Napoleone moriva il 5 maggio 1821 – Di Guido de Mozzi
A 200 anni dalla sua scomparsa, «l’ardua sentenza»: luci e ombre dell'Imperatore che sconvolse l'Europa esportando la Rivoluzione Francese
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Duecento anni fa Alessandro Manzoni scrisse la poesia «Il 5 maggio», in occasione della morte di Napoleone Bonaparte. Nell'opera, scritta di getto in tre giorni, dopo aver appreso dalla Gazzetta di Milano del 16 luglio 1821 le circostanze della morte di Napoleone, Manzoni mise in risalto le battaglie e le imprese dell'ex imperatore, nonché la fragilità umana e la misericordia di Dio.
Va da sé che ai tempi della scuola, ai miei tempi, ce la fecero studiare a memoria. Ma non fu difficile, grazie alla metrica facile dell’ode che dava una certa musicalità.
Di quella poesia, una cosa si impresse nella mia mente, la finale: «Fu vera gloria? Ai posteri / l’ardua sentenza».
Beh, ci pare che sia giunto il momento di esprimere la mia, per quanto modesta, sentenza.
Cominciamo un attimo prima. In Francia scoppiò la rivoluzione (guarda caso, era il 5 maggio) nel 1799.
Fu un terribile bagno di sangue. Furono ghigliottinate migliaia di persone, colpevoli o innocenti che fossero. Poi furono ghigliottinati anche gli autori delle stragi e, pian piano, la rivoluzione si placò fino a cessare ufficialmente il 9 novembre 1799.
Il motto generato dalla rivoluzione fu «Liberté, Égalité, Fraternité», in italiano Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. Da allora la civiltà europea fece un balzo avanti di un paio di secoli.
Senza Napoleone, la Rivoluzione Francese sarebbe rimasta a Parigi.
Dovrebbe bastare questo per dare un parere su Napoleone Bonaparte. Ma questo vale in termini macroscopici, mentre in realtà l’Uomo portò con sé anche enormi problematiche che riversò nei territori occupati. Proviamo a vederli nel nostro piccolo.
I detrattori accusano Napoleone di essere stato un guerrafondaio, i sostenitori dicono che ha solo dovuto attaccare per primo, altrimenti gli stati dell’Antico Regime lo avrebbero schiacciato.
Una questione di sopravvivenza: la rivoluzione poteva far crollare gli imperi millenari d’Europa. E Napoleone li ha attaccati e sconfitti prima ancora che potessero organizzare un piano militare.
Noi condividiamo questa seconda ipotesi, ma a scendere nei dettagli incontriamo le prime controindicazioni.
Nel corso della Prima Campagna d’Italia (1797, la Rivoluzione non era ancora terminata), Napoleone occupò la Repubblica di Venezia e il Principato Vescovile di Trento.
Venezia aveva mantenuto l’ormai tradizionale posizione di neutralità, ma i suoi territori si trovavano nel mezzo della direttrice d'avanzata dell'esercito francese in direzione di Vienna.
La guerra fu combattuta tra Francesi e Austriaci sui territori della Serenissima e del Principato Vescovile. Molte città si sollevarono inneggiando alla Repubblica.
La mattina del 12 maggio, tra voci di congiure e dell'imminente attacco francese, il Maggior Consiglio della Serenissima si riunì per l'ultima volta. Nonostante alla seduta fossero presenti solo 537 dei mille e duecento patrizi aventi diritto e mancasse quindi il numero legale, il doge Ludovico Manin aprì la seduta destinata a sciogliere la Repubblica.
Anziché inneggiare alla rivoluzione, però, com'era stato nei peggiori timori della nobiltà veneziana, il popolo, al grido di «viva san Marco!» e «viva la repubblica», issò il gonfalone marciando sulle tre antenne della piazza, tentando di reinsediare il Doge e attaccarono le case e i beni dei giacobini veneziani.
La mattina del 13 maggio, ancora nel nome del serenissimo principe e con l'usuale stemma marciano, furono emanati tre proclami, coi quali si minacciava di morte chiunque avesse osato sollevarsi, si ordinava la restituzione presso le Procuratie dei frutti del saccheggio e infine si riconoscevano i capi giacobini come benemeriti della patria. Nientemeno.
Poiché il giorno successivo scadeva il termine ultimo dell'armistizio concesso da Napoleone, dopo il quale i francesi avrebbero forzato l'entrata in città, si accondiscese infine a inviare loro le imbarcazioni necessarie a trasportare quattromila uomini, dei quali milleduecento destinati a Venezia e i restanti alle isole e alle fortezze che la circondavano.
Il 15 maggio il doge lasciò per sempre il Palazzo Ducale per ritirarsi nella residenza della sua famiglia, annunciando nell'ultimo decreto dell'antico governo la nascita della municipalità provvisoria che prese possesso del potere il giorno dopo, 16 maggio 1797.
Tutto questo per giustificare ampiamente il rancore che i Veneti e i Veneziani in particolare provano tuttora nei confronti di Napoleone. Ha cancellato una repubblica fantastica, illuminata, fondata nel 697, per secoli simbolo della libertà, della cultura e della democrazia.
Poi fu la volta del Principato Vescovile di Trento.
Il principato vescovile di Trento era un antico stato ecclesiastico esistito per circa otto secoli (dall'inizio dell'XI secolo al 1803) all'interno del Sacro Romano Impero come entità indipendente, tanto vero che fu scelto come sede del Concilio proprio perché non apparteneva né all’Impero né al Papato.
I territori appartenenti legalmente al principato corrispondevano a gran parte della attuale provincia autonoma di Trento e parte della provincia autonoma di Bolzano, oltre a una stretta fascia in Svizzera, l’Engadina.
Nel 1803 Napoleone offrì il principato Vescovile di Trento all'imperatore Francesco d'Asburgo (nell'ambito della secolarizzazione di tutti i principati ecclesiastici del Sacro Romano Impero in seguito al Trattato di Lunéville del 1801), che lo annesse tra il 1803 e il 1810 al filo-napoleonico Regno di Baviera e poi al Regno d'Italia fino al 1814.
In seguito alla Restaurazione del 1815, col Congresso di Vienna, i territori appartenenti al principato non vennero restituiti al vescovo, ma l'amministrazione del territorio passò alla contea del Tirolo entro l'Impero austriaco.
E, già che c’era, l’Austria non restituì neanche la Repubblica di Venezia ai Veneziani.
Napoleone aveva una visione macroscopica dell’Europa, per cui di ciò che accadde nel Tirolo neanche ne fu informato. Ci riferiamo all’episodio di Andreas Hofer.
Andreas Hofer era nato a San Leonardo in Passiria il 22 novembre 1767.
Era un locandiere tirolese che commerciava in cavalli, ma divenne l’ispiratore e il comandante dell’insurrezione contro l'invasione del Tirolo da parte delle truppe francesi.
Guidò le milizie di insorti tirolesi che combatterono assieme all'esercito dell'Impero austriaco contro francesi, bavaresi e alleati, nel corso della guerra della quinta coalizione, all'interno della quale si sviluppò l'Insorgenza tirolese.
La sua fama è postuma e la si deve in massima parte alla propaganda asburgica ottocentesca, che ne riscrisse le imprese in un'ottica romantica, in un'epoca in cui i diversi nazionalismi europei creavano i loro miti nazionali.
A tutti gli effetti, Hofer aveva avuto il coraggio di ribellarsi contro le forze gigantesche che si scontravano sul suo territorio. Eppure arrivò a guidare una vera e propria insurrezione, certo che gli Asburgo avrebbero trovato la forza di reagire e cacciare i francesi.
In realtà però, dopo la pace di Schönbrunn, i francesi riconquistarono con facilità il Tirolo. E Hofer offrì la propria resa in cambio di clemenza. Si ritirò nella sua locanda, ma fu sollecitato a non rinunciare alla rivoluzione. La nuova insurrezione andò male e, dopo una serie di operazioni e fughe mitiche, fu fatto prigioniero.
Condotto a Mantova, fu portato dinanzi a un tribunale militare. La popolazione di Mantova fece una colletta di 5.000 scudi per liberare il condannato, ma non riuscendoci il denaro servì per pagare l'avvocato difensore Gioacchino Basevi.
Secondo la testimonianza del padre Antonio Bresciani, in una notte di prigionia una stufa esalò gas tossici. Mentre il carceriere dormiva Andreas Hofer si rese conto del pericolo e salvò il carceriere, nonostante l'occasione di fuga che gli si era presentata.
Il 20 febbraio 1810 fu condotto davanti al plotone di esecuzione.
Andreas Hofer.
Secondo la leggenda, nelle mani aveva un crocifisso ornato di fiori. Non si fece bendare e disse: «Franz, Franz, questo lo devo a te!», con ciò riferendosi a Francesco I, dal 1804 Imperatore d'Austria, che si era legato a Napoleone.
Infatti in quel periodo Napoleone sposò Maria Luisa D’Asburgo. A Francesco I, di Andreas Hofer importava poco o punto.
Per concludere, riferiamo che il plotone di esecuzione lo aveva risparmiato con la prima salva: nessuno aveva voluto colpirlo. E lui esclamò: ««Ah, come sparate male!»
Le esequie furono celebrate nella chiesa mantovana di San Michele, dove Hofer venne sepolto nel cimitero vicino.
La salma di Andreas Hofer fu quindi trafugata ed è sepolta dal 1823 nella Hofkirche a Innsbruck.
A questo punto è difficile non stare dalla parte di Hofer.
Ma, sia pur con un nodo alla gola, dobbiamo guardare Napoleone per quello che rappresentava nel mondo: la modernità dell’Europa con il crollo degli Ancien Régime.
Il congresso di Vienna ritardò l’evoluzione di 100 anni, ma non la fermò.
E se oggi l’Europa è ancora la culla della civiltà, della democrazia e della cultura del mondo lo dobbiamo a lui.
Se vogliamo tracciare un bilancio nel bene e nel male di Napoleone, ecco un insieme di successi e di errori.
Rinnovò l’esercito francese introducendo la ferrea disciplina, pretendendo la totale fedeltà delle truppe al suo capo, usando la furia rivoluzionaria e portando in premio la vittoria. Fingeva di usare strategie di un tempo per poi ingannare l’avversario improvvisando. Utilizzava l’artiglieria in maniera del tutto innovativa.
Per portare in giro le sue armate ricostruì le strade europee, praticamente rimaste prive di manutenzione dai tempi dell’Impero romano.
Conquistò tutta l’Europa Occidentale, ad esclusione dell’Inghilterra. Praticamente non aveva una flotta e soprattutto non aveva marinai paragonabili a quelli d’Oltre Manica.
Partiva con le sue armate praticamente con l’autosufficienza di qualche giorno, provvedendo alle necessità con le razzie lungo la strada. Per questo preferiva marciare per la Val Padana, notoriamente la dispensa dell’Europa.
Napoleone istituì il primo Regno d’Italia, che non durò molto, dimostrando però di non aver paura dell’Italia unita come fecero i suoi successori.
Ha depredato le città italiane delle opere d’arte principali. Le pretendeva minacciando il saccheggio. Il Louvre contiene moltissime opere italiane, di cui inutilmente continuiamo a chiedere la restituzione.
Creò il Codice Napoleonico, che è il codice civile attualmente in vigore in Francia ed uno dei più celebri del mondo, così chiamato perché voluto da Napoleone Bonaparte, servendo da modello, influenzando tutti i codici successivi ed esercitando una notevole influenza in numerosi paesi al mondo.
Tra i grandi errori, quello finale: attaccare la Russia prima che fosse la Russia ad attaccare lui. La sua strategia di trovare risorse lungo la strada annegò nella terra bruciata lasciata dallo Zar. E quando le cose andarono male, abbandonò i suoi soldati alla loro sorte e tornò di corsa in Francia.
Le truppe non li sarebbero state più fedeli fino alla morte.
Quando venne esiliato all’Isola d’Elba, aveva solo 44 anni, pensò seriamente di aver chiuso.
Ma i francesi non avevano chiuso e lo costrinsero a tentare il riscatto nei famosi 100 giorni.
Ma ormai tutto il mondo aveva paura di lui e decisero il tutto per tutto.
La Settima Coalizione era composta da Regno Unito, Paesi Bassi, Regno di Hannover, Ducato di Brunswick, Ducato di Nassau, Regno di Prussia.
Il comandante in capo era il Duca di Wellington. Poteva contare su 67.700 anglo-tedesco-olandesi con 184 cannoni e 48 000 prussiani. Totale 115.700 soldati.
La Francia era da sola. Al comando di Napoleone Bonaparte c’erano 74 000 soldati con 266 cannoni.
La battaglia si svolse il 18 giugno 1815 nel territorio allora olandese e oggi belga, vicino a Waterloo.
Manovrando sapientemente artiglieria e cavalleria pesante, Napoleone stava per avere la meglio sul nemico quando, verso le 19.30, entrarono nella mischia i bavaresi. Non avevano cannoni ma la massa di manovra era inarrestabile.
Non disponendo di altre risorse, Napoleone capì che la battaglia era persa e difatti alle 21 iniziò la ritirata. Fu una disfatta.
Le perdite francesi contarono 25-27.000 tra morti e feriti, più 8-10.000 prigionieri, oltre a 8-10.000 disertori durante la ritirata.
La Coalizione aveva perso 16.500 anglo-olandesi e 7.000 prussiani, 10.000 feriti, 3.300 dispersi.
Il teatro della battaglia di Waterloo oggi è un parco storico.
Quando, ai tempi della scuola, arrivavamo a studiare per l’ennesima volta la battaglia di Waterloo, tenevamo il fiato sospeso come se non avessimo saputo come andava a finire.
Napoleone - a scuola non ce lo avevano insegnato - si imbarcò per fuggire in America. Ma fu tradito dai suoi stessi amici, che consegnarono l’imperatore alle navi inglesi che lo aspettavano al varco.
Fu portato all’isola di Sant’Elena. Un territorio talmente isolato che quando il mondo venne travolto dalla Febbre Spagnola, il virus risparmiò solo quell’isola sperduta nell’oceano Atlantico meridionale.
Nel 1840 le sue spoglie vennero portate in Francia e fu sepolto con gli onori che spettavano all'uomo francese che aveva sconvolto la vecchia Europa, ponendo le basi a quella di oggi.
I posteri di cui parlava il Manzoni siedono oggi nel Parlamento Europeo.
Guido de Mozzi