Due secoli fa nasceva Giuseppe Garibaldi, l’«Eroe dei due Mondi»
Considerato grande eroe del Risorgimento italiano, mancò solo un'occasione: quella di comandare un'armata italiana nella Guerra di Secessione Americana
Garibaldi nacque a Nizza quando
questa città era già stata annessa alla Francia in seguito alla
Rivoluzione Francese. Tornata al Regno di Sardegna dopo il
Congresso di Vienna (1815) restò sotto il governo dei Savoia fino
al 1860. Secondogenito di Domenico, capitano di cabotaggio
immigrato da Chiavari, e Rosa Raimondi, originaria di Loano. Angelo
era il nome di suo fratello maggiore, mentre dopo Giuseppe nacquero
altri due maschi, Michele e Felice, e due bambine, morte in tenera
età.
I genitori
avrebbero voluto avviare Giuseppe alla carriera di avvocato, di
medico o di prete. Il figlio amava poco gli studi e prediligeva gli
esercizi fisici e la vita di mare, lui stesso ebbe a dire di essere
stato «più amico del divertimento che dello studio». Vedendosi
ostacolato dal padre nella sua vocazione marinara, tentò di fuggire
per mare verso Genova con alcuni compagni, ma fu fermato e
ricondotto a casa. Tuttavia si appassionò all'insegnamento dei suoi
primi precettori, soprattutto dal signor Arena, un reduce delle
campagne napoleoniche, che gli impartì lezioni d'italiano e di
storia antica. Rimarrà soprattutto affascinato dall'antica
Roma.
Il padre si convinse a lasciargli seguire la carriera marittima a
Genova, e venne iscritto nel registro dei mozzi nel 1821. A sedici
anni, nel 1824, si imbarcò sulla Costanza comandata da Angelo
Pesante di Sanremo, che egli avrebbe in seguito descritto come «il
migliore capitano di mare». Nel suo primo viaggio si spinse a
Odessa nel Mar Nero e fino a Taganroc nel Mar d'Azov (entrambe ex
colonie genovesi). L'anno successivo, con il padre, si diresse a
Roma con un carico di vino, per l'approvvigionamento dei pellegrini
venuti per il Giubileo indetto da papa Leone XII. (Nella foto, Garibaldi da
Giovane)
Sui mari
d'Europa
Nel 1827 salpò da Nizza con la Cortese per il
mar Nero, ma il bastimento venne assalito dai corsari turchi che
depredarono la nave, rubando persino i vestiti dei marinai. Il
viaggio comunque continuò e nell'agosto del 1828, egli sbarcò dalla
Cortese a Costantinopoli, dove sarebbe rimasto fino al 1832 a causa
della guerra turco-russa, e si integrò nella comunità italiana e si
guadagnò da vivere insegnando italiano, francese e matematica.
Nel febbraio
del 1832 gli fu rilasciata la patente di capitano di seconda classe
e subito dopo si reimbarcò con la Clorinda per il mar Nero. Ancora
una volta la nave fu presa di mira dai corsari, ma questa volta
l'equipaggio accolse gli aggressori a fucilate.
Dopo 73 mesi di navigazione ritornò a Nizza, ma subito, nel marzo
1833, ripartì per Costantinopoli. All'equipaggio si aggiunsero
tredici passeggeri francesi. Il loro capo era un professore di
retorica che espose le idee sansimoniane all'equipaggio.
Tutto ciò contribuì a convincerlo che il mondo era percorso da un
grande fremito di libertà. Lo colpì in particolare Emile Barrault
quando affermò «che l'uomo, il quale, facendosi cosmopolita, adotta
l'umanità per patria e va ad offrire la sua spada ed il sangue ad
ogni popolo che lotta contro la tirannia è più di un soldato: è un
eroe». Poi il bastimento sbarcò i francesi a Costantinopoli e
procedette per Taganrog. Qui in una locanda, mentre si discuteva,
un uomo detto il Credente espose le idee mazziniane.
A Garibaldi le tesi di Mazzini sembravano la diretta conseguenza
delle idee di Barrault, nella lotta per l'Unità d'Italia, momento
iniziale della redenzione di tutti i popoli oppressi. Quel viaggio
cambiò la vita di Garibaldi; nelle sue Memorie riguardo a questo
evento scrisse: «Certo non provò Colombo tanta soddisfazione nella
scoperta dell'America, come ne provai io al ritrovare chi
s'occupasse della redenzione patria».
Da marinaio a
bandito
La storia vuole che Giuseppe Garibaldi abbia incontrato Giuseppe
Mazzini nel 1833 a Londra, dove si iscrisse subito alla Giovine
Italia. Tale associazione in realtà era una formazione massonica
che mirava a creare continue tensioni negli stati europei allo
scopo di convincere la popolazione che tali tensioni erano causate
dall'insoddisfazione popolare. Sospinto dall'impegno politico,
entrò nella Marina Sabauda per fare propaganda rivoluzionaria.
Insieme all'amico Edoardo Mutru cercò a bordo e a terra di fare
proseliti alla causa, esponendosi con leggerezza. I due furono
segnalati alla polizia e sorvegliati, e per questo vennero
trasferiti sulla fregata Conte de Geneys in partenza per il
Brasile.
Nel frattempo si era stabilito che l'11 febbraio 1834 ci sarebbe
stata un'insurrezione popolare in Piemonte. Garibaldi scese a terra
per mettersi in contatto con gli organi mazziniani; ma il
fallimento della rivolta in Savoia e l'allerta di esercito e
polizia fanno fallire il moto. Il nizzardo non ritornò a bordo
della Conte de Geneys, divenendo in pratica un disertore, e questa
latitanza venne considerata come un'ammissione di colpa.
Indicato come uno dei capi della cospirazione, fu condannato alla
pena di morte ignominiosa in contumacia in quanto nemico della
Patria e dello Stato.
Garibaldi divenne così un «bandito». Si rifugiò prima a Nizza e poi
varcò il confine giungendo a Marsiglia, ospite dell'amico Giuseppe
Pares. Per non destare sospetti assunse il nome fittizio di Joseph
Pane e a luglio si imbarcò alla volta del mar Nero, mentre nel
marzo del 1835 fu in Tunisia. Garibaldi rimase in contatto con
l'associazione mazziniana tramite Luigi Canessa e nel giugno 1835
venne iniziato alla Giovine Italia prendendo come nome di battaglia
Borrel in ricordo di Joseph Borrel, martire della causa
rivoluzionaria.
Garibaldi decise quindi di partire alla volta del Sud America con
l'intenzione di propagandare gli ideali mazziniani. L'8 settembre
1835 partì da Marsiglia sul brigantino Nautonnier.
Esilio in Sud
America
Tra il dicembre 1835 ed il 1848 Garibaldi trascorse un lungo esilio
in Sud America. Prima a Rio de Janeiro, accolto dalla piccola
comunità di italiani aderenti alla Giovine Italia.
Poi, il 4
maggio 1837, ottenne una «patente di corsa» dal governo del Rio
Grande do Sul, ribelle all'autorità dell'Impero del Brasile, e
prese a sfidare un impero con il suo peschereccio, battezzato
Mazzini.
Dopo molti episodi, inclusa una fuga in Uruguay, eppoi a Gualeguay,
in Argentina, prese parte alle sue prime battaglie terrestri. L'11
aprile 1838 respinse un intero battaglione dell'esercito imperiale
brasiliano). Partecipò, quindi alla campagna che portò alla presa
di Laguna, capitale della attigua provincia di Santa Caterina, il
25 luglio 1839.
Il 15 novembre l'esercito imperiale riconquistò la città, e i
repubblicani ripararono sugli altipiani, ove si svolsero battaglie
con fortune alterne. In particolare Garibaldi fu impegnato per la
prima volta in un combattimento esclusivamente terrestre, nei
pressi di Forquillas: attaccò con i suoi marinai il nemico e lo
costrinse alla ritirata.
Sconfitta la ribellione separatista, nel 1842 Garibaldi riparò in
Uruguay, dove comandò la flotta uruguaiana in una battaglia navale
contro gli Argentini e partecipò quindi alla difesa di Montevideo
con i suoi volontari, tutti vestiti con camicie rosse. Qui sposò
nel 1842 Ana Maria de Jesus Ribeiro.
Rientrò in Italia poco dopo lo scoppio della Prima Guerra di
Indipendenza.
Prima guerra
d'indipendenza
Tornato in Europa nel 1848 per
partecipare alla Prima Guerra di Indipendenza contro gli Austriaci,
dopo essere sbarcato a Nizza con Anita, i tre figli e i compagni,
Garibaldi si recò il 5 luglio a Roverbella, nei pressi di Mantova,
per offrirsi volontario al re Carlo Alberto che, avvertito dai
consiglieri della sua partecipazione all'insurrezione di Genova, lo
respinse.
Partecipò comunque alla guerra come volontario al servizio del
governo provvisorio di Milano. Con la Legione che aveva organizzato
ottenne due piccoli successi tattici, sugli Austriaci del d'Aspre,
a Luino e Norazzone.
Repubblica
Romana
Nel 1849, dopo la caduta della Repubblica Romana Giuseppe e Anita
Garibaldi in fuga, trovano rifugio a San marino
Dopo la sconfitta piemontese di Novara (22-23 marzo 1849),
Garibaldi partecipò ai combattimenti in difesa della Repubblica
Romana, minacciata dalle truppe francesi e napoletane che
difendevano gli interessi del papa Pio IX.
Fuga da Roma e morte di Anita
Con la caduta di Roma, Garibaldi lasciò la città con l'intenzione
di raggiungere Venezia dove la Repubblica di San marco, ancora
resisteva. Inseguito, ancora una volta, dalle truppe del
tenente-feldmaresciallo d'Aspre, che comandava il corpo di
occupazione austriaco in Toscana, perse anche la moglie Anita che,
malata, morì per mancanza di cure nelle paludi di Comacchio.
Con una fuga avventurosa riuscì a sfuggire alla cattura, giungendo
sino in Liguria, nel Regno di Sardegna. Qui venne invitato a non
fermarsi ed imbarcato per la Tunisia, poi per Tangeri. Passati lì
alcuni mesi, si trasferì a New York (1850) dove lavorò nella
fabbrica di candele di Antonio Meucci, l'inventore del telefono.
Dopodichè si portò anche in Perù per trovare un ingaggio come
capitano di mare.
Rientro in Italia e
seconda guerra d'indipendenza
Garibaldi tornò in Italia
nel 1854. Comprò metà dell'isola di Caprera e si mise a fare il
contadino.
Cinque anni dopo partecipò alla Seconda Guerra di Indipendenza
guidando, in una brillante campagna, i Cacciatori delle Alpi contro
gli austriaci nella Lombardia settentrionale.
Alla fine del
1859 era in Romagna per guidarvi un abortito tentativo di invasione
delle Marche e dell'Umbria, per unirle alla Lega dell'Italia
Centrale. L'iniziativa era prematura ed improvvida (assente il
consenso di Napoleone III) e venne bloccata dal generale Manfredo
fanti.
Da Quarto al Volturno
Nel 1860 Garibaldi organizzò una spedizione per conquistare il
Regno delle Due Sicilie (la Spedizione dei Mille). Raccolto un
corpo di spedizione di mille uomini, le Camicie Rosse, Garibaldi
raggiunse la Sicilia, sbarcando nel porto di Marsala e si proclamò
dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II,
chiamandolo «Re d'Otalia».
Il 13 naggio, rinforzato da alcune centinaia di volontari raccolti
nella marcia da Marsala, batté i Borbonici a Calatafimi. Dopo una
avventurosa marcia tutto attorno Palermo, il 27 maggio diede
l'assalto alla città, da Porta Termini: assalì le carceri lasciate
indifese e liberò i detenuti, dei quali molti si unirono a lui e
con le famiglie delle borgate povere della città dettero vita ad
una insurrezione popolare, tanto che i borbonici reagirono
bombardando i quartieri ribelli. La guarnigione del Regno delle Due
Sicilie accettò un armistizio che consentì loro di imbarcarsi e
fare ritorno sul continente.
Vinta la resistenza della piazzaforte di Nilazzo, Garibaldi, e
soprattutto il suo luogotenente Nino Bixio, si resero protagonisti
di una strage a Bronte. Il 20 luglio, venne pattuito una lunga
tregua con la guarnigione di Messina, che accettava di non
infastidire i volontari, a condizione di mantenere il controllo
della cittadella.
Il 19 agosto la truppa sbarcò in Calabria a Nelito. Aggirò e
sconfisse i borbonici a Reggio Calabria il 21 agosto. Cominciò una
rapida marcia verso nord, che si concluse, il 7 settembre, con
l'ingresso in Napoli. La capitale era stata abbandonata dal re
Francesco II, che aveva portato l'esercito a nord del fiume
Volturno. La battaglia del Volturno fu la più brillante tra quelle
combattute da Garibaldi in questa campagna: l'1-2 ottobre le forze
garibaldine respinsero brillantemente l'attacco dell'esercito
borbonico.
Anche se Francesco II, aveva perso le speranze di recuperare
Napoli, Garibaldi non disponeva delle forze necessarie a condurre
l'assedio delle fortezze in cui l'esercito sconfitto si era
ritirato (Capua e, soprattutto, Gaeta). Fu quindi risolutivo
l'arrivo dell'esercito del Regno di Sardegna, guidato da Fanti e da
EnricoCialdini, che avevano cacciato l'esercito pontificio dalle
Marche e dall'Umbria.
Garibaldi incontrò Vittorio Emanuele II il 26 ottobre 1860, nei
pressi di Teano (in realtà località Taverna della catena,
nell'attiguo comune di Vairano Patenora) e gli consegnò la
sovranità sul Regno delleDie Sicilie. Garibaldi accompagnò poi il
re a Napoli il 7 novembre e, il giorno seguente, si ritirò
nell'isola di Caprera, rifiutando di accettare qualsiasi ricompensa
per i suoi servigi.
Lincoln, Garibaldi e la
guerra di Secessione americana
Nella primavera del 1861
il colonnello Candido Augusto Vecchi, del seguito di Garibaldi,
scrisse al giornalista americano Theodore Tuckermann esponendo la
simpatia di Garibaldi per l'Unione. L'ambasciatore USA a Torino,
P.H. Marsh, tastò il terreno per una partecipazione dell'eroe alla
guerra di secessione in qualità di comandante di divisione.
Garibaldi non volle impegnarsi, ufficialmente poiché voleva un
impegno deciso per l'emancipazione degli schiavi, addirittura
perchè disponibile solo per il comando supremo. Ma, in realtà,
volle rifiutare perchè contava fermamente in una prossima
iniziativa di Vittorio Emanuele su Roma o il Veneto. Con queste
premesse, la trattativa si arenò.
Nell'autunno del 1862 Canisius, console USA a Vienna, riprese i
contatti, tuttavia Garibaldi, ferito e reduce dall'Aspromonte, si
trovava detenuto a Varignano: in caso di accettazione si sarebbe
prospettato un delicato caso diplomatico .
Seguirono passi da parte di Seward, segretario di stato di Lincoln,
per far decadere senza esito la clamorosa proposta.
Come dicevamo nel titolo, è l'occasione mancata di Garibaldi.
Purtroppo non poteva sapere che la Terza Guerra di Indipendenza
sarebbe scoppiata a Guerra di Secessione finita, né tanto meno che
per prendere Roma si sarebbe dovuto aspettare il 1870. Ma si provi
a pensare quale legame si sarebbe creato tra uno stato giovanissimo
come l'Italia e uno stato giovane come gli Stati Uniti d'America,
se Garibaldi avesse accettato di comandare un'armata per
Lincoln.
Ad ogni modo, con i se e i ma, la storia non si fa.
Per Roma
capitale
Per l'intera esistenza Garibaldi colse ogni
occasione per liberare Roma dal potere temporale, cacciandone, se
possibile, il papa. Egli era infatti un feroce anticlericale:
L'odio verso il papato e il clero e, in particolare, verso Pio IX è
testimoniato dal nome che Garibaldi diede al proprio asino,
«Piovono», e dal fatto che egli si riferisse al pontefice usando la
locuzione «un metro cubo di letame», oppure con la frase «la più
nociva fra le creature, perché egli, più nessun altro è un ostacolo
al progresso umano, alla fratellanza fra gli uomini e dei
popoli».
Al primo tentativo della Repubblica Romana del 1849 era legata la
morte della moglie Anita. La Spedizione dei Milla avrebbe avuto
come obiettivo, nelle sue intenzioni, non Napoli ma Roma, ma vi fu
impedito dalla resistenza dell'esercito borbonico durante l'assedio
di Gaeta e dalle considerazioni politiche del governo sardo.
Garibaldi aveva, in ogni caso, ottenuto un incredibile successo, e
su quell'onda, nel 1862, organizzò una nuova spedizione:
imbarcatosi a Caprera, raggiunse Palermo ove venne accolto dal
tripudio popolare. Attraversò indisturbato la Sicilia raccogliendo
volontari e passò lo stretto da Giardini Naxos dove aveva trascorso
la notte presso la famiglia Carrozza.
Napoleone III, l'unico alleato del neonato Regno d'Italia, aveva
posto Roma sotto la propria protezione ed il tentativo era, quindi,
destinato a fallire. Esso mise, comunque, in grave imbarazzo il
governo italiano, che stabilì di fermare Garibaldi in Calabria,
schierando contro di lui l'esercito.
Garibaldi, probabilmente, contava sul proprio prestigio per
avanzare indisturbato, certamente cercò di evitare lo scontro,
passando per una via discosta nel cuore della montagna
dell'Aspromonte. Venne comunque intercettato, i bersaglieri
aprirono il fuoco e parimenti risposero alcune camicie rosse.
Garibaldi si interpose, gridando ai suoi di non sparare, venne
ferito ad una gamba (ne narra la famosa canzone) ed al piede. Cadde
e lo scontro, la cosiddetta «giornata dell'Aspromonte» si
arrestò.
Che il tentativo del 1862 fosse velleitario, lo provarono i
successivi eventi del 1867. Garibaldi organizzò una terza
spedizione su Roma, partita questa volta da Terni, ai confini con
lo Stato Pontificio: prese la piazzaforte pontificia di
Monterotondo, ma non riuscì a suscitare la rivoluzione in Roma e
venne sconfitto dalle truppe del papa e dai rinforzi inviati da
Napoleone III alla battaglia di Mentana.
Terza guerra
d'indipendenza
All'inizio della Terza guerra di
indipendenza italiana venne riorganizzato il corpo volontario dei
Cacciatori delle Alpi, ancora una volta al comando di Garibaldi.
Anche la missione era simile a quella condotta fra i laghi lombardi
nel 1848 e nel 1859: agire in una zona di operazioni secondaria, le
Prealpi tra Brescia e il Trentino, ad ovest del Lago di Garda, con
l'importante obiettivo strategico di tagliare da occidente la via
fra il Tirolo e la fortezza austriaca di Verona. Da oriente sarebbe
stato il generale Medici (suo ufficiale) a raggiungere Trento dalla
valsugana. Ciò avrebbe lasciato agli Austriaci la sola via del
Tarvisio per approvvigionare le proprie forze e fortezze fra
Mantova ed Udine. L'azione strategica principale era, invece,
affidata ai due grandi eserciti di pianura, affidati a La Marmora
ed a Cialdini, che avrebbero duvuto risalire la valle
dell'Adige.
Garibaldi
operò inizialmente a copertura di Brescia, per poi passare
decisamente all'offensiva, aprendosi, con la vittoria alla
battaglia di Bezzecca, una strada oltre a Riva del Garda verso
Trento. Fu fermato dalla firma dell'armistizio di Cormons, quando
ancora il Regio Esercito Italiano era fermo a Verona indeciso sul
da farsi.
In quest'occasione, ricevuta la notizia dell'armistizio e l'ordine
di abbandonare il territorio occupato, rispose telegraficamente
«Obbedisco», parola che successivamente divenne motto del
Risorgimento italiano e simbolo della disciplina e dedizione di
Garibaldi. (Nella foto, il
telegramma di Garibaldi)
In Francia
Durante la Guerra Franco-Prussiana del 1870-1871, Garibaldi guidò
un esercito di volontari a sostegno dell'esercito della nuova
Francia repubblicana (battaglia di Digione). A seguire la resa
francese, nel 1871 Garibaldi fu eletto deputato alla nuova
Assemblea Nazionale francese nelle liste dei repubblicani radicali
come deputato della Côte-d'Or, Paris, Algeri e, naturalmente,
Nizza: questa quadruplice elezione fu, tuttavia, invalidata dall'
Assemblea.
Ciò avvenne ufficialmente a causa delle sue posizioni contrarie
alla annessione di Nizza alla Francia, più realisticamente per
paura della sua popolarità di eroe «socialista»: la stessa
assemblea, d'altra parte, si sarebbe presto occupata della
repressione della Comune di Parigi.
L'atteggiamento della Assemblea verso Garibaldi, spinse alle
dimissioni un deputato del calibro di Victor Hugo.
Morte
Nel 1880 sposò la piemontese Francesca Armosino, donna di umili
origini e sua compagna da 14 anni e dalla quale ebbe tre figli; di
cui una, Rosita, morta da piccola. La sua ultima campagna fu
politica, e riguardò l'allargamento del diritto di voto, nella
quale impegnò l'immenso prestigio e la fama mondiale conquistate
con le sue incredibili vittorie.
Morì a Caprera
il 2 giugno 1882. Nel testamento, una copia del quale è esposta
nella casa-museo sull'isola di Caprera, Garibaldi chiedeva
espressamente la cremazione delle proprie spoglie. Desiderio
disatteso dalla famiglia, pare pressata da Francesco Crispi, che
preferì, addirittura, farlo imbalsamare. Attualmente la salma giace
a Caprera in un sepolcro chiuso da una massiccia pietra grezza
bianca. Sembra che negli anni '30 fosse stata effettuata una
ricognizione della salma, che sarebbe stata trovata in perfetto
stato di conservazione.
Garibaldi, nel testamento, inserì anche dei passaggi per sventare
eventuali tentativi di (presunta) conversione alla religione
cattolica negli ultimi attimi della vita:
«Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete,
profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e
della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in
opera ogni turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è
maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze
passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che
trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun
tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d'un prete,
che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in
particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa
ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un
discendente di Torquemada.»
Testi e foto
ricavati da Wikipedia, l'Enciclopedia in
Internet.