«Per rilanciare la competitività italiana ci vogliono le riforme»

Al Festival dell’Economia Carlo Cottarelli presenta il suo libro «I sette peccati capitali dell'economia italiana»

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Grande attesa stamani a Trento, ed era comprensibile, per l'arrivo di Carlo Cottarelli, in agenda fra i relatori del Festival dell'Economia - per la presentazione del suo libro «I sette peccati capitali dell'economia italiana» - ben prima del mandato affidatogli dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Arrivato nell'auditorium della facoltà di Trento in perfetto orario, Cottarelli, economista per anni in forze al Fondo Monetario Internazionale, ha dedicato solo una breve battuta alle recenti vicende politiche, esprimendo soddisfazione per il fatto che l'Italia abbia un nuovo governo.
 
Venendo ad uno dei temi caldi del dibattito attuale, si è detto fermamente convinto che uscire dall'euro per l'Italia sarebbe un errore, e in ogni modo «non potremmo risolvere tutti i problemi facendo stampare denaro alla Banca d'Italia, anzi, con una ipotetica nuova moneta gli standard di rigore forse dovrebbero essere più forti di ora.
«Ma nel mio libro dico anche che noi abbiamo vissuto male la nostra entrata nell'euro, perché pensavamo di poter fare le stesse cose che facevamo prima. Così i nostri costi di produzione hanno continuato a crescere abbattendo la nostra competitività soprattutto nei confronti della Germania.
«La svalutazione però non è la soluzione. Deprimerebbe il potere d'acquisto e penalizzerebbe i risparmiatori.»
 

 
Per Cottarelli bisogna mettere mano a burocrazia, evasione fiscale, corruzione, accorciare i tempi della giustizia civile.
«Questi peccati capitali influiscono sulla nostra bassa produttività. Se poi riusciamo a ridurre anche un po' il debito, ne gioveranno tutti.»
In quanto al costo del lavoro, esso rappresenta un fattore importante. Paesi come Spagna e Portogallo hanno recuperato produttività agendo lì.
Ma questo per Cottarelli non deve essere l'unico fattore considerato. Ad esempio, è determinare investire nella pubblica istruzione.
«In una società meritocratica il punto di partenza deve essere uguale per tutti, e ciò significa avere una scuola e una università buone in ogni parte d'Italia.»
 
Per Cottarelli l'uscita dall'euro comporterebbe un rischio simile a quello corso dall'Argentina all'inizio degli anni 2000.
E il Giappone? «Per molti è un mito, perché ha un debito molto alto, ma non è in crisi. Tuttavia il Giappone ha anche una delle crescite più basse nel mondo, assieme a Italia e Grecia.
«Però l'uscita dall'euro non è l'unica soluzione per crescere rapidamente. Noi stiamo già recuperando rispetto alla Germania, il divario di competitività si è già ridotto dal 30 al 20%.
«Se riusciamo a fare le riforme necessarie possiamo farcela.»
 

 
Anche per Andrea Boitani, sul tavolo dei relatori assieme a Cottarelli e Gianfranco Viesti, uscire dall'euro non è una soluzione.
Non lo è neanche per i privati, comprese banche e imprese, che hanno contratto i loro debiti in euro.
«Nella transizione ad una ipotetica nuova situazione la ricchezza del Paese verrebbe distrutta. Le conseguenze sarebbero inimmaginabili.»
Ma è tempo di abbandonare l'austerità. L'evidenza è che i paesi che hanno insistito di più nell'austerità negli anni della recessione sono quelli che sono cresciuti di meno.
Va invece ridotto il peso dello stato, ma intendendo con questo le proprietà statali, aumentando la concorrenza ed eliminando lacci e lacciuoli in certi settori, anche se ce ne vorrebbero di più in altri, perché la liberalizzazione del settore finanziario non avrebbe portato i risultati sperati.
«Ma se vogliamo un'economia più libera abbiamo bisogno al tempo stesso di più stato per garantire la sicurezza sociale. Il rischio è il peggiore ingrediente nella disuguaglianza perché le persone che hanno redditi bassi e accesso ridotto ai servizi rischiano maggiormente di cadere sotto la soglia di povertà. Più mercato e meno assicurazioni sociali erano la ricetta di Reagan e della Tatcher, non credo abbiano funzionato e non credo che funzionerebbero in Italia.»
 
«Ottinger doveva essere mandato via, non basta una scusa quando si dicono certe cose, – ha ripreso Cottarelli, interrogato sul tema della corruzione. – Tuttavia non dobbiamo negare i nostri peccati, se vogliamo migliorare.
«È giusto essere criticati, con i dovuti toni. Però attenzione: la legge di bilancio della Germania è dannosa per noi e per tutti, Germania compresa. Continua a mantenere la bilancia dei pagamenti tedeschi in forte avanzo. I tedeschi producono per tutti, e non consumano.
«Farebbe meglio la Germania a stimolare la spesa, ad esempio con nuova spesa pubblica, e ciò genererebbe domanda anche in altri paesi. Quando ne discutevo al Fondo monetario con i colleghi tedeschi, in passato, loro ci rimproveravano a loro volta di avere usato la svalutazione come strumento di competitività.
«Nel frattempo altri paesi, come Spagna e Portogallo, hanno recuperato il divario di competitività con la Germania, ma pagando un prezzo elevato. Noi non dovremmo solo guardare al costo del lavoro, ma al complesso dei costi di produzione, recuperare anche da altre parti, ad esempio sul fronte della burocrazia.
«Sull'intervento dello stato, sono d'accordo che ci vuole una rete di protezione, ormai questo è un mantra anche al FMI. al tempo stesso si potrebbe tagliare un po' sulla tassazione e certi settori andrebbero deregolamentati. Siamo di gran lunga un paese con troppe regole, inutili e dannose.»
 

 
Infine Gianfranco Viesti, che si è detto in disaccordo con alcune delle posizioni espresse da Cottarelli, il particolare nel suo libro «I sette peccati capitali dell'economia italiana», che era al centro dell'incontro.
«Io non credo che l'Italia sia un paese a basso capitale sociale, come si sostiene nel libro. Se si parte da qui si arriva necessariamente a dire che bisogna ridurre il più possibile i costi che gravano sull'intrapresa privata.
«Questa ricetta non è sufficiente. Così come non credo che la competitività sia un problema di prezzi e di costi. Penso invece che la competitività oggi sia determinata dalla diffusione delle tecnologie, dall'integrazione nel sistema internazionale e nelle catene di valore.
«La strada per l'Italia è agire sull'aumento della produttività, non sul costo del lavoro. In primo luogo, dunque, l'istruzione. Siamo il paese europeo con meno laureati giovani.
«Poi il tema degli investimenti pubblici, della dimensione delle imprese, delle economie urbane, della socialità.»
 
Nella sua replica finale Cottarelli ha detto che non ritiene il costo del lavoro l'unico fattore su cui intervenire, anche se esso è importante, perché «quando in economia si presenta un problema è meglio cominciare ad esaminare le questioni più semplici, poi le altre.»
Tuttavia esistono anche altri fattori importanti, fra cui l'istruzione pubblica, che è garanzia di eguaglianza nelle posizioni di partenza.
«Bisogna avere istruzione e formazione di qualità in tutto il Paese, e questo vale soprattutto per il Sud.»