Il ceto medio e l’effetto S. Matteo – Di Maurizio Bornancin
La crisi è davvero finita o i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri?
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La crisi anche in Italia ha inasprito l’effetto San Matteo, ovvero quando i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Ma vicino a queste due classi ne esiste una terza: il conosciuto «ceto medio», ora sempre più eroso dalla crisi e da un fisco non equo.
Nel nostro paese la tassazione e la pressione tributaria sono molto alte, anche se in Norvegia e Svezia sono molto più elevate di quelle italiane, ma la differenza è che da noi è iniqua nel senso che grava di più sul ceto medio, anche perché è chiaro che i poveri non possono pagare le tasse e quindi non le pagano e coloro i quali stanno bene, non hanno difficoltà a pagarle, mentre il ceto medio che normalmente le paga se è toccato da un qualsiasi incidente di percorso ha difficoltà a pagarle.
Ora c’è bisogno di un nuovo progetto per applicare la tassazione secondo il principio di equità, spesso invocato da più parti, ma non perfezionato negli anni.
Le nostre società, sia a livello europeo sia americano, sono costituite da tre grosse sfere: la sfera dei poveri, degli emarginati, «che meritano la massima attenzione», la sfera dei «garantiti» e sono quelli che hanno un lavoro sicuro, una stabilità economica ossia i così chiamati «ricchi» e la sfera dei «vulnerabili», quella del ceto medio.
Oggi in Italia e anche nei Paesi Europei, il problema più preoccupante è quello del ceto medio, ossia dei «vulnerabili».
Vulnerabile è una persona che ha un’alta probabilità di cadere nella zona della povertà anche relativa a seconda dei casi, in un tempo che si aggira in circa due anni.
Allora se di riforma fiscale si deve parlare, è soprattutto una riforma che deve riguardare i «vulnerabili».
L’indagine effettuata da Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi e riguardante il risparmio degli italiani nel 2015, evidenzia alcune posizioni.
I dati confermano che la capacità di risparmio anche negli ultimi anni è stata indebolita e messa a dura prova dalla caduta del reddito disponibile della classe media.
La ricerca rende evidente l’aumento dei risparmiatori con un cinque per cento in più rispetto al 2012, ma nello stesso tempo rileva che dal 2008 (inizio crisi), circa sette milioni di famiglie italiane hanno perso l’ancoraggio economico di legatura alla classe media.
La svolta o ripresina, è una realtà dovuta anche alla riduzione dell’incertezza che congelava le decisioni delle famiglie.
Certo, la percezione dei miglioramenti deve ancora trasmettersi in pieno alle famiglie e trasformarsi in decisioni di spesa, modificando così l’andamento del risparmio e dei consumi.
Dal 2009 l’ascensore del ceto medio ha comunque iniziato a scendere per la prima volta dal dopo guerra, la generazione del ceto medio dichiara, infatti, di aver fatto un passo indietro rispetto a propri genitori.
I genitori della classe media che oggi rappresentano il 38% delle famiglie rispetto al 57 % del 2007, hanno cambiato le attese sul futuro dei figli e queste aspettative spingono a risparmiare.
L’indagine in questione, effettuata con la collaborazione della Doxa, indica che il 26% dei genitori della classe media sta mettendo da parte dei denari per pagare gli studi ai figli, anche all’estero, il 13% risparmia per comprare una casa per i figli e un 7% sta mettendo da parte dei soldi per avviare un’attività ai propri figli.
Nella situazione generale diciamo che l’ascensore sociale non funziona più e circa tre milioni di famiglie sono retrocesse dalla classe media a redditi più popolari o in certi casi in zona povertà, un fenomeno simile a quello che ha colpito negli ultimi anni l’America meridionale.
Il ceto medio è sempre stato fondamento di democrazia e se l’ascensore sociale non funziona e le forze vive non si sentono rappresentate vi è il pericolo che questo tipo di popolazioni trovi facilmente rifugio nei populismi o estremismi.
Le statistiche dimostrano che anche in Italia a pagare il prezzo più alto, sia in termini di attese sia di reddito sia stato il ceto medio.
È nata così la «Spending review» domestica.
Gli italiani hanno tagliato le spese per l’automobile, (uno su quattro), il 60% per bar ristoranti e vacanza, il 25% per le cure mediche private, il 35% per gli spettacoli, il 50% per gli accessori e l’abbigliamento.
La classe media spende e spenderà di meno, ma alla fine si riscatterà con la qualità e la consapevolezza della spesa. Comprerà solo i prodotti che servono e non si farà comprare da loro.
Questo processo è in corso e sicuramente non si arresterà durante la ripresa del 2016. Si è instaurata invece una nuova cultura della spesa basata sulla responsabilità e sul controllo dei prodotti.
La riduzione di consumi della classe media, segue un periodo nel quale i consumi realizzati nel periodo predente alla crisi, erano eccedentari o determinavano sprechi.
Con la crisi le persone si sono trovate costrette a rivedere la priorità dei valori, e la «svalutazione» degli oggetti materiali di necessità non primaria si è accompagnata alla «rivalutazione» della persona, a cominciare della propria persona.
In questa cornice il risparmio, tradizionale punto di forza delle famiglie italiane, ha cambiato forma, è calato il numero di chi ha potuto risparmiare, passando al 38% del totale, ma nel 2015 la percentuale degli italiani che riescono a mettere da parte qualche euro è salita di cinque punti rispetto al 2012, le famiglie con in corso un mutuo è sceso dal 26% del 2007 al 21%.
Il Paese compie in tale ottica una fase importante di transizione, da economia al servizio di settori e domanda estera a economia dotata di una solida domanda interna.
Il ceto medio approda in poco più di venti anni dal 1950 al 1970 alla casa, alle vacanze, all’automobile, grazie a molto lavoro, e a una propensione al risparmio superiore ad altri paesi.
Tuttavia, rinnovare le condizioni di benessere raggiunto dal ceto medio, diventa complicato dal 1990, quando l’internazionalizzazione produce i primi fenomeni che iniziano a intaccare le posizioni.
L’Italia utilizza l’ingresso nell’euro per difendere la domanda interna e, indirettamente il ceto medio.
Ciò nonostante, la crisi fa venire a galla le debolezze finanziarie date dall’elevato debito pubblico, insieme alle debolezze strutturali. La domanda esterna cade con quella interna e le tasse vengono aumentate.
Il ceto medio in questa situazione non ha mezzi per far fronte alla crisi in tutte le sue componenti.
La crisi corrode le condizioni materiali del ceto medio residuo, che in buona parte non si riconosce nella continuità con i propri genitori.
La classe media ha quindi perso molte cose per strada, ma essenzialmente certezze e fiducia, naviga a vista e rema in mezzo a condizioni precarie. Cambia per necessità il proprio modo di essere.
L’orientamento dei risparmi è di investire, se si può, su beni duraturi e su prodotti finanziari a lunga durata.
Il ceto medio italiano aspetta una nuova e diversa prospettiva dalla contrazione, al superamento della crisi, alla sicurezza del lavoro, alla tranquillità pensionistica, che oggi interessa circa il 60 per cento del ceto medio.
Se la ripresa ripristinerà un clima di fiducia diffuso, la domanda che il ceto medio è pronto a esprimere è rappresentata dalla ristrutturazione e/o acquisto della casa, dalla sostituzione dell’auto, dall’avvio di un’attività.
Questo, chiamato anche «sogno» potrà riprendersi se le condizioni esterne saranno favorevoli.
Certo la classe media italiana, pur ridimensionata e consapevole delle difficoltà affrontate e da affrontare, ha ancora una volta energie e volontà per portare il proprio contributo decisivo alla svolta congiunturale accelerando l’uscita dalla crisi attraverso l’investimento dei suoi risparmi.
Questo è così un nuovo orizzonte che si costruisce giorno dopo giorno attraverso comportamenti precisi e impegnati, come il ceto medio ha sempre fatto e sempre farà.
Maurizio Bornancin
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