Giovani in azione: Alessia Matrisciano – Di Astrid Panizza

Una vita sul palco con la penna in mano, da Rovereto a Roma per passione del teatro

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Alessia ha 24 anni, è nata e cresciuta in Trentino, tra il paese di Volano e Rovereto, ma se la sentite parlare notate una cadenza che ha ben poco del Trentino e più del romano.
I capelli corti e l’intraprendenza di una donna che si inventa ogni giorno storie nuove sono le caratteristiche che rispecchiano la sua personalità.
A lei piace mettersi in gioco, ma soprattutto le piace scrivere. Ha pubblicato diversi libri di poesie quando ancora giovane grazie alla sua passione per carta e penna, ed è riuscita a vincere più di un premio letterario.
Poi però la vita l’ha portata lontano dalle montagne, ha cominciato nel 2012 l’Università di Letteratura, Musica e Spettacolo alla Sapienza di Roma, dove ha poi messo radici.
Ora si occupa di teatro, scrive la drammaturgia degli spettacoli che poi mette in scena in due teatri con cui collabora: «Teatro Trastevere» e «Studio 1».


 
Alessia, come mai hai deciso di intraprendere un percorso così particolare e «raro», qual è la stesura di pezzi teatrali?
«È una domanda interessante perché mi consente di ripercorrere tutto il mio percorso di vita. Ho sempre scritto e già da piccolina il mio sogno era quello di diventare una scrittrice, ho iniziato al Liceo con dei concorsi letterari in cui presentavo racconti o poesie che mi hanno permesso di girare per il Trentino a presentarli.
«Dalla mia raccolta di poesie ho pubblicato dei libri che hanno accresciuto la mia passione per la letteratura.
«In realtà mi sono poi accorta che il mondo della letteratura non mi piaceva poi così tanto perché sommerso dalla logica della casa editrice, che non fa respirare l’autore, non lo lascia libero ma costretto dal mercato.
«Ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Letteratura, Musica e Spettacolo alla Sapienza di Roma, dove per caso ho seguito un corso di Teatro. Mi sono resa conto che quello era il mezzo giusto per portare la poesia alla vita.
«Ci sono infatti in teatro persone che stanno insieme e condividono la stessa forma d’arte, la vivono insieme. Ho cominciato così a scrivere per lo spettacolo.
«Avevo anche iniziato l’Accademia teatrale, ma dopo un anno ho lasciato, preferendo invece mettermi a scrivere ininterrottamente.»
 
Perché hai deciso di spostarti fino a Roma per seguire il corso universitario e poi rimanerci?
«Il Trentino è una bella provincia, si vive bene, ma per un giovane non è facile farsi strada nel mondo del lavoro, soprattutto se in ambito artistico culturale come ciò di cui mi occupo io. La ragione è che non ci sono abbastanza posti, abbastanza iniziative. È una realtà piccola e spesso la libera imprenditoria non è facile da sviluppare, ma è controllata dal welfare regionale.
«Invece in una grande realtà come quella di Roma vedo come, anche se la concorrenza è spietata e a volte si creano delle inimicizie, è più facile esprimersi e trovare persone che credono in te. Ho avuto la fortuna di trovare due piccoli teatri che hanno deciso di investire in quello che faccio.
«Sono due piccole realtà totalmente autofinanziate che però fanno un lavoro enorme di scoperta di giovani talenti. Ho partecipato ad un concorso da loro e da lì è partito tutto. Io scrivo la drammaturgia dei miei spettacoli e mi occupo anche della regia e loro mi concedono uno spazio lo spazio in cui portare in scena le opere.»
 

 
C’è un messaggio che vuoi trasmettere quando scrivi e quando metti in scena i tuoi lavori?
«Allora, partendo dal fatto che non è mia intenzione ergermi a maestra di vita, semplicemente cerco di esprimere un disagio personale, o un problema che vedo attorno a me, e lo descrivo a mie parole.
«Poi quando lo spettacolo viene preparato cambia tutto, si stravolge magari l’idea e non esce esattamente quello che volevo dire, quello che trasmetto può essere liberamente interpretato, e questa è una cosa che mi piace tantissimo. Diciamo che lascio le mie opere a un livello ambivalente.
«Per farti un esempio, in uno spettacolo che ha avuto un discreto successo - Pollini - volevo che si parlasse di tante cose: dagli stereotipi di genere, a quelli di omosessualità, semplicemente avevo pensato di creare situazioni spiacevoli che si vivono ogni giorno. Poi alla fine il tutto si è evoluto e dell’idea principale è uscito poco, chi andava a vederlo guardava uno spettacolo sul primo amore.
«La ragione? Perché tutto era partito da un disagio che ho vissuto quando ero adolescente, ma che può essere capitato a moltissime altre persone. Ho avuto grandi difficoltà ad approcciarmi all’altro sesso, all’amore.
«Il fatto di portare i capelli corti e che a sedici anni non avessi mai avuto un ragazzo ha insinuato il dubbio nei miei conoscenti che potessi essere omosessuale. Alcuni me l’hanno proprio chiesto.
«Non è così nel mio caso, ma se in una situazione del genere si fosse trovata una ragazza lesbica magari avrebbe scatenato dentro di lei una grande tristezza o rabbia, comunque sentimenti negativi e di disagio interiore che non dovrebbero mai accadere.
«Volevo riportare quello che mi sembra essere un eco della società, un problema non mio ma comune. Perché ci devono essere delle etichettature? 
«Quindi da tutto ciò, in Pollini esce lo stereotipo del primo appuntamento. Come dovrebbe essere un appuntamento perfetto? Come dovrebbe essere una ragazza per piacere ad un uomo? Sono state messe in scena la timidezza iniziale, le brutte figure, parole dette a caso per paura di essere fraintesi. Rappresenta quindi due persone che si trovano a vivere un’esperienza totalmente diversa rispetto a quello che l’amore è veramente.»
 
Com’è una tua giornata tipo?
«Ti dico già subito che per fare questo lavoro bisogna trovarsi un altro lavoro purtroppo, dal teatro si guadagna poco e quindi bisogna rimboccarsi le maniche.
«Detto ciò, mi alzo, mangio un cornetto e vado a prove di teatro dalle 10 alle 13:30. Poi mi attraverso tutta la città per raggiungere il call-center dove lavoro. Rimango fino alle 18, poi esco con i miei amici e vado a teatro la sera. Una giornata intensa, non sono mai a casa!»
 
Quali sono le difficoltà maggiori che incontri?
«Principalmente i soldi, perché se non hai i soldi non hai il tempo necessario per preparare uno spettacolo, e soprattutto non hai gli attori, che sono nelle stesse condizioni tue e a volte non si fidano per la paura di non essere pagati. È vero che c'è la passione, ma ad un certo punto i soldi sono il problema grande con cui ci scontriamo.
«Inoltre a causa della competizione molto forte si creano inimicizie o disprezzi, persone che cercano di metterti i bastoni tra le ruote e questo comporta un ulteriore problema.»
 

 
Ti senti realizzata in quello che fai?
«Se penso al percorso che ho fatto, alle critiche che ho ricevuto, ma ai premi che poi ho vinto, questo sì, è per me un sogno realizzato.
«Un mio spettacolo che ha ricevuto riconoscimenti nazionali parla di un ragazzo di cui mi ero innamorata, un narcisista. Ho scelto quindi di raccontare della figura di Narciso. Il testo è molto complesso, paradossalmente difendo la figura di quest’uomo che ama solo se stesso, un personaggio antipatico che è molto presente nella società di oggi.
«Lo prendo e lo distruggo, lo ricostruisco, ne scrivo un canto d’amore nel mezzo. Si è trattato in questo caso di uno spettacolo in cui è uscito molto di personale ma viene riletto in chiave poetica.
«Questa messa in scena ha vinto molti premi e riesco a metterlo in scena grazie ai riconoscimenti ottenuti. Quindi anche il fatto di partire da una mia esperienza e riuscire a trasmettere un’emozione vera mi sembra un grande successo.»
 
Come ti vedi in futuro?
«Non lo so perché è chiaro che io mi vedrei a scrivere per il teatro, per gli altri, e a portare i miei spettacoli in giro per l'Italia. Però è un mondo difficile il teatro, soprattutto in questo clima di crisi italiana, in cui le arti vengono spesso lasciate da parte.
«Dipende, dipende molto dai momenti e dalle occasioni. Per dirti, l'anno scorso siamo riusciti a portare uno spettacolo in Trentino grazie al crowfunding [raccolta fondi – NdR], ma quest'anno non ci siamo riusciti per uno spettacolo a Napoli e quindi abbiamo dovuto rinunciare alla trasferta.
«Il pubblico trentino è fantastico! Non vedo l'ora di poter portarci il prossimo, spero che salti fuori una qualche opportunità data dalla Provincia.»
 
«Vorrei finire dicendo che sono venuta qua senza conoscere nessuno e a volte stavo per arrendermi, ho provato a fare anche altri lavori, perché in qualche modo avanti bisogna andare. Però non riuscivo a non smettere di sognare, ho voluto continuare e devo ammettere che ci sono delle persone splendide al mondo che senza nessun tornaconto hanno deciso di sostenermi.
«Persone che prima che vedessero i miei spettacoli non avevano idea di chi fossi, ma una volta che hanno realmente capito quello che faccio e come lavoro mi hanno incoraggiata a proseguire.
«Effettivamente con tutti i problemi di Roma, il bello è che se uno vuole crescere ci può riuscire. Quindi la tipica espressione italiana C'è sempre un raccomandato, non è totalmente vera.»

Credo che la fine giusta per quest’intervista sia semplice, di poche parole tratte da un celebre romanzo di Luis Sepulveda: «Vola solo chi osa farlo».

Astrid Panizza
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