George Soros senza mezzi termini: «L’Unione Europea è una bolla»

Fondamentale una più piena assunzione di responsabilità da parte della Germania, «ma abbiamo solo tre mesi per farlo, prima che la situazione precipiti»

Filantropo illuminato o speculatore finanziario? George Soros, uno degli ospiti più attesi di questa settima edizione del Festival dell'Economia di Trento, non ha sciolto naturalmente l'enigma, nel suo intervento sul palco del teatro Sociale di oggi pomeriggio.
Il suo approccio è stato inizialmente molto accademico: Soros ha spiegato perché la scienza economica non può dirsi una scienza esatta al pari delle scienze naturali.
 
Passando dalla teoria all'attualità politica, invece, e in particolare alla crisi dell'euro, Soros è stato molto esplicito.
«I paesi creditori dell'Unione europea, Germania in testa, hanno costruito un sistema bacato, e ne stanno scaricando i costi sulle periferie, Grecia in testa.»
 
Per Soros, responsabilità della crisi è in primo luogo della politica, non dei mercati finanziari; la salvezza dell'Europa passa dunque necessariamente per una più piena assunzione di responsabilità politica, in particolare da parte della Germania.
«Ma abbiamo solo tre mesi per farlo - ha aggiunto, - prima che la situazione precipiti.»
 
Presentato dal giornalista Federico Fubini, Soros ha esordito dicendo che «la crisi chiama in causa le basi stesse della teoria economica, basata sulla fisica newtoniana. Fra scienze naturali e scienze sociali c'è una certa differenza.» 
 
«Nelle scienze naturali i fatti hanno valenza oggettiva, - ha proseguito. - Gli eventi sociali sono il risultato di soggetti pensanti che hanno una loro volontà, non di puri osservatori. Il mio approccio è basato su Karl Popper, il mio maestro, che mi ha insegnato come l'interpretazione della realtà quasi mai corrisponda alla realtà stessa. Fallibilità e riflessività sono le caratteristiche di questo tipo di conoscenza, di comprensione, che è fallace. Esse producono una discrepanza fra le aspettative degli attori sociali e ciò che realmente si verifica. Io ho cercato di focalizzarmi sul ruolo degli errori, su come essi influenzino il comportamento degli attori economici, ad esempio nel caso delle bolle finanziarie. Insomma, dobbiamo abbandonare l'idea che i modelli di carattere universale siano in grado di prevedere il futuro.»
 
«Fino al 2008 in pochi la pensavano come me. Dall'inizio della internazionale le cose sono cambiate. Anche la crisi dell'euro dimostra quanto sianimportante il ruolo delle convinzioni errate. Le autorità hanno pensato che fosse generata da un problema fiscale, e quindi hanno usato la medicina sbagliata. Hanno applicato politiche di austerità anziché espansive. La crisi dell'euro minaccia di distruggere l'Unione europea. Ma la stessa Unione è una bolla, un oggetto irreale. E' nata inizialmente per iniziativa di un piccolo numero di statisti, che hanno scelto la politica dei piccoli passi, ben sapendo che una volta che il processo fosse giunto a maturazione essa si sarebbe rivelata insufficiente. Il problema è venuto presto alla luce: si era realizzata l'unione monetaria ma non un'unione politica.» 
 
«Presto la Germania ha accresciuto la propria competitività mentre altri paesi, grazie alla facilità di accesso al credito, sono diventati meno competitivi e dal 2008 in poi hanno accresciuto il proprio disavanzo. Sono diventati come i paesi del terzo mondo quando, a suo tempo, si erano pesantemente indebitati in una valuta molto più forte della loro. Alcuni paesi sono diventati creditori, altri debitori. Oggi la Germania e gli altri paesi creditori stanno spostando l'onere dell'adeguamento alla crisi ai paesi debitori. Tutta la colpa è stata scaricata ad essi, ai paesi della «periferia» (negli anni '80 quelli del Terzo mondo, oggi i paesi debitori della Ue): In verità i paesi del centro hanno costruito un sistema bacato. La dinamica che si è creata mette a rischio la stessa esistenza dell'Unione. Questa è quella che io chiamo la bolla politica della crisi.»
 
«Oggi tutti i paesi stanno riallineando le loro politiche finanziarie come se il fallimento dell'eurozona fosse possibile. Ciò riduce di fatto la disponibilità del credito verso le piccole-medie imprese, facendo ulteriormente peggiorare la crisi. L'economia reale sta declinando, tranne che in Germania, il che accresce le fratture interne alla Ue. L'opinione pubblica dal canto suo si oppone sempre di più all'austerità. Le autorità, soprattutto la Germania, possono ancora modificare il proprio comportamento. I greci probabilmente daranno fiducia ad una coalizione che sia disposta ad accettare le condizioni imposte dalla Ue. Ma in autunno la crisi arriverà anche in Germania. Servirebbero politiche straordinarie per dare respiro ai mercati finanziari. Esse dovranno affrontare il problema bancario e il problema dell'eccessivo indebitamento. Le banche hanno bisogno di un sistema di garanzia dei depositi a livello europeo. I paesi gravemente indebitati hanno bisogno di respiro. E' indispensabile il sostegno del governo tedesco e della Bundesbank.
 
«Comunque andranno le cose da qui a ottobre, è probabile che l'euro sopravviva. Altrimenti gli stessi paesi creditori, Germania in testa, si troverebbero con una montagna di crediti inesigibili. La Germania quindi probabilmente farà il possibile per salvare l'euro, ma nulla di più. La periferia probabilmente diventerebbe una zona perennemente depressa, cosa che renderebbe la Ue una cosa ben diversa rispetto a quella sognaata in origine. Del resto i tedeschi non capiscono perché una ricetta che ha funzionato per loro, basata sull'autorità, oggi non funzioni su scala europea. Dobbiamo fare il possibile per convincere la Germania ad assumersi interamente il ruolo di leadership che le  spetta, e abbiamo solo pochi mesi per farlo.»
 
Fubini ha incalzato il finanziere ricordandogli che molti lo considerano uno dei responsabili della crisi, al pari di altri grandi attori della finanza mondiale. Soros ha glissato.
«Anch'io ho visto l'Unione europea come un bellissimo sogno, e cerco come posso di difenderla. I passi dimostrano come le politiche di salvataggio adottate fino ad oggi non funzionino. La responsabilità principale ricade sulla politica, non sugli hedge funds, non sui mercati finanziari, che in fondo fanno ciò per cui sono stati creati. La politica scarica le proprie responsabilità sui mercati finanziari, ma è come sparare sul messaggero. La crisi non è stata creata dagli strumenti finanziari.»