Alluvione in Emilia Romagna, autopsia di un disastro

La Protezione Civile ha lavorato in modo eccezionale. Adesso però deve lavorare lo Stato

Rispetto al 1966, quando il maltempo aveva messo in ginocchio il Trentino, il Veneto e la Toscana provocando la morte di decine di persone, è cambiato qualcosa, ma non molto.
Allora l’occhio del ciclone si era fermato sulla Sardegna, lasciando che il maltempo scaricasse acqua per giorni sull’alta e media Italia.
Stavolta il disastro è dovuto all’anomalia di un fenomeno maledetto che in due giorni ha scaricato sull’Emilia Romagna l’equivalente di pioggia che solitamente cade in due mesi.
Infatti le previsioni sono state precise, ma di fronte a un fenomeno così estremo nessuno avrebbe potuto far niente per evitare il disastro.
L’unica cosa che si poteva fare - col senno di poi, sia ben chiaro - era evacuare la popolazione prima. Ma siamo certi che nessuno avrebbe abbandonato le proprie case.
 
Oggi sono 13.000 le persone evacuate, molte delle quali salvate per un pelo.
E i morti sono stati nove.
Ben 21 corsi d'acqua hanno straripato, invadendo circa 35 comuni. Hanno ceduto prima i corsi d'acqua piccoli, che di solito attenuano il colpo.
Per fortuna la Protezione civile ha funzionato e i danni alle persone, per quanto molto gravi, sono stati fortemente limitati.
La sola Protezione civile del Trentino ha salvato una trentina di persone.
E con l’occasione elogiamo la decisione dell’ing. De Col della Provincia che, non appena avvertito il pericolo di inondazioni in Emilia Romagna, ha prima inviato degli scouts per fare un sopralluogo e poi ma mandato una colonna di 50 persone, seguita poi da una seconda.
Insomma, gli uomini di buona volontà ci sono. Ci sono sempre stati.
 
A parte l’eccezionalità delle precipitazioni, però, in questo Paese c’è tanto da fare, anzi tantissimo.
Un Paese civile e moderno non può essere così esposto ai capricci della natura. Passare da una siccità micidiale a un’alluvione devastante è certamente deleterio, ma si può, anzi si deve reagire e procedere - appena superata l’emergenza - al risanamento dell’Italia dal punto di vista idrico e idrogeologico e, già che siamo, da quello idrogeologico.
All’inizio della scorsa legislatura avevamo invocato il Governo a investire cospicue risorse per sanare il territorio da questi pericoli. Avevamo ricordato che una grande mole di lavori pubblici avrebbe anche fatto lievitare il PIL.
Non solo nessuno ci ha dato ascolto, ma un pentastellato ci ha addirittura scritto che per criticare il nostro modo di suggerire sul come fare politica col giornale.
 
Purtroppo erano cose da finanziare con il PNRR, ma purtroppo Draghi non ha trovato neanche un progetto nel cassetto che riguardasse la messa in sicurezza idrica, idrogeologica e sismica. E così abbiamo perso l’occasione di iniziare i lavori e di farceli pagare.
Penoso che non ci sia neanche uno straccio di progettazione, ma tant'è...
Ma ora non c’è da perdere un minuto. Vanno messi in cantiere progetti che consentano di non perdere l’acqua quando ci sono le piene e di soffrire quando ci sono le alluvioni.
Quanto alla sismicità del Paese, non siamo ancora riusciti a ricostruire i danni dei terremoti accaduti. Ma anche in questo campo dobbiamo metterci al lavoro. E alla svelta.