«Piccole Donne? No, moderne…» – Di Minella Chilà

Abbiamo le stesse incombenze che avevano le nostre mamme, che però stavano a casa…

Fateci caso. Guardate meglio le donne che vi passano accanto e vi accorgerete di un particolare a cui sinora non avete dato importanza: la maggior parte di esse ha le spalle curve
Alcune solo un accenno, altre - in maniera palese - si muovono protese in avanti e spesso si siedono accasciandosi, ingobbite.
Si tratta di donne giovani curve sui figli, ma anche di donne con più anni che hanno ormai assunto quell’andatura un po’ ripiegata su sé stesse, un po’ perdente.
 
Eppure la maggior parte di esse è impegnata in un lavoro soddisfacente, ha una bella famiglia, frequenta gruppi di amiche, decide e organizza la propria vita sociale, ma sempre con quel senso di colpa incombente: non riuscire a fare tutto e bene.
Questa sensazione, le donne se la trasciniamo nella vita di tutti i giorni. Ma la propria autostima crolla, quando si creano una famiglia e mettono al mondo un figlio.
Il meccanismo si inceppa e tutto quello che avevano faticosamente costruito vacilla pericolosamente sotto il peso di tutti i compiti che sentono di dover assolvere, sia fisicamente che moralmente.
 
Paradossalmente esattamente l’opposto di quello che invece accade nella vita di un uomo, quando diventa padre e ha un rapporto stabile.
Negli ultimi anni, forse anche decenni, abbiamo assistito a un progressivo e qualificato cambiamento di ruolo della donna nella società, non abbiamo più paura di prenderci delle responsabilità.
Progettiamo, comandiamo gruppi di uomini, siamo diventate carabinieri e finanzieri, non facciamo più solo le vallette tv, ma allora cosa pesa sulla schiena di una ex «angelo del focolare», al punto da incurvarla?
 
Queste donne lanciate nel mondo del lavoro in tutti i campi e ambiti - sempre, però, attenzione, con salari più bassi e possibilità di carriera più ridotte - hanno ottenuto esattamente due cose.
La prima è quella di aver deresponsabilizzato il proprio compagno che già prima godeva di certi privilegi, sgravandolo da tutti i compiti, anche quelli tipicamente maschili.
La seconda, aver semplicemente aggiunto al tempo dedicato alla propria occupazione il lavoro familiare: cura dei figli, faccende domestiche, spesa, bucato, in breve tutto quello che facevano le nostre nonne e la maggior parte delle nostre mamme… però stando a casa.
 
Non si può e non si deve tornare indietro. Il diritto ad avere nella società un posto di rilievo non deve essere sacrificato per stare a casa e curare figli e genitori anziani, il problema è stabilirne il prezzo e chi lo devo pagare.
È mai possibile che per una donna italiana quando nasce un bambino cominci il solito calvario di «dove lasciare il bambino, non c’è posto al nido, si è ammalato, chiamo una baby-sitter, ma non mi conviene visto quanto la devo pagare rimango a casa io»?
Situazioni che, vista anche la percentuale ridicola di utilizzo dei congedi parentali da parte degli uomini, pesano quasi esclusivamente sulla donna.
 
La questione, sebbene complessa, può essere affrontata intanto partendo da noi stesse. Occorre anzitutto imparare a delegare al proprio compagno, cercando di liberarsi di quel senso di inadeguatezza che ci porta a dover dimostrare continuamente di essere all’altezza, concedendoci la possibilità di riposare e di dedicarci a noi stesse e alle nostre attività.
 
Altra grande risorsa da sfruttare sono le altre donne. Quindi, in mancanza di adeguate risposte istituzionali, occorre creare ambienti al femminile, introducendo i nidi aziendali tra le priorità dei lavoratori, promuovendo gruppi di mutuo aiuto. Una rete tra mamme lavoratrici, grazie ai quali poter favorire la tanto agognata conciliazione tra il lavoro e la famiglia, .
Oltre al beneficio immediato, nel tempo, potrebbe contribuire a spostare il nostro baricentro verso posizioni più equilibrate e chissà ad avere anche... la schiena più dritta!
 
Minella Chilà
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