La Scommessa – Di Daniele Maurizio Bornancin

Lettera del Vescovo alla comunità per la festa del patrono S. Vigilio, momento significativo per la storia della Chiesa Trentina

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La festa del Patrono ha sempre destato interesse in città, per la cultura, l’ambiente folcloristico, le sfilate con costumi storici, i vari incontri e le manifestazioni che hanno portato anche in questa edizione appassionati locali, turisti di altre regioni italiane e di alcune località europee. Un buon risultato per l’economia turistica di quest’estate. Una tradizione che parla della nostra storia, accompagnata dal ricordo simbolico della stazione di sosta a Trento, che S. Vigilio fece costruire per i pellegrini di passaggio, dove veniva offerto loro un pezzo di pane. Circostanza che oggi è stata rievocata dopo la santa messa solenne con la distribuzione del «Pan e Vin».
 
Pane offerto ogni anno dall’Associazione dei Panificatori Trentini operativi in molti luoghi del nostro territorio. Una festa di popolo, come ha evidenziato Monsignor Ivan Maffeis, prete della Rendena, presente alla cerimonia in cattedrale e alla processione, oggi Vescovo di Perugia, incontrando tanti amici trentini in Piazza Duomo e che si sta prodigando per trovare un luogo per accogliere i giovani trentini in quella Regione, dando così maggiore forza alle relazioni di comunità e tenendo generosi contatti con le nostre genti.
 
In questa ricorrenza il Vescovo Tisi consegna come dono ai partecipanti alla funzione religiosa una così chiamata: «Lettera alla comunità» edita da Vita Trentina. Una forma di collegamento con la gente trentina, che affronta i momenti attuali del vivere quotidiano, delle sofferenze, delle trasformazioni in atto, delle difficoltà delle persone e delle imprese, dell’impatto sociale delle modernizzazioni che corrono veloci in questo tempo, dove si evince anche che la solitudine è fin troppo presente nella collettività.
 
Un incontrare la popolazione con un dialogo scritto in una visione sia pure religiosa, ma che ci impegna a pensare, a capire il contenuto del messaggio inuna società tecnologica, in accelerata trasformazione.
Un tentativo di interpretare e scoprire ciò che ha provocato nelle persone dopo la lettura di questo particolare strumento informativo è l’oggetto di questa descrizione.
Questa lettera del 2024, dal titolo «La scommessa», anche attraverso esempi reali, ci obbliga ad un momento di riflessione, personale o di gruppo, per ricavare qualche spunto che può rimanere nel tempo.
La scommessa, quel puntare su qualcosa, ma anche sul futuro. La scommessa, descritta all’inizio con il caso di una vedova che per trent’anni ogni giorno dall’ edicolante comprava un biglietto per poi a casa verificare con lo strisciare di una moneta se avesse vinto.

Una giocata quotidiana, che implorava la speranza di farsi vedere, con un buon risultato in denaro,
Poi questa donna non si vide più, scomparsa nel silenzio delle giornate. Quanti trentini, nei paesi come nelle città, tentano la fortuna con questi giochi, anche informatici? Migliaia, consumando una considerevole quantità di denaro che ha messo a dura prova le persone, che ha distrutto famiglie, ed anche i parenti più prossimi. Cifre enormi, che non reggono a nessun confronto con altri settori.
Allora la vita è solo una normale sfida alla fortuna? Non vale, invece, la pena scommettere sul proprio presente o meglio sul proprio futuro con un progetto, con una nuova iniziativa e con un paziente lavoro? Bisogna credere, quel credere che diventa fidarsi di qualcuno e aderire a dei valori reali, ora spesso abbandonati. In questo periodo, anche per una serie di ragioni, si può toccare con mano sia nei giovani, che negli adulti, un vento sempre più incisivo di pensieri di sfiducia in tutto: nelle persone, nelle istituzioni, nel lavoro, nella politica, nelle organizzazioni sociali.
 
C’e sempre più la constatazione di una chiusura personale nel proprio essere e nella difesa della propria realtà, del proprio giardino. Possiamo dire di un egoismo, dove va bene ciò che è concreto, subitaneo e godibile, che possa portare soddisfazioni in tempi brevi.
La fiducia è qualcosa di più, è quel fidarsi degli altri che diventa impegno faticoso, ma che è un dare peso alla cose che portano certezze, è un percorso senza scorciatoie, è un modo diverso di apprezzare la vita. Tutto questo è un sentiero dove non siamo mai camminatori solitari, dove ogni passo si muove su orme fatte da altri e che restano per chi continua poi questi passi.
Su cosa scommettiamo allora della nostra vita, preferiamo rischiare la sorte della fortuna con l’azzardo dei giochi o costruiamo un progetto per noi insieme ad altre persone?
 
L’esortazione del vescovo è di avere fiducia in noi stessi e negli altri. Le persone forti, non sono quelle che s’impongono sugli altri, ma lasciano esistere gli altri per quello che sono, per quello che rappresentano. Questo è espresso dalle persone miti che non intendono gareggiare, che non puntano alla vincita. La mitezza che racchiude queste tipologie di persone, non è tolleranza, ma è un dono che non appartiene ai deboli.
Il messaggio di Tisi racchiude in sé anche due efficaci esempi di vita reale: nel primo esempio il Premio della Genziana d’0ro al Film Festival della montagna, conferito alla pellicola «Pasteur» (il Pastore) del giovane regista francese Louis Hanquet. In questa proiezione è descritta la vita controcorrente di un giovane pastore dell’Alta Provenza che si prende a cuore il proprio gregge, chiamando per nome ogni pecora curando le più ammalate, conducendole a pascolare sotto le piogge e proteggendole dai rischi di altri animali.
 
La seconda esperienza racconta la vita di don Renzo Caserotti, molto conosciuto in tutto il Trentino e scomparso recentemente dopo una malattia incurabile.
Nei giorni conclusivi della sua esistenza, alla domanda come ti senti, formulata dal vescovo, don Renzo rispose: «sono in attesa della venuta del mio Signore. Per quarant’anni l’ho annunciata e proclamata e sarebbe davvero sorprendente se ora me ne sottraessi».
Questa è stata una lezione di vita, di coraggio, di serenità, di convinta accettazione e non solo una forte testimonianza di fede.

Il nostro compito è anche saper leggere la vita come dono, essere donne e uomini giusti, capaci di mantenere la parola data, ricercatori della verità e della speranza.
Anche nei momenti più bui, di desolazione, di tristezza bisogna avere la capacità di percepire la vita come promessa. Bisogna saper credere, senza paura.

Ecco la consapevolezza di una chiesa che è ancora, di questi tempi, capace di portare una speranza e di incontrare con fiducia gli altri.
Cosa possiamo portarci dietro dopo la lettura di questo strumento di dialogo per la gente trentina?
 
Certamente l’importanza delle relazioni positive, basate sulla verità, sul confronto con gli altri, sull’analisi della nostra interiorità che deve essere continuamente compiuta, perché si scopre sempre qualcosa di nuovo. Dal profondo di noi stessi parte sempre la ricerca della verità in ognuno, parte la logica delle attese e delle speranze che il destino pone davanti a noi in ogni ambito del nostro quotidiano operare: scuola, lavoro, famiglia, associazioni, tempo libero, impegno politico e sociale. Se non ascoltiamo e rimaniamo per ore davanti ad un televisore o ad un computer, o usiamo altri strumenti innovativi, non ascoltiamo il pensiero o le parole degli altri, queste parole col tempo diventano suoni che fanno parte delle giornate che velocemente scorrono nel tempo stesso. Certo, ascoltare è a volte un’impresa difficile, ci vuole attenzione, pazienza, prudenza e volontà, è fissare l’attenzione su un volto, su una persona che non è un numero, ma è una vita con la propria caratterizzazione, la propria realtà, il proprio vissuto.

Tutto questo porta a una sfida, una scommessa, che ogni giorno abbiamo davanti a noi. Forse è giunto il tempo di non continuare a misurare l’esistenza delle persone e delle varie attività su ciò che porta a risultati immediati, godibili e monetizzabili e solo con statistiche e sondaggi quantitativi e competitivi nel rispetto delle mode che cambiano continuamente. In questo momento particolare della società è più che necessario fare un passo oltre all’esistente e alle mode, per tornare a essere insieme comunità volonterosa che affronta il proprio operare attraverso il dialogo, l’ascolto e la condivisione degli altri.
Questi piccoli opuscoli, che sono diventati una buona consuetudine a cadenza annuale, sono anche uno stimolo al pensare, al fare, al cercare il cambiamento, per certi aspetti una forma sia pure originale di aiuto alla crescita interiore e umana di ognuno di noi.

A cura di Maurizio Bornancin
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