Il dieselgate della storica fabbrica concepita come una famiglia

Volkswagen: un danno morale o un utile insegnamento per l’ammodernamento delle regole? – Di Maurizio Bornancin

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La Volkswagen, fabbrica delle «auto della gente» è nella bufera per i noti test truccati sulle emissioni di ossido di azoto dei veicoli diesel, inquinante questo spesso nocivo per le persone che soffrono di patologie particolari come l’asma e i disturbi cardiovascolari, aggravando così il  proprio quadro clinico.
Ventimila i lavoratori di questa casa produttrice di auto, considerata tra le prime a livello mondiale per qualità del prodotto, per sicurezza, per affidabilità.
I vari modelli delle autovetture dal Maggiolino alla Passat, hanno sempre rappresentato la serietà e il rigore imprenditoriale imperniato sulla cultura e tradizione tedesca, vanto ed esempio per l’intera nazione.
La Volkswagen rappresenta, infatti, anche oggi, dopo molti anni, un’istituzione per il mondo tedesco.
Ora il Dieselgate, partito dall’America, dove i controlli hanno rilevato l’uso di un software che modificava le emissioni delle auto non a benzina, si allarga anche in Europa e in altri paesi e interessa dieci milioni di auto, di queste un milione in Italia e tre milioni in Germania.
Da più parti, dopo gli USA, sia in Europa che in Italia, si sono aperte specifiche inchieste basate su particolari accertamenti sullo stato delle vetture vendute dal 2008 al 2015.
È prevista inoltre a partire dal gennaio 2016, l’introduzione di una class-action per la tutela del consumatore.
 
La Volkswagen ha nel frattempo bloccato le vendite dei modelli diesel dei vari marchi del gruppo (Seat, Audi, Skoda) a livello mondiale.
Un danno non da poco per la casa madre, che inciderà significativamente sui fatturati e sulla tenuta del bilanci aziendali.
La casa automobilistica ha già annunciato un piano gratuito per intervenire sui 10 milioni di auto colpite da questo scandalo.
Un percorso di recupero, sostituzione o aggiornamento del software incriminato sicuramente doloroso, che si stima costi all’azienda circa 6,5 miliardi dollari e che interesserà tutto il 2016.
Dopo il cambio dei vertici, il consiglio di amministrazione della società ha predisposto un piano di risparmi con possibili cessioni di quote azionarie e marchi aziendali per affrontare i nuovi costi, le inevitabili sanzioni e i necessari studi e ricerche per cercare soluzioni tecniche atte a ridurre i danni complessivi.
L’obbligatoria riduzione della spesa, già dal prossimo esercizio finanziario, inciderà anche sull’inserimento nel ciclo produttivo di macchinari ad alta tecnologia e sui laboratori di prova, rallentando così il processo d’innovazione sui progetti futuri e sull’uscita di nuovi modelli e tipologie di autovetture.
 
Il Dieselgate ha assestato un colpo molto duro all’immagine aziendale che si ripercuoterà sulle vendite delle autovetture, ma anche sulla fiducia verso la Germania.
Questo imprevisto della casa automobilistica tedesca è entrato anche tra gli ordini del giorno delle prossime sedute della Comunità Europea, sia per le conseguenze del caso specifico, che per la natura e la qualità dei controlli delle emissioni – auto.
A suo tempo era stata proprio la Germania a opporsi, a livello di Commissioni e di Consiglio europeo, all’ingresso anticipato nella legislazione europea dei nuovi limiti Euro 6, entrati in vigore lo scorso primo settembre, che abbassano le emissioni di ossido di azoto per i modelli diesel da 0,18 a 0,08 grami per Km.
La difformità sui risultati dei test e le relative valutazioni tecniche, le varie e difformi interpretazioni dei dati, in un quadro di forte incertezza e poiché i pericoli per la salute sono uguali in tutto il mondo, ha spinto l’Agenzia per la protezione ambientale europea a sollecitare nuove modifiche alla normativa europea in materia d’inquinamento, volte a far sì che non vi siano norme diverse e limiti differenti da Paese a Paese.
Situazione questa che era comunque nota agli addetti ai lavori, i quali «non potevano essere all’oscuro di tutto».
 
In questa situazione che è ancora oggetto di analisi e che deve essere meglio capita anche sulla base dei primi risultati delle indagini in corso, emerge per la nostra realtà un dato per così dire piacevole, che indica la FCA ex FIAT (51 mila dipendenti) tra le società produttrici di autoveicoli, quella più rispettosa delle regole sulla tutela dell’ambiente.
Un caso quello della Volkswagen che non si limita solo alla Germania, ma può incidere, sia pure in minore misura anche sull’industria italiana, poiché alcune medie e piccole imprese producono parti di componentistica per le auto in particolare nei comparti della micro elettronica, della plastica e dei tessuti per le parti interne delle vetture.
Quest’azienda oggi si trova di fronte ad una grande e unica sfida, che si caratterizza per il mantenimento degli occupati, la riconquista della fiducia dei cittadini e il riposizionamento delle percentuali di mercato, obiettivi che possono essere raggiunti con il tempo e con un costante lavoro di squadra, con messaggi di fiducia e speranza, ma soprattutto di trasparenza come il mondo tedesco è e dovrebbe essere abituato a fare.
Tutto questo dovrebbe diventare comunque un utile insegnamento non solo per accelerare il riordino delle regole complessive sulle emissioni delle auto, ma anche per non scordare la necessità di nuove sperimentazioni, soprattutto nei centri urbani sull’uso delle auto elettriche ed ecologiche, nuova frontiera e sempre più realtà di mercato.
 
Daniele Bornancin