Festival dell’Economia – I sondaggi servono ancora?

Scontata la risposta affermativa (ma condizionata) degli interessati, curiose le affermazioni laterali e gli aneddoti

Servono ancora i sondaggi? E se sì, a cosa? A conoscere un po' meglio la nostra realtà?
A prevedere il futuro, placando le ansie di politici e opinione pubblica (o al contrario accrescendole)?
Oppure ancora, a pilotare gli orientamenti degli elettori?
La voce.info ha chiamato a rispondere a questi quesiti Piergiorgio Corbetta e Giancarlo Gasperoni, sociologi all'università di Bologna, Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research, Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos, e Roberto Weber, presidente SWG.
Su una cosa i relatori hanno concordato: le richieste dei committenti (ma anche dei media e dell'opinione pubblica) nei confronti di chi si occupa di sondaggi per professione crescono continuamente, rasentando a volte l'assurdo.
Al tempo stesso, cresce la difficoltà di fare previsioni scientificamente attendibili.
Comprensibile quindi, come nel caso delle ultime politiche, che il margine di errore si accresca. Anche se, prima di pretendere delle buone risposte, sarebbe forte utile formulare le giuste domande. 
 
Piergiorgio Corbetta, nel suo intervento iniziale, ha illustrato due delle difficoltà di fondo: innanzitutto i sondaggi si basano su abbonati al telefono fisso (mentre oggi la maggior parte dell'utenza, specie quella giovane, ha un telefono mobile); in secondo luogo, la diffidenza delle persone nel rispondere, cosicché per avere 1000 risposte (un campione comunque basso) bisogna contattare almeno 9.000 persone.
Cresce anche il numero degli indecisi, mediamente il 25% del campione. Crescono quindi i Margini di errore: anche del 6% per le coalizioni molto grandi.
Quindi, stime aleatorie,e sondaggi pubblicati anche sulle maggiori testate prive di affidabilità, che danno conto di presunti scostamenti dello 0,1%.
 
Giancarlo Gasperoni ci ha mostrato invece una visione da dentro della macchina che produce i sondaggi.
Innanzitutto, ha spiegato, i sondaggi politico-elettorali resi pubblici sono solo una piccola parte del totale.
Spesso i committenti li tengono per sé. In secondo luogo, i sondaggi vengono guardati in genere per la loro funzione predittiva, ma essa non è l’unica né spesso la più importante.
I sondaggi molte volte hanno una funzione primariamente conoscitiva e di costruzione del consenso. Infine stanno cambiando le stesse modalità di realizzazione dei sondaggi: ad esempio, spesso non sono più inchieste campionarie, ma aggregazione di varie inchieste, di varie fonti.
E ancora, sempre più spesso si pone attenzione anche ai social media, all’opinione pubblica così come viene espressa in rete. 
 
Alessandra Ghisleri ha detto che nel '95, quando ha iniziato la sua carriera, la copertura dei telefoni fissi era pari al 90%, del totale degli abbonati, oggi a stento arriva al 40.
Gli studi pubblicati, dal canto loro, sono circa il 5% del totale. Il resto, commissionato da privati, rimane nascosto.
Oggi però la sfida maggiore è forse quella dell'investimento nelle tecnologie, perché le persone si esprimono anche in internet, sui social network, bisogna quindi aprire il campione, affrontare l’eterogeneità.
Anche se alla fine, può risultare, come nell'esempio citato dalla Ghisleri, che la tv è ancora preponderante nell’orientare le scelte dei cittadini.
 
Nando Pagnoncelli ha richiamato l'esistenza di altri problemi, una legge che tutela (giustamente) la privacy dei cittadini e complica la realizzazione dei sondaggi, comportamenti difficili da prevedere come la cosiddetta fedeltà leggera (a uno schieramento politico), che riaffiora solo pochi giorni prima delle elezioni, magari dopo avere rinnegato per mesi lo stesso schieramento, e così via.
Ma soprattutto, è cambiata la destinazione d’uso dei sondaggi, che oggi sono anche strumento di comunicazione e propaganda.
Si vuole cioè accreditare attraverso di essi un certo tipo i risultato e influenzare così gli elettori.
 
Crescono anche le richieste, alcune palesemente assurde.
«Chiedono quanti voti sposta Sanremo o la nevicata il giorno del voto l’acquisto di Balotelli. Ma è anche colpa nostra: qualcuno che dà una risposta a queste domande c’è sempre.
«Se ne uscirà quindi solo con la responsabilità sociale, ma l’idea di usare il sondaggio come clava rimarrà sempre. E l’idea di media di farsi concorrenza fra loro utilizzando i sondaggi anche.
«A volte mi dico che il termine sondaggista sta a quello di ricercatore come Fabrizio Corona a Cartier Bresson.»
 
Infine Roberto Weber.
«Il nostro è un paese che non amare le misurazioni, specie se fondate. La ricerca dovrebbe avrebbe una funzione soprattutto conoscitiva, rispondere cioè alla domanda: cosa sta accadendo? Ma ho forti dubbi. I clienti fanno dei sondaggi un altro uso: soprattutto predittivo, riguardo al futuro.
«In passato non era così. In quanto ai giornalisti: le donne e i giornalisti delle testate locali sono in genere più curiosi ed esigenti di quelli delle testate nazionali. Più si 'sale' più il giornalista vuole semplicemente vedersi confermare una tesi che esiste già nella sua testa, e per farlo non esita a 'piegare' i dati.»