Storie di donne, letteratura di genere/ 539 – Di Luciana Grillo
Antonella Cilento, «Il sole non bagna Napoli» – Questo libro è una tenerissima, rigorosa e lucida dichiarazione d’amore alla città
Titolo: Il sole non bagna Napoli
Autrice: Antonella Cilento
Editore: Bottega Errante Edizioni, 2024
Genere: Letteratura femminile italiana
Pagine: 184, Brossura
Prezzo di copertina: € 17
Non conosco Antonella Cilento se non attraverso i suoi libri, che ho letto e spesso recensito, anche in questa rubrica.
So che scrive con amore, che costruisce le frasi con tenerezza, che esprime pensieri profondi in modo semplice, che comunica spontaneamente… e questo piccolo prezioso libro ne è la prova.
«Il sole non bagna Napoli» richiama subito «Il mare non bagna Napoli», di Anna Maria Ortese.
È una appassionata descrizione della sua città, che Antonella vede non solo attraverso i suoi occhi – e nel momento in cui scrive ha qualche problema di vista – ma anche attraverso le parole e i pensieri di chi a Napoli è arrivato per caso, o ci ha vissuto, o ci è nato.
Comincia citando Fabrizia Ramondino e Curzio Malaparte, Alexandre Dumas e naturalmente Anna Maria Ortese, aggiunge i suoi ricordi, l’intervento alle adenoidi nell’ospedale del quartiere Sanità: «Una visita alla Sanità dunque è un passaggio necessario, al di là delle immagini dei film (tanti) che vi sono stati girati, da De Sica a Eduardo a Mario Martone, al di là delle stese che finiscono sui giornali, le sparatorie ad altezza umana, al di là dei ristoranti famosi…, la Sanità è il quartiere del barocco e dell’ellenismo…».
Ricorda il disorientamento di Felix Hartlaub che a Napoli non riusciva a distinguere le stagioni e di Jacob Jonas Bjornstahl che in una città famosa per essere calda, soffriva invece il freddo; cita Belmonte, che pur arrivando a Napoli dalla caotica New York, si muoveva a fatica in un piccolo precario luna park affollato all’inverosimile e descrive il Vomero, il quartiere in collina «che era il più fiorito e famoso giardino d’Europa» urbanizzato selvaggiamente, diventato «un dormitorio per vecchi, una gigantesca casa di riposo».
Cilento prosegue instancabile nel suo viaggio, vede i rioni di Bagnoli e Fuorigrotta, il primo caratterizzato da un pontile «residuo della dismissione dell’Italsider», il secondo «immenso dormitorio con stadio» dove «le mani sulla città hanno edificato senza sosta», cammina su moli e pontili su cui sembrano volare «angeli, monache, sirene, santi, antichi dèi».
Se l’antico nome di Napoli ricorda una sirena, un delfino è inciso sulle monete di Taranto: Cilento vede somiglianze fra queste due città, un passato glorioso, un sottosuolo ricco di reperti archeologici.
Nel suo vagare, l’autrice arriva a Nisida, che diventò un carcere ai tempi di Gioacchino Murat, ricorda le vicende di un noto chirurgo - Marco Aurelio Severino, - racconta la terribile peste del ’600 che uccise uomini e donne, frati e gesuiti, detenuti e mercanti e la «fortuna» di molti poveri che – sopravvissuti – ereditarono ricchezze incustodite e case mai sognate prima.
A Napoli, dove per lunghi secoli si è conservata la tradizione di scrivere in greco, sono morti Romolo Augustolo, Heinrich Schliemann, lo scopritore di Troia, e Giacomo Leopardi.
Di questa città sorprendente hanno scritto Dickens e Bontempelli, Cortàzar, Hoffmann e Radcliffe, probabilmente senza averla mai vista; della sua eroina Eleonora de Fonseca Pimentel Enzo Striano ha mirabilmente raccontato la storia; qui è sepolto Virgilio, «il più grande poeta dell’antichità latina».
Antonella Cilento non tralascia nulla: è bellissima la descrizione dei decumani e dei cardi che «sembrano, dall’alto, righe nella sabbia fatte da grandi dita di bambino», abitati da librai, tessitori, mercanti spesso di origine ebrea e perfettamente inclusi nel mondo dei napoletani «che erano greci, bizantini, alessandrini, visigoti. Su queste strade, dunque, camminano, ammiscàti, ovvero mescolati, non solo francesi, normanni, catalani e castigliani, ma anche ungheresi, austriaci e rami lontanissimi della babele mediterranea eterna che va dalla Mesopotamia alle colonne d’Ercole…».
Oggi tra quei vicoli si muovono gli studenti che ne hanno fatto il luogo della movida, che passeggiano fra piante e tavolini dei bar mescolandosi con intellettuali, musicisti, medici, turisti.
Credo che attraversare questi luoghi avendo in mano il libro di Antonella, possa significare vedere con occhi diversi il campanile normanno, il Pio Monte, il lazzaretto e l’Archivio storico del Banco di Napoli, l’Anticaglia, i dipinti di Santacroce e ricordare gli anni in cui Napoli è stata angioina e aragonese, effervescente nella prima metà del ’500, quando ricoprivano un ruolo significativo le nobildonne spagnole e napoletane e le intellettuali come Vittoria Colonna.
Né può trascurare l’autrice di parlare della Mostra d’Oltremare, costruita durante il fascismo, che ha ospitato deportati abissini e oggi è location ideale per fiere librarie, della casa, del fumetto e altro.
E neanche può dimenticare l’opera di Eduardo, citando «Natale in casa Cupiello» e il protagonista Luca, che a San Gregorio Armeno va a comprare i pastori del «presebbio» e poi la straordinaria «Napoli milionaria», entrambe considerate «il Vangelo della Napoli novecentesca».
Dopo Eduardo, altri napoletani illustre, Attilio Veraldi, redattore e traduttore da molte lingue per Feltrinelli, critico ed esule che ambienta a Napoli i suoi romanzi; Giuseppe Montesano, i cui protagonisti utilizzano freneticamente gli autobus; Antonio Franchini e i librai Sansone, il grande Croce che ha amato la sua città, pur avendola definita - imitando Goethe - «un paradiso abitato da diavoli».
Mi avvio alla conclusione e prendo in prestito da Antonella una frase esemplare: «Napoli da lontano è dai balconi, dalle terrazze dei castelli, dal mare, mentre i traghetti si allontanano verso le isole. Ma è anche la Napoli che bolle nei fragili, trascurati e magnifici Campi Flegrei».
Questo libro è una tenerissima, rigorosa e lucida dichiarazione d’amore alla città.
Luciana Grillo - [email protected]
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