate quanto prima di tutto cambiare direzione al progetto educativo dei maschi che domani saranno i futuri uomini.
Se continueremo a trascurare di educare i minori alle emozioni, ai sentimenti e a una sessualità consapevole, se ci dimenticheremo ancora di insegnare loro a dare un nome a ciò che si prova e attrezzarli nella gestione delle passioni difficili, continueremo a far crescere generazioni di individui incapaci di relazioni affettive.
Con non poca sofferenza dobbiamo renderci conto che stiamo allevando maschi freddi e distaccati, troppo deboli e per di più privi di partecipazione empatica.
Lo dobbiamo fare con urgenza se non vogliamo continuare a illuderci di aver risolto la violenza con un like o un bel mazzetto di mimose.
Giuseppe Maiolo
www.officina-benessere.it