La solitudine – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

Una malattia da sconfiggere e non solo perché è uno stato insopportabile che accompagna gli ultimi anni di vita come riferiscono molti anziani…

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Ricordo che qualche anno fa, ha sorpreso non poco l’istituzione in Inghilterra del Ministero per la solitudine. Era il 2018 e voleva dire che nel terzo millennio dominato dai social media che ci vogliono tutti costantemente inter-connessi, c’è da fare i conti con il paradosso della solitudine.
Non solo quella digitale, quanto la solitudine nelle relazioni ormai svuotate di senso perché viviamo il tempo in cui si parla tanto e non ci si ascolta, ci si parla addosso in una babele comunicativa che fa prevalere il soliloquio.
Che non è «il parlare tra sé e sé» ma un monologare privo di scambi molto simile a quei «vocali» tanto in uso oggi.
 
La nuova frontiera della solitudine è lo stare in mezzo alla gente e sentirsi soli. Potremmo chiamarla solitudine indotta e dovuta alla prevalenza di rapporti virtuali, imposti dalle nuove tecnologie della comunicazione.
Purtroppo queste nuove interazioni comunicative parziali e provvisorie stanno diventando modalità diffuse e stabili delle nostre relazioni che danno origine a nuove forme di solitudine e di ritiro.
Sono solitudini intrecciate nelle trame sottili e dolorose dell’intera esistenza e non solo presenti in alcune fasi specifiche della vita in cui si vivono profondi cambiamenti come in adolescenza o nella vecchiaia.
 
Poi c’è anche la solitudine «maligna» quella che produce vera e propria patologia fisica e psicologica, spesso collegata a esperienze infantili di carenza affettiva o di vera e propria trascuratezza che non sono state mai elaborate a sufficienza.
Se poi si aggiunge la spinta educativa alla competizione e all’individualismo, la condizione della solitudine è quella di un vuoto relazionale e di un tessuto sociale carente di empatia e solidarietà.
Questa è la solitudine che aumenta oggi e richiede con urgenza riflessioni comuni da far emergere grazie anche alle giornate celebrative come quella del 15 novembre pensata per affrontare la Solitudine dell’anziano.
 
Perché ancor prima di immaginare soluzioni e strumenti utili a combattere isolamento e incomunicabilità di chi dice: Nessuno può capirmi perché nessuno prova ciò che provo io, dunque nessuno può aiutarmi dovremmo far crescere la consapevolezza collettiva del problema solitudine.
Essa è davvero una condizione difficile da vivere, come scrivono gli psichiatri Diego De Leo e Marco Trabucchi (Io sono la solitudine ed. Gribaudo) in una guida pratica utile a conoscerla e combatterla.
È uno stato insopportabile che accompagna gli ultimi anni di vita come riferiscono molti anziani.
 
Per contrastare questa condizione umana cui finora abbiamo dato poca attenzione, servono strumenti di intervento che sono sia strutture sociali e luoghi di vita più umane e accoglienti ma anche sostegni psico-sociali capaci di restituire senso alla vita e speranza a chi invecchia.
Forse più ancora servono percorsi e laboratori volti a far crescere nell’anziano la resilienza con cui poter affrontare gli anni delle solitudini. Una volta di più, però, bisognerebbe partire da lontano, dall’infanzia, il tempo giusto della prevenzione, in cui investire in educazione all’empatia, all’inclusione e alla solidarietà.

Giuseppe Maiolo -Psicoanlista
Università di Trento