Il falso mito del «meno immigrati meno criminali»
Gli studi, dicono gli esperti, sfatano alcuni dei luoghi comuni più diffusi
Quant’è difficile valutare le implicazioni delle barriere all’immigrazione sulla criminalità?
Quale è l’effetto concreto e quale l’influenza sul sentiment dei cittadini?
E soprattutto, ci sono alternative alla politica immigratoria attuale?
Paolo Pinotti, Assistant Professor in Economia presso il Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico dell’Università Bocconi e Coordinatore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, ha cercato di dare una risposta a queste domande analizzando i risultati di due ricerche condotte in maniera empirica.
Gli studi sfatano alcuni luoghi comuni, a partire da quello più diffuso tra la popolazione: «meno immigrati uguale meno criminali».
L’incontro, tenutosi stamane presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Trento, è stato moderato da Andrea de Nicola, ricercatore di criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.
Per la seconda volta al Festival dell’Economia, dopo il 2010 quando aveva toccato la medesima tematica, Paolo Pinotti ha presentato i risultati di due ricerche che sono state pubblicate su importanti riviste di settore e che gli sono valse anche importanti riconoscimenti insieme al coautore Giovanni Mastrobuoni.
In Europa le cifre dell’immigrazione parlano attualmente di 60 milioni di persone rifugiate o richiedenti asilo o che si sono spostate all’interno del loro paese per motivi politici.
Numeri che alimentano il traffico di migranti, con un indotto economico altissimo, alimentando i processi di illegalità.
La prima ricerca prende spunto da un documento redatto nel 2007 dal Viminale, che mostra come gli stranieri rappresentino meno del 10% della popolazione residente in Italia, ma più di un terzo dei detenuti.
Un fenomeno che risulta però comune a tutti i Paesi europei: la quota degli stranieri sulla popolazione carceraria è sempre maggiore di quella sulla popolazione residente. E anche con riferimento alla piccola Trento, il 69% della popolazione carceraria è di origine straniera.
Da qui la pressione sui governi per adottare politiche restrittive, che limitino il numero di permessi di soggiorno concessi ogni anno.
Il rischio di coinvolgimento in attività criminali aumenta in relazione allo stato di illegalità, in quanto preclude l'accesso a opportunità di guadagno lecite, aumentando la propensione a delinquere.
Nasce così il paradosso delle restrizioni all'immigrazione (regolare) che produce due effetti: precludono l'ingresso a una parte di cittadini stranieri e contribuiscono a formare situazioni d’illegalità, a cui si associano elevati rischi per la sicurezza.
A conferma, la ricerca prende in esame le regolarizzazioni e il cosiddetto Click Day 2007, ovvero la procedura per la richiesta dei permessi di soggiorno online, che vengono processati come «first-come-first-served» (ovvero in ordine casuale e di «primo arrivato») fino ad esaurimento delle quote disponibili.
Una sorta di lotteria, su scala nazionale, dove per motivi puramente casuali e di pochi minuti, alcuni gruppi di persone possono vedersi accettata la richiesta di soggiorno ed altri no.
Il rifiuto del permesso di soggiorno (e quindi dello status legale) per il solo fatto di aver presentato la domanda con pochi minuti di ritardo raddoppia o triplica la probabilità di commettere crimini.
In conclusione, i maggiori rischi per la sicurezza derivano non tanto dall' immigrazione di per sé, quanto dalla presenza degli irregolari e nel corso degli ultimi decenni tale componente è stata alimentata, questo il paradosso, dalle politiche migratorie restrittive, che hanno imposto un ferreo contingentamento del numero di permessi di soggiorno a fronte di un continuo aumento delle pressioni migratorie verso il nostro Paese.
La seconda ricerca invece sfrutta i dati individuali degli immigrati che hanno beneficiato di un’amnistia portata a termine in Italia cinque mesi prima dell’allargamento dell’Unione Europea.
Più precisamente, ci si focalizza sulle differenze nella possibilità di re-incarcerazione di detenuti amnistiati dei paesi nuovi entranti nell’Unione e di un gruppo di controllo di paesi solo candidati all’ingresso, prima e dopo l’allargamento dell’Unione.
Anche in questo caso i risultati suggeriscono che l’ottenimento dello status legale diminuisce la recidiva.
La possibilità di incarcerazione diminuisce, infatti, dal 5,8% al 2,3% per rumeni e bulgari dopo l’ottenimento dello status legale conseguente l’allargamento, rispetto all’assenza di cambiamenti per i cittadini dei paesi solo candidati.
Questo risultato si riferisce a criminali incarcerati per crimini motivati dalle condizioni economiche.