Luci e ombre del terremoto dell’Abruzzo, una settimana dopo
Ma le prime battono senz'altro le seconde. E di molte lunghezze
I sismogrammi del terremoto d'Abruzzo registrati dalla
Provincia
È passata una settimana da quando è accaduto il terremoto
dell'Abruzzo e vogliamo dire alcune cose anche noi.
Apprendemmo la notizia all'alba, quando le notizie parlavano di
soli nove morti. Ne avevamo dato notizia e atteso gli sviluppi.
Sapevamo che i morti non potevano essere meno di 2-300, data la
magnitudo e la cognizione del disastro, ma era l'ultima cosa da
dire.
Non c'era niente da fare da parte di ciascuno di noi.
Nell'alluvione del 1966 ci eravamo mossi tutti spontaneamente per
aiutare la popolazione della Valsugana, altrimenti nessuno li
avrebbe soccorsi. Nel terremoto del Friuuli (1976) abbiamo mandato
le nostre tende e le nostre roulotte. Nel terremoto dell'Irpinia
del 1980, se non fosse stato per il presidente Pertini che era
andato di persona a vedere come stavano le cose, lo Stato avrebbe
fatto poco o nulla, come nel Belice. Una questione di
roganizzazione e di senso del dovere.
Stavolta ha fatto tutto la Provincia, e possiamo esserne
orgogliosi. È come se noi che nel '66 eravamo dei ragazzini ci
fossimo attrezzati in questi 40 anni per far sì che tutto andasse
secondo un piano prestabilito e verificato da tempo.
Il primo comunicato giunto in redazione dopo quelli del terremoto è
stato inviati dall'Ufficio stampa della Provincia autonoma di
Trento. Allertata alle 6 di mattina, la macchina della nostra
protezione civile era in perfetta efficienza alle 8. Due elicotteri
erano partiti subito alla volta dell'Aquila, uno con un'unità di
pronto soccorso medico e uno per la prima volta con cani da
catastrofe, arrivando alle 12. Gli elicotteri hanno lavorato senza
sosta per trasportare i feriti dalle zone terremotate agli ospedali
di Roma. Rappresentavano la metà della forza aeromobile operante
sul posto.
La nostra colonna mobile con 120 persone e 20 automezzi era
arrivata nel tardo pomeriggio. Avevano montato subito le tende
pneumatiche e si erano messi al lavoro anche loro senza sosta. Il
riscaldamento per le tende arrivava solo l'indomani, ma le coperte
erano state sufficienti. Negli altri campi i riscaldamento non è
mai arrivato.
Il presidente Dellai si è recato sul posto due giorni dopo e ha
deciso cosa fare nei prossimi mesi.
I nostri ragazzi hanno lavorato in silenzio e senza sosta. Sono
stati rimpiazzati dopo tre giorni, secondo il piano prestabilito.
Insomma, tutto era stato pianificato da tempo e tutto è andato come
doveva andare. Eppure non si è sentita una sola parola di elogio a
favore dei nostri ragazzi e delle nostre autorità. Come ci ha detto
il presidente Dellai, «si deve lavorare perché va fatto, non per
avere gratifiche».
Vero. Cionondimeno ci sentiamo un po' torteggiati. È come se dal
Trentino nessuno si fosse atteso nulla di meno.
Forse si è parlato poco del Trentino perché siamo in periodo di
«par condicio», in quanto siamo a ridosso delle elezioni
amministrative… Ma vi rendete conto che i comunicati della
Provincia che arrivano alle redazioni non portano i nomi degli
assessori per motivi di par condicio? L'ultimo l'abbiamo
pubblicato oggi (vedi):
si faceva il nome dell'ingegner De Col e di don Maffeis, mentre non
si era potuto fare il nome di Lia Beltrami, «assessore alla
solidarietà internazionale e convivenza della Provincia autonoma di
Trento»… Forse dovremmo ripensare un po' a tutta questa legge che
non sappiamo se conosce uguali in giro per il mondo.
Il presidente Napolitano, assediato dai giornalisti, è sbottato con
la frase poco presidenziale «non rompete!», dimentico che la stampa
si è sempre dimostrata fondamentale nelle catastrofi. Chiunque di
noi avrebbe reagito come lui, ma noi non siamo il Presidente della
Repubblica.
E chi dimenticherà la scena di Berlusconi che accoglieva tra le
braccia la povera vecchia che gridava «Silvio, ho perso tutto,
anche la dentiera!»? Beh, sembra proprio che vogliano farla
dimenticare, dato che Silvio le ha fatto avere una dentiera nuova
nel giro di 24 ore…
È vero, andava protetta la privacy, sia della signora che di
Berlusconi. Ma, sia pure con i suoi soldi, saremmo riusciti anche
noi ad essere generosi con una vecchia solo perché poteva sembrare
la nostra mamma?
Il capolavoro l'ha fatto Santoro con la sua trasmissione «Anno
zero», quasi in antitesi a un Bruno Vespa che ha proprio
meravigliato con la sua sensibilità dialettica ed emozionale. È
vero che Vespa è originario dell'Abruzzo, come è altrettanto vero
che chiunque ha diritto di esprimere le proprie istanze come meglio
crede. Magari non con i soldi dei contribuenti, si dirà, ma è
irrilevante. L'importante è che anche noi si possa dire quello che
abbiamo appena detto, perché questo è un Paese libero e, a vedere
come ha reagito al terremoto, anche cresciuto. Cresciuto
davvero.