La cooperazione trentina, fra presunzioni e amnesie – Di Maurizio Panizza

Il Movimento Cooperativo del Trentino ha nel proprio archivio esempi significativi per poter individuare buoni anticorpi per fare fronte alle beghe e agli arrivismi interni

La Cooperazione Trentina è ancora nel caos perché una parte minoritaria di essa (quella che rappresenta le Cooperative sociali) reclama maggior visibilità all’interno del Consiglio d’Amministrazione.
Giusto o meno che sia, il braccio di ferro giunto paradossalmente a pochissimi mesi dall’elezione degli organismi direttivi, pare seriamente mettere in dubbio non solo gli equilibri della Federazione, ma anche la stessa credibilità del Movimento.
Credibilità, è da dire, guadagnata a grande fatica dopo che l’elezione di Marina Mattarei era stata salutata ovunque con soddisfazione come segno di cambiamento e rinnovata fiducia nel futuro.
 
Così, come accaduto su altro versante (quello politico) all’ex maggioranza in provincia, aggiudicatasi il primo premio per la litigiosità e l’incoerenza, il rischio ora è che si ripeta il medesimo copione anche per la Federazione delle Cooperative Trentine. Una specie di «muoia Sansone con tutti i Filistei».
Eppure, rispetto alla politica, il Movimento Cooperativo del Trentino avrebbe nel proprio archivio esempi significativi per poter individuare buoni anticorpi per fare fronte alle beghe e agli arrivismi interni.
Basterebbe riprendere in mano la Storia del movimento e approfondirne un po’ i retroscena per comprendere come la democrazia, il rispetto per l’avversario e per le decisioni prese, la partecipazione e i valori fondativi possano essere molto attuali anche oggi a patto che ci sia ancora la volontà di studiarli e l’umiltà di accettarli.
Nel 1899, agli albori della Cooperazione trentina si impose una scelta di campo nel Movimento Cooperativo.

Don Lorenzo Guetti.

Al Congresso di Mori si affrontarono dialetticamente due posizioni distinte: quella cosiddetta «neutrale» (in continuità con le tesi di don Guetti, morto l'anno prima) e quella portata avanti da don Giovanni Battista Panizza che si rifaceva ai valori del cattolicesimo (all'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII) nonché alla «Terza via» dell'economista Giuseppe Toniolo, l'alternativa, cioè, al capitalismo da una parte e al socialismo dall'altra.
I valori propugnati erano quelli dell'uguaglianza, della partecipazione, del rispetto reciproco, della fratellanza («tutti per uno, uno per tutti»).
Prevalse in assemblea la tesi di don Panizza che come Presidente della Federazione per i successivi 20 anni plasmerà la Cooperazione trentina così come poi l'abbiamo conosciuta e apprezzata fino ai nostri giorni.
 
Ma ora che la crisi di questi ultimi anni è evidente, altrettanto evidente dovrebbe essere la necessità di tornare in qualche modo alle origini, a fare dei valori associativi il terreno di coltura della Cooperazione.
Quello di Mori, che fu un passaggio epocale, oggi purtroppo è stato del tutto dimenticato.
La stessa Federazione ha trascurato (scientemente?) l'importanza della matrice cristiana voluta da don Panizza relegando quella «storia» a meno di 10 righe nella sua «Guida alla Cooperazione Trentina».

Don Giovanni Battista Panizza.

Eppure, volenti o no, è da lì che bisogna riprendere il filo spezzato, perché se la «rivoluzione cristiana» (lo dice uno che è laico e non credente) fosse un paradigma accettato e condiviso nella società di oggi, potrebbe essere completamente diverso il dispiegarsi della politica e del potere.
 
Un potere subdolo che nel consumismo e nella ricchezza riconosce i suoi punti di forza e che purtroppo vede nella salvaguardia dell’ambiente, del lavoro e della dignità dei lavoratori aspetti sempre più marginali in un mondo che ormai, ahinoi, pare avviarsi verso l’autodistruzione.
 
Scriveva don Vittorio Cristelli, sedici anni, fa a proposito di don Panizza: «Nell’era dei computer, dell’organizzazione manageriale e delle imperanti leggi di mercato, quello di don Panizza è un messaggio da recepire e da rilanciare.
«Perché lui, da figlio del suo tempo, può anche avere esagerato nel rivendicare alla matrice cristiana l’esclusiva della formazione dei valori, ma non ha certo sbagliato nel ritenere che l’economia, senza i valori, può anche essere assassina.»