I soldati al fronte hanno parlato per voce di Andrea Castelli
L'attore trentino ha interpretato alcune lettere inviate dal fronte
Se i nomi e i cognomi degli 11.400
caduti della Grande Guerra fanno impressione, riportati uno accanto
all'altro sul lungo lenzuolo bianco del Memoriale «Nel cuore
nessuna croce manca» esposto nella sala di rappresentanza del
palazzo della Regione, ascoltare le loro parole per voce a tratti
dolce a tratti roca di Andrea Castelli fa rabbia.
Le parole scritte più di novant'anni fa nelle lettere dal fronte o
nei diari scritti dai nostri ragazzi mandati al macello nella più
totale incoscienza, con assoluta indifferenza e con colpevole
superficialità, è stato veramente angosciante.
La sala era gremita di pubblico, ieri nel tardi pomeriggio, per
ascoltare in religioso silenzio Andrea Castelli che affrontava gli
scritti della Grande Guerra, che si lascia visibilmente commuovere
nel leggere la vicenda del povero Giovannino di Cles, giovane
Kaiserjäger divenuto amico degli italiani del fonte
opposto, ucciso «come un capriolo» dal tenente di nuova nomina
appena giunto in trincea.
«Dobbiamo ringraziare Andrea Castelli - ha detto al termine
l'assessore Panizza - per averci regalato una serata su cui
riflettere. Sono parole di persone vive, quelle che abbiamo
ascoltato stasera, che si sono trovate a sopportare il dramma della
guerra in solitudine, straziati dalla nostalgia di casa,
consapevoli del dramma epocale che stavano vivendo e di cui erano
vittime. Da oggi, però, nel nostro cuore sono ben piantate tutte le
loro croci: le croci dei morti vittoriosi, ma soprattutto le croci
dei morti dei vinti.»
Il recital di Andrea Castelli è cominciato con la lettura della
bella poesia di Giuseppe Ungaretti «San Martino del Carso», da cui
è tratto il titolo del Memoriale «Nel cuore nessuna croce
manca».
«Mi sono avvicinato a questi testi con una umiltà e una delicatezza
tutte particolari - ha detto l'attore nel presentare la serata. -
Questo è materiale che venne scritto non per essere recitato, né
per essere oggetto di recital: sono scritti assolutamente privati,
che scavano nel vissuto emotivo e affettivo di questi uomini
scaraventati al fronte. Vien quasi pudore nel leggere i sogni, le
speranze, le rabbie di questi soldati, che per moltissimo tempo
sono rimasti senza identità anche dopo morti. Confesso che più di
una pagina mi ha realmente commosso: non la commozione recitata del
professionista, ma la commozione reale, umana, quella che ti prende
la gola e lo stomaco.»
In una sapiente mescolanza di scritture private di diari e lettere
scritte a casa e di brani tratti dai libri di Robert Musil,
Clemente Rebora, Lorenzo Dalponte, il recital ha catapultato un
pubblico numeroso e attento direttamente al fronte.
Ed ecco allora le parole di Sebastiano Leonardi che ripensa, nel
suo diario, al paesello natio lasciato in tutta fretta, senza
nemmeno il tempo di salutare tutti gli affetti più cari.
«Voi che mi amate, non vi scordate di me!»
Ecco Umberto Artel, di Avio, descrivere con toni strazianti la
partenza per il fronte, con «i bimbi che ci baciano nel vederci
partire per una guerra voluta dagli austriaci e subìta da tutti gli
altri con rassegnazione, e senza entusiasmo».
Ecco la voce imperiosa e adirata del deputato Alcide De Gasperi che
si alza al parlamento di Vienna (siamo nel '17), per denunciare le
liste di proscrizione fatte circolare dalle autorità imperiali per
arrestare, deportare, confinare medici, possidenti, contadini,
insegnanti, sacerdoti trentini colpevoli solo di sospetto
irredentismo, «trattati come delinquenti senza una ragione
plausibile».
Gli fa eco l'ordinanza emessa dal generale von Dankl, che impone ai
responsabili dei distretti del fronte meridionale di «trattar
con benevolenza e con giustizia i tirolesi-italiani...»
Anche il soldato Guerrino Botteri scrive dalla Galizia parole
amare.
«L'italiano è qui considerato un porco vigliacco...».
Aggiunge Enrico Holzhauser: «Siamo trattati come cani. Quando parte
una compagnia austriaca, feste e suon di fanfare, quando parte una
compagnia italiana, siamo inseguiti da male parole... Meglio
fucilarli tutti, questi traditori italiani... muli, maiali,
polenta!»
Parlano e scrivono anche i soldati torturati per un nonnulla, per
quisquilie che al fronte s'ingigantiscono oltre ogni limite.
È il caso di Emilio Fusari, che per tre pere rubate in Galizia
viene legato al palo di un telegrafo e costretto a starsene per ore
e ore sulle punte dei piedi, mentre lì accanto i sottufficiali
austriaci gozzovigliano indifferenti...
«Il mio soffrire a nessuno fece compassione!»
In chiusura, ecco l'accorato appello di Battista Chiocchetti di
Predazzo, che così scrive dalla trincea in prima linea in cui è
finito per una guerra incomprensibile.
«Penso al natio paesello tirolese dove lasciai la famiglia e
un'adorata ragazza. Dovetti lasciar tutto all'improvviso per andare
a farmi uccidere da gente che non conosco e per una causa che non
comprendo!»
Quello che è impressionante, aggiungiamo noi, è che analoghe parole
siano state scritte e inviate a casa da tutti i fronti di quella
porcheria mondiale che fu la Grande Guerra.