Ne parliamo con il dott. Fabio Cembrani – Di Nadia Clementi

L’eutanasia alla prova del referendum popolare abrogativo: facciamo chiarezza

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L’iniziativa referendaria pro-eutanasia legale, promossa lo scorso anno dall’Associazione Luca Coscioni ha ampiamente superato le 500mila firme e prima del 10 febbraio 2022 la Corte costituzionale dovrà esprimersi sull’ammissibilità del quesito referendario.
Nel caso ci fosse il via libera della Consulta, tra il 15 aprile e il 15 giugno gli italiani sarebbero chiamati ad esprimersi votando sì o no all’abrogazione e parziale dell’art. 579 c.p. (Omicidio del consenziente).
 
Nel nostro Paese le diatribe pro o contro il fine vita cadono spesso nel luogo comune di ipotizzare due schieramenti: da un lato i favorevoli, dall’altro quello dei contrari.
La realtà tuttavia è più complessa e la risposta di ciascuno non si può inquadrare in un casellario ideologico, ma passa sia attraverso le nostre narrazioni ma anche dall’inesperienza normativa, che ne arricchiscono del beneficio del dubbio.
Negli ultimi anni la parola eutanasia non è più un tabù e il grande successo a favore del referendum popolare abrogativo, mette in evidenza un tema che tocca da vicino il sentimento popolare, quanti, infatti, non hanno avuto l’esperienza di un parente, di un amico, vicino o lontano, vittima di una lunga malattia, senza speranza di guarigione e fonte di gravi sofferenze.
Ad oggi, molte persone gravemente malate non sono libere di scegliere fino a che punto vivere la loro condizione. Non hanno diritto all’aiuto medico alla morte volontaria, al suicidio assistito o ad accedere all’eutanasia come è invece possibile in Svizzera, Belgio, Olanda, Spagna, Canada, in molti Stati degli Stati Uniti e in altri Paesi nel mondo.
 
Attualmente in Italia l’eutanasia costituisce un delitto e rientra nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 (Omicidio del consenziente) o dall’articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) del Codice Penale.
Ma, perché, nonostante una proposta di legge di iniziativa popolare depositata nel 2013 e due richiami della Corte costituzionale, il Parlamento in tutti questi anni non è mai riuscito a discutere di eutanasia legale.
A tal proposito la proposta referendaria ha riacceso l’aspra contesa tra chi difende la sacralità e l’inviolabilità della vita umana e chi, al contrario, la subordina all’autonomia decisionale della persona che ne potrebbe liberamente disporre, pretendendo l’intervento e l’aiuto tecnico del medico non solo in fase prescrittiva come accade nel suicidio medicalmente assistito ma anche nell’effettuazione concreta dell’atto eutanasico.
 
Per saperne di più e per capire meglio ciò di cui si discute ne abbiamo parlato con il dott. Fabio Cembrani che, per oltre 20 anni, ha ricoperto il ruolo di Direttore medico della U.O. di Medicina legale dell’Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento, che è stato componente di alcuni Comitati di etica clinica e per le sperimentazioni sanitarie, componente del Consiglio direttivo dell’Associazione italiana di Psicogeriatria ed autore di oltre 250 pubblicazioni a contenuto medico-legale e bioetico.
 

 
Dott. Cembrani, ci vuole chiarire il perimetro di alcune terminologie tecniche troppo spesso usate in maniera equivoca e confusa? Che differenza c’è tra il suicidio assistito e l’eutanasia?
«La sua domanda è pertinente perché c’è ancora molta (troppa) confusione sul contenuto veicolato da queste terminologie tecniche, spesso creata artificiosamente e con finalità non sempre nobili.
«Il suicidio (o la morte) medicalmente assistita è l’atto realizzato da una persona, di regola maggiorenne e capace di agire (di intendere e di volere), che ha liberamente deciso di morire con l’ingestione di dosi letali di farmaci, di regola prescritti da un medico.
«L’eutanasia (in gergo giuridico, l’omicidio del consenziente) è, al contrario, l’effetto estremo di un’azione (individuale o di gruppo) che, intenzionalmente, si propone l’obiettivo di provocare la morte richiesta da una persona affetta da una patologia inguaribile, così da liberarla dalle sue sofferenze.
«Nella prima ipotesi c’è aiuto ma è la persona che poi, di fatto, assume il farmaco o aziona, come nel caso del Dj Fabo, il meccanismo che consente la sua libera diffusione nel sistema circolatorio; nell’eutanasia è il medico che prescrive e somministra direttamente il principio letifero, di regola per via endovenosa, su richiesta della persona.
«Sia l’aiuto al suicidio che l’omicidio del consenziente sono vietati dal Codice di deontologia medica e sono delitti previsti dalla legge penale (rispettivamente dall’art. 580 e 579), sanzionati con pene particolarmente severe (reclusione fino a 12 anni nella prima ipotesi e fino a 15 nella seconda) anche se, a seguito della sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale (proprio sul caso del Dj Fabo trasportato da Marco Cappato a morire in una clinica Svizzera), l’art. 580 c.p. è stato parzialmente derubricato.
«Essendo stata prevista la non punibilità della condotta, quando: (a) la persona che ne fa richiesta sia pienamente capace di intendere e volere; (b) sia affetta da una patologia irreversibile, dunque non guaribile e a prognosi infausta; (c) produttiva di sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili; (d) sia mantenuta in vita grazie a trattamenti di sostegno vitale.
«La non punibilità della condotta non si traduce, tuttavia, nel dovere del medico di corrispondere sempre e comunque alla decisione della persona di porre fine alla sua esistenza con la conseguenza che si tratta di un diritto comunque condizionato dalla coscienza del medico, dai suoi valori di riferimento e dai divieti ancora imposti dalla deontologia professionale e dal giuramento ippocratico».
 
Facendo un passo indietro, può spiegarci qual è il panorama normativo sul fine vita in Italia?
«Contrariamente ad altri Paesi europei, il panorama normativo sul fine vita del nostro Paese è ancora lacunoso anche se il legislatore è (almeno parzialmente) intervenuto sulla questione con la legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) la quale, a conferma di quanto espresso non certo da oggi dal Codice di deontologia medica, ha ribadito il diritto della persona maggiorenne, purché capace di intendere e di volere, di rifiutare le terapie mediche anche se salva-vita anche nel caso in cui l’effetto finale sarà la sua morte.
«Con un inciso che devo fare perché il rifiuto terapeutico non può mai essere indicato in un’ipotesi di eutanasia indiretta. Questa ambigua terminologia, spesso invocata per condizionare il giudizio morale è da respingere, perché l’eutanasia è la deliberata ed intenzionale azione finalizzata a produrre la morte della persona che l’ha richiesta.
«In quella norma, approvata frettolosamente quando era giunto agli sgoccioli il mandato politico del Governo Renzi, nessun riferimento viene comunque mai fatto né al suicidio assistito né all’eutanasia. Né la condotta eutanasica è mai menzionata dalla nostra legge penale (diversamente, ad es., dall’ordinamento spagnolo) con la conseguenza che, in siffatta ipotesi, i giudici italiani hanno fino ad oggi qualificato l’illecito facendo appello all’art. 575 (omicidio), all’art. 579 (omicidio del consenziente) oppure, ancor più di frequente, all’art. 580 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio) per come esso è stato derubricato dalla già richiamata sentenza della Corte costituzionale in relazione alla vicenda del Dj Fabo aiutato a morire in una clinica svizzera da Marco Cappato.
«A partire dal principio generale dell’indisponibilità della vita stabilito dalla legge penale italiana, la condotta di chi ha provocato intenzionalmente la morte della persona per porre fine alle sue sofferenze fisiche o psicologiche è stata così sanzionata in maniera diversa, tenuto conto delle caratteristiche concrete di ogni singola vicenda, con una rigorosità della pena che si è nel tempo gradualmente affievolita in relazione al progressivo affermarsi del principio di autonomia che ha assunto una portata sempre più ampia ed onnicomprensiva.
«Dimenticando che la natura tirannica dell’autodeterminazione non porta da nessuna parte, che il diritto alla vita è il primo dei diritti inviolabili dell’uomo e presupposto per l’esercizio di tutti gli altri e che, tra le caratteristiche di questo diritto, c’è la sua indisponibilità che si opporrebbe alla legittimazione dell’eutanasia nel nostro ordinamento.»
 
Se questi sono i nostri ritardi e le lacune causate dalla pigrizia del legislatore italiano, qual è la situazione in Europa?
«In Europa sono davvero pochi i Paesi (l’Olanda, il Lussemburgo, il Belgio e la Spagna) che hanno dato una specifica regolamentazione giuridica alla pratica eutanasica realizzata direttamente dal medico con la precisa intenzione di porre fine alla vita di una persona che ne ha fatto formale e specifica richiesta.
«I Paesi Bassi lo hanno fatto con la legge entrata in vigore l’1 aprile 2002, intervenendo sugli artt. 293 e 294 della legge penale olandese che puniscono, rispettivamente, l’omicidio su richiesta (omicidio del consenziente) e l’istigazione e l’aiuto al suicidio; prevedendo, in buona sostanza, la non punibilità del medico che ha soddisfatto le richieste di terminazione della vita ed il suicidio assistito nella sola ipotesi in cui il comportamento professionale sia stato rispettoso delle regole di diligenza e delle procedure di garanzia previste dalla legge stessa.
«Il Belgio lo ha fatto con la legge n. C-2002/09590 approvata il 28 maggio 2002, poi modificata con la tanto discussa legge n. C-2014/09093 del 28 febbraio 2014 che ha esteso ai minori emancipati il diritto di porre volontariamente fine alla loro esistenza sia pur nel rispetto delle regole di garanzia e delle procedure indicate dalla legge medesima.
«Così il Lussemburgo che lo ha poi fatto con legge approvata il 16 marzo 2009; legge che ha ripreso, in buona sostanza, la disciplina belga prevedendo l’irrilevanza penale della condotta medica finalizzata a provocare la morte della persona capace e cosciente al momento della formulazione della richiesta sia pur nel rispetto delle regole di garanzia previste dalla legge stessa.
«La Spagna lo ha fatto, in tempi più recenti, con la Ley organica de regulaciòn de la eutanasia approvata dal Congreso de los Diputados il 18 marzo 2021: legge che ha disciplinato sia la pratica eutanasica che il suicidio medicalmente assistito prevedendo tutta una serie di requisiti soggettivi e procedurali che occorre ottemperare per non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge penale di quel Paese.
«Il richiedente, oltre a trovarsi in una situazione di patimento grave, cronico e impossibilitante e/o di una infermità grave e incurabile causa di una sofferenza intollerabile, deve possedere la nazionalità spagnola o la residenza legale in Spagna o dimostrare una permanenza nel territorio spagnolo superiore a 12 mesi, essere maggiorenne, essere capace e cosciente al momento della formulazione della richiesta o avere espresso formalmente la scelta di morire nel testamento vita che è stato introdotto in quell’ordinamento giuridico con la legge n. 41 approvata il 14 novembre del 2002.
«La richiesta della persona cosciente deve essere formalizzata per iscritto e confermata a distanza di almeno 15 giorni dalla prima richiesta ed al medico responsabile della procedura, oltre a raccogliere il parere consultivo di un altro professionista esterno specialista della patologia da cui è affetta la persona, è affidata la responsabilità di accertare che la decisione della persona sia stata maturata nella piena consapevolezza sulle possibili opzioni terapeutiche, in attesa dello scrutinio della Commissione di garanzia e di valutazione (formata da almeno 7 medici e giuristi) tenuta, a sua volta, a giudicare la regolarità del procedimento ed a verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge stessa.
«In Portogallo la situazione è ancora aperta perché dopo l’approvazione (a larga maggioranza) della legge n. 109/XIV approvata il 29 gennaio 2021 che, a certe condizioni, ha legalizzato la morte medicalmente assistita il suo presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, ha chiesto un parere di legittimità costituzionalità degli articoli 2, 4, 5, 7 e 27 della legge medesima sospendendo la sua promulgazione.
«Non solo per l’indeterminatezza di alcuni concetti (così quello di sofferenza intollerabile) gravati di una dimensione fortemente soggettiva ma soprattutto perché l’apertura eutanasica avrebbe messo in seria discussione l’inviolabilità della vita pur prevista dalla costituzione portoghese. Appello accolto, a marzo 2021, dalla Corte costituzionale portoghese che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge rinviandola al Parlamento che dovrà nuovamente affrontare la delicata questione.»
 
Se il referendum abrogativo sarà approvato, dopo l’eventuale via libera della Corte costituzionale, quale sarà la nuova formulazione dell’art. 579 della legge penale?
«A referendum approvato, la nuova formulazione dell’art. 579 c.p. (Omicidio del consenziente) risulterebbe essere la seguente: Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con […] le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: (1) contro una persona minore degli anni diciotto; (2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; (3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.
«Il suo effetto finale sarebbe, così, l’abrogazione parziale dell’ipotesi delittuosa che si andrebbe così ad aggiungere all’altra derubricazione parziale - quella dell’art. 580 c.p. (Aiuto al suicidio) - decretata dal Giudice delle leggi (sent. n. 242/2019), sia pur con una serie di paletti e di vincoli procedurali [F. CEMBRANI, Suicidio assistito e nuovi doveri in capo alle strutture sanitarie pubbliche, in www.cortisupremeesalute.it., 2019, 3; 621 e ss.] indicati dal Giudice delle leggi come misure di garanzia ad evitare abusi e discriminazioni.
«E a restringere di fatto la platea delle persone eleggibili in questo nuovo percorso della cura che, solo in presenza di alcune particolarissime condizioni e con il parere favorevole del Comitato etico territorialmente competente, possono chiedere di essere aiutate a morire senza un parallelo obbligo giuridico posto in capo al medico di corrispondere positivamente alla loro richiesta.» [F. CEMBRANI, D. DE LEO, Corte costituzionale, sentenza n. 242 del 25 settembre 2019: una decisione storica con alcune forti controsterzate. in Riv. It. Med. Leg., 2020, 1: 421 e ss.]
 
Con quali effetti e conseguenze pratiche?
«L’effetto finale dell’approvazione referendaria sarebbe così il completo rovesciamento dell’orizzonte teleologico della legge penale che darebbe al consenso un nuovo ruolo strategico: da elemento che, qualificando in qualche misura la condotta del colpevole, attenua il regime sanzionatorio previsto dalla legge penale per i delitti contro la vita a presupposto che, a maggior ragione, estranea la condotta dall’area del penalmente rilevante salvo le poche eccezioni residuali costruite sulle condizioni cliniche (il vizio di mente o la deficienza psichica prodotta da un’altra infermità o dall’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti) e/o anagrafiche della persona offesa o perché invalido quando estorto o carpito.
«Cosicché nessuno potrebbe essere più punito per aver volontariamente ed intenzionalmente provocato la morte di una persona maggiorenne, capace di intendere e di volere, non inferma di mente, con il suo consenso, indipendentemente dal suo stato e dalle sue condizioni di salute.
«Nemmeno il medico, la cui professione, da millenni, ottempera il paradigma ippocratico che vieta di procurare la morte del paziente pur essendo opportuno, ancora una volta, rimarcare l’esigenza di non sovrapporre (confondere) l’interruzione di una terapia futile e sproporzionata con la pratica eutanasica che sono realtà fattuali posizionate su piani ontologici completamente diversi, sia sul versante giuridico che su quello morale.
«Cosicché il quadro generale che ne emergerà, fintanto che il legislatore dell’urgenza non deciderà di intervenire disciplinando la materia, sarà non solo irragionevole ma soprattutto confuso. Irragionevole, perché l’aiuto al suicidio continuerebbe ad essere perseguito salvo i casi-limite indicati dal Giudice delle leggi mentre l’omicidio del consenziente diventerebbe sempre lecito se richiesto da una persona maggiorenne con il suo valido consenso; ma soprattutto confuso perché la questione della validità del consenso non è stata ancora affrontata dal legislatore, a parte le indicazioni dettate dall’art. 1, co 4, della legge n. 219/2017 inerenti però le sole formalità procedurali per la sua raccolta.
«Non convince così l’idea espressa dai promotori del referendum abrogativo e che si legge nel loro sito istituzionale che «con questo intervento referendario l’eutanasia attiva sarà consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla sentenza della Consulta sul caso Cappato» perché l’affermare che la norma che residua sarebbe coordinata con le leggi dell’ordinamento e, parallelamente, con gli interventi della Corte significa non cogliere o, peggio ancora, travisare le dense ombre che affollano lo scenario dell’accoglimento. Il cui diradamento non può essere coltivato illudendoci sul ritorno del cielo sereno tirando per la giacchetta la legge n. 219/2017 perché l’azione eutanasica non può essere elevata ad un’azione di carattere terapeutico anche perché la liceità della condotta, che la norma post-referendaria subordinerebbe al solo consenso senza specificazioni né rinvii ad altra fonte, ne sarebbe circoscritta «con un effetto in malam partem».
«La norma risulterebbe, così, del tutto scoordinata con l’intervento del Giudice delle leggi ed il supposto coordinamento della duplice abrogazione parziale non sarebbe certo risolto dalla legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento che ha ribadito il diritto della persona maggiorenne, capace di intendere e di volere, di rifiutare il consenso, senza però mai mettere in discussione il principio di inviolabilità della vita.
«Come ha, invece, fatto il Giudice delle leggi che di questo principio ne ha però solo scalfito l’assolutezza.»
 
Quali potranno essere, a suo parere, le decisioni della Consulta?
«Sinceramente non lo so, anche se folto e ben rappresentato è lo schieramento dei favorevoli alla proposta referendaria, tra cui costituzionalisti italiani tra i quali spiccano i nomi di Gustavo Zagrebelsky e di Andrea Pugiotto che si sono affiancati alle posizioni di Michele Ainis che ha ripetutamente denunciato, nel corso degli anni, l’ipocrisia del nostro Stato sul fine vita e la sua doppia morale; poche e sporadiche, invece, le voci pubbliche contrarie estranee al mondo confessionale nel desolante silenzio dei medici italiani che non hanno fatto sentire, sulla delicatissima questione, la loro voce, nonostante le giuste provocazione che ci sono state rivolte da più parti.
Chi di noi ha preso una posizione pubblica è stato oggetto di pesanti critiche anche se, a dire il vero, le riviste giuridiche specializzate hanno, con specifici contributi, messo in rilievo le insidie del referendum perché, in assenza di una norma specifica che dovrebbe disciplinare a tutto tondo la materia, il rischio che si corre è quello di radicalizzare la decisione individuale di morire senza bilanciare questa scelta con le necessarie garanzie costituzionali.
«Sicché tutti, indipendentemente dalla sofferenza provocata dalla terminalità di una qualche situazione patologica, potrebbero decidere di porre fine alla loro esistenza per mano medica. Rinunciare, in quest’ambito, alle regole d’ingaggio che la solidarietà deve sempre mettere i n campo è un rischio che, soprattutto le persone più fragili e vulnerabili, non devono correre. Nell’ipotesi di accoglimento del referendum, c’è da chiedersi, ancora, quale sarà il destino finale della tradizione deontologica del medico e di tutti gli altri professionisti della salute.
«Capisco che la questione può essere di scarso interesse per i giuristi e per chi condivide l’esigenza che la tradizione deontologica si debba finalmente piegare riconoscendo la forza impositiva della legge: o per chi, ancora, all’interno del mondo professionale, pensa di adattare la nostra tradizione con qualche opinabile restyling come è stato fatto dopo la sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato se si considera che l’art. 17 del Codice di deontologia medica non è stato modificato sia pur con l’avvertenza, introdotta dalla Consulta deontologica della FnomCeo, che non è deontologicamente sanzionabile chi aiuta la persona a suicidarsi nel rispetto di quanto previsto dal Giudice delle leggi.
«Perché non si tratterebbe, questa volta, di un banale rinnovamento del look quanto di ribaltare l’asse teleologico della deontologia professionale subendo, per così dire, il salto di prospettiva cui i professionisti non sono stati ancora preparati. Superando quei limiti, ritenuti finora tassativi e del tutto invalicabili, dell’agire medico, già interferiti negativamente dall’efficientismo performante dell’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale che ha condizionato l’autonomia del medico (e, con essa, l’appropriatezza clinica) contenendola dentro i vincoli di bilancio e di budget della spesa.
«Questo limite già è stato superato e la pandemia da Covid-19 lo ha ampiamente dimostrato aumentando la folta schiera degli invisibili (i malati cronici) a cui non sembra più pensare nessuno.
«All’altro limite (divieto di uccidere), si sta assestando un colpo mortale e non sarà certo la via di fuga offerta, anche senza l’interposizione del legislatore, dalla clausola (opzione) di coscienza contenuta in tutti i Codici di deontologia professionale che risolverà i tanti problemi pratici che emergeranno dall’approvazione del referendum. Perché, ad evitare un’altra doppia morale, ciò che si rende necessaria è una norma specifica che definisca nel dettaglio le regole d’ingaggio e procedimenti che in qualche modo definiscano la questione della valutazione della capacità decisionale della persona, tenuto anche conto delle indicazioni fornite dall’art. 12 della Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili.»
 
Può darci una sua ultima suggestione?
«Al di là dell’esito del referendum sull’art. 579 c.p., ciò che è chiaro è che è ancora lunga ed insidiosa la strada che si prefigge di disciplinare nel nostro Paese la pratica eutanasica.
«Anche a referendum approvato, i problemi applicativi che si porranno nell’aiutare chi soffre saranno di gran lunga superiori rispetto alle soluzioni offerte dall’abrogazione parziale dell’art. 579 c.p. nonostante la rottura dell’asse teleologico della legge penale; riconoscere tout-court il diritto alla disponibilità della vita che pur non emerge dal testo costituzionale rischia, infatti, di lasciare irrisolti i problemi del fine-vita dato per scontato che la loro soluzione non può essere dedotta dalla legge n. 219/2017.
«Anche perché una cosa è la cura, un’altra è provocare volutamente la morte della persona senza nessuna regola di garanzia e di controllo sociale.»

Nadia Clementi – [email protected]
Dott. Fabio Cembrani - [email protected]