Il Cammino portoghese/ 9 – Di Elena Casagrande
Sotto un manto di stelle arriviamo a Santiago. Salutato l’Apostolo visitiamo la Costa da Morte con Manuela e Xesús, nostri testimoni di nozze e compostelani «doc»
La credenziale con i tracciati del Cammino portoghese.
(Link alla puntata precedente)
Nell’ultimo albergo incontriamo una coppia che è partita da Lisbona come noi
L’albergo di Teo è una struttura nuova, tra O Faramello e Teo. I paesini, in Galicia, sono frastagliati e dispersi in mezzo a boschi, valli e prati. Spesso vedi un bidone della spazzatura a lato strada, leggi il cartello col nome del paese e non vedi case.
Ti chiedi sempre dove sia questo «benedetto» villaggio.
Troviamo l’albergo poco dopo. C’è anche la coppia di sposi di Valencia che abbiamo incontrato alla Chiesa da Escravitude, nota per le sue acque miracolose, poco dopo Iria Flavia.
I due hanno iniziato a Lisbona, ma non ci siamo mai incontrati prima lungo la via lusitana. Capita, basta essere sfasati anche di mezza tappa. Peccato, avremmo potuto condividere dei tratti di cammino insieme!
I peperoncini di Padrón al Mercado de Abastos di Santiago.
Prima di andare a cena, friggiamo per tutti i pimientos (peperoncini) di Padrón e ce li gustiamo come aperitivo nell’albergo. Generalmente hanno un delizioso sapore dolce, ma qualcuno può essere davvero molto piccante.
In Galizia, infatti, si dice: «Os pementos de Padrón, uns pican e outros non» (i peperoncini di Padrón, alcuni sono piccanti, altri no).
A chi toccherà il peperoncino piccante tra i tanti innocui? Manco a dirlo a Teo. Vabbè. Sopravviverà! Si ride e si scherza.
C’è una bella frenesia nell’aria, anche se è già tempo di ricordi. Comincia a far capolino la nostalgia per qualcosa che sta per finire.
Andiamo a dormire presto, dopo aver mangiato molto bene al Ristorante San Martiño, a quasi un chilometro dall’ostello. Il pollo alla griglia ha giustificato lo sforzo.
In Piazza dell'Immacolata a Santiago.
È l’ultima tappa e camminare al buio sotto le stelle rende tutto magico
Usciamo dall’albergo che è buio. Sono passate da poco le 5 e mezza e le stelle ci indicano la via. In Portogallo, dove c’è lo sfasamento di un’ora rispetto alla Spagna, non siamo mai partiti al buio.
In Galizia, a fine agosto, il sole sorge molto tardi ed è un piacere camminare alla luce di astri e costellazioni. Ho il cuore in gola e non solo per le ultime salite e discese prima di Compostela.
I vecchi mojones (segnavia) superstiti, in parte sostituiti con quelli moderni, creano confusione e fanno pure sbagliare strada. Poco male.
Arriviamo presto in città, nonostante qualche chilometro in più rispetto a quelli previsti. Riusciamo a farci una bella colazione vicino al vecchio sanatorio (ospedale).
Poi andiamo all’Oficina de Peregrinos (ufficio dei pellegrini) a farci rilasciare la tanto agognata Compostela: ce l’abbiamo fatta anche stavolta.
Per evitare problemi prenotiamo subito da dormire all’Hospederia di San Martiño Pinario, in Piazza dell’Immacolata, come facciamo sempre.
La città della cultura a Santiago.
A Santiago abbiamo tempo per ritrovarci con i nostri amici e testimoni di nozze
Un’ora prima della Messa del Pellegrino prendiamo posto in Cattedrale. Possiamo dedicarci in pace a Santiago.
Lo abbraccio forte e lo bacio. Per me è sempre come rivedere un famigliare dopo tanto tempo. Gli voglio bene!
C’è anche il botafumeiro (il famoso turibolo della Cattedrale): non potevamo sperare in niente di meglio.
Mi riposo un po’ e poi vado in Rua Nova, dalla parrucchiera che mi pettinò il giorno del matrimonio.
I capelli sono molto rovinati e urge un taglio. Una volta sistemata, raggiungo Matteo in Piazza dell’Obradoiro e da lì decidiamo di andare alla Caserma dei Pompieri.
Vogliamo salutare Xesús, comandante dei VVF di Santiago de Compostela ed amico, sin dai tempi della Via de la Plata. Lui e la moglie sono santiaghesi e ci hanno fatto da testimoni di nozze.
Xesús ci organizza un tour alla nuova Città della Cultura di Galizia. L’abbiamo vista crescere, al posto di uno dei monti della città ed ora vogliamo vedere il risultato.
Prima della visita, però, corriamo assieme al mercato, prima che chiuda. Lui e Manuela ci aspettano a cena. Cucineranno per noi una mariscada (cena a base di crostacei della costa galiziana).
Teo, che da buon trentino adora pulire crostacei, non sta nella pelle.
La mariscada di Manuela e Xesús.
La cucina di Galizia, tra terra e mare, rinfranca i pellegrini con le sue ghiottonerie
In Galizia aprire granchi e sgusciare gamberi, seduti a tavola e tutti insieme, è un rito. Significa prendersi del tempo per stare in compagnia e chiacchierare.
È quasi più importante di quello che mangi, che - peraltro - è fantastico… ancor di più se accompagnato da un Albariño (vino bianco galiziano delle Rías Baixas).
La serata scorre così piacevolmente che non smettiamo di scambiarci racconti e ricordi.
Il tempo passa veramente in fretta e, ogni tanto, è proprio bello ritrovarsi.
Per Teo, memori della mariscada all’arrivo Cammino del Norte, hanno preparato anche un piatto di jamón y queso locale (prosciutto e formaggio). La cucina galiziana soddisfa tutti.
Per l’indomani i nostri amici propongono di fare una gita assieme. Ci chiedono cosa vorremo vedere. Da molto tempo abbiamo il desiderio di andare a Muxía e al Santuario da Virxe da Barca (Santuario della Vergine della Barca).
Bene, è deciso. Domani percorreremo la Costa da Morte (Cosa della Morte).
La Virxe da Barca a Muxía.
Le coste galiziane, con i loro borghi e fari sull’Oceano, meritano sempre il viaggio
La Costa della Morte è chiamata così per via delle sue coste frastagliate ed insidiose, su cui naufragarono, nei secoli, parecchie navi.
Da ultimo la Prestige, che nel 2002, col suo carico di idrocarburi, ferì in maniera impressionante questa costa, oltre a quella portoghese e francese.
Un monumento lungo la costa di Muxía ricorda questa tragedia. L’Oceano, in compenso, ora è meraviglioso.
Il Santuario sembra una barca incagliata sulla costa e la sua stessa leggenda lo vincola alla presenza di uno scafo in pietra su cui viaggiava la Vergine, giunta qui per rincuorare Santiago nella sua predicazione in queste terre celtiche.
Tutta la zona attorno alla Chiesa è popolata da pietre magiche, da quella de abalar (dell’oscillazione), a quella de la cabeza (della testa), a quella de os cadrís (dei reni o dei fianchi).
Facciamo tutti i rituali del caso, infilando il capo nella cavità a forma di testa e passando sotto la pietra a forma di rene. Purtroppo quella oscillante non balla più.
C’è chi dice che oscilli quando vuole e che se non lo fa porti disgrazie, ma si pensa anche che sia stata rotta nel suo meccanismo dai turisti smaniosi di saltarci sopra per dondolarsi a più non posso.
Xesús e Teo alla pedra de abalar. In fondo Manuela.
Lasciamo Muxía diretti a Camariñas, capitale di pizzi al tombolo.
Ci beviamo un refresco (bibita) e, dopo una tranquilla passeggiata lungo il porticciolo, risaliamo in auto (finalmente in auto!) per il Faro di Cabo Villano.
È uno dei più suggestivi della Costa da Morte. Era così importante che al suo interno, nel museo di strumentazioni e segnaletiche marine, si conservano ancora le porcellane siglate «Cabo Villano», utilizzate dal custode del faro. Da qui lo spettacolo dell’Oceano è davvero impagabile.
L’ultimo monumento della giornata è il Dolmen di Dombate che testimonia il passato preistorico di queste terre.
Risale al 3.700 a.C., anche se fu rimaneggiato nel 2.700 a.C. secondo le dimensioni attuali. Era una tomba collettiva e, al suo interno, vi sono tracce di incisioni e dipinti.
Il museo è ben curato e il Dolmen al sicuro. Ne abbiamo visti tanti, specie nei boschi asturiani, ma questo è davvero molto grande.
E qui, purtroppo o per fortuna, finisce ufficialmente questo nostro cammino. Servirà qualche giorno ancora per tornare alla routine.
Elena Casagrande
(Fine)
Il faro di Cabo Villano.