«Associazione Castelli del Trentino» – Di Daniela Larentis

Lo storico germanista Gustavo Corni il 16 febbraio parlerà di sovversioni e colpi di stato da Roma a Monaco nei primi anni '20 del Novecento – L’intervista

Gustavo Corni.
 
Prosegue con il primo appuntamento di questo nuovo anno il ciclo di incontri organizzato dall’Associazione Castelli del Trentino, curato dal presidente dell’Associazione, l’archeologo Andrea Sommavilla, responsabile del Servizio biblioteca e attività culturali del comune di Borgo Valsugana.
Gustavo Corni, già professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Trento, sarà il protagonista della serata di giovedì 16 febbraio 2023, che avrà come sempre luogo a Mezzolombardo in Sala Spaur, Piazza Erbe, alle ore 20.30.
Titolo dell’incontro: «Da Roma a Monaco. Sovversioni e colpi di stato nei primi anni Venti. Marcia su Roma 1922-2022; Putsch di Monaco 1923-2023».
Da oltre trent’anni l’Associazione è attiva nell’ambito culturale provinciale soprattutto attraverso pubblicazioni, convegni e cicli di conferenze su tematiche storiche e storico-artistiche che vengono seguiti con attenzione dal pubblico e dalla stampa.
Le iniziative proposte godono del patrocinio della PAT e della Regione, sono inoltre riconosciute valide ai fini dell’aggiornamento del personale docente da parte dell’Iprase.
Continua la collaborazione con l’Accademia roveretana degli Agiati e con la Società di Studi trentini di Scienze storiche.
 
Noto storico germanista, Gustavo Corni non ha certo bisogno di presentazioni, ha pubblicato ampiamente sulla storia moderna tedesca, in particolare sul nazionalsocialismo in un contesto comparativo.
Davvero lungo l’elenco dei suoi libri: ha scritto sulla storia comparata delle dittature del Novecento, sulla storia dei due conflitti mondiali, su Adolf Hitler e molto altro. Fra le più recenti pubblicazioni citiamo: «Raccontare la guerra. La memoria organizzata» (Bruno Mondadori, 2012); «L’esodo degli italiani da Istria e Dalmazia» (2014); «Breve storia del nazismo: 1920-1945» (Il Mulino, 2015); «Il Trentino e i trentini nella Grande guerra: nuove prospettive di ricerca» (Il Mulino, 2018); «Storia della Germania da Bismarck a Merkel» (Il Saggiatore, 2017); «Weimar. La Germania dal 1918 al 1933» (Carocci Editore, 2020); «Guglielmo II. L'ultimo Kaiser di Germania tra autocrazia, guerra ed esilio» (Salerno Editrice, 2022).
Abbiamo avuto il piacere di porgergli alcune domande.
 

 
Confrontando la Marcia di Roma e il Putsch di Monaco quali differenze emergono?
«I primissimi anni venti mostrano una situazione complessivamente molto instabile, estremamente difficile in tutta Europa, e sono caratterizzati dalle terribili lotte che si scatenano nella Russia postrivoluzionaria tra i rivoluzionari bolscevichi e i loro nemici; Nell’Europa continentale si registrano sommovimenti di varia natura: da un lato ci sono pulsioni, soprattutto della classe operaia, a imitare in qualche modo il modello bolscevico; dall’altro ci sono delle reazioni da parte delle classi dirigenti, che temono il diffondersi della minaccia comunista.
«Avvengono dei colpi di stato di tipo militare, ad esempio in Spagna e in Portogallo, abbiamo un governo comunista nel primo semestre del 1919 in Ungheria, a cui segue la reazione e l’istituzione di un regime autoritario guidato dall’ammiraglio Horthy.
«In Italia e in Germania si verificano due fenomeni particolarmente significativi: per quanto riguarda l’Italia, la Marcia su Roma rappresenta un cambiamento epocale nella storia del Paese e l’avvio di una dittatura fascista che si realizzerà in modo graduale nel corso degli anni successivi. Per quanto riguarda invece la Germania, il principale Paese sconfitto, Hitler spera in una conquista del potere a partire da un colpo di stato a Monaco, ispirato a quanto era avvenuto a Roma.
«Intende imitare il modello italiano, esplicitamente le sue camicie brune richiamano la denominazione delle camicie nere fasciste, ma ci sono delle differenze importanti.
«Anzitutto, quando nell’ottobre 1922 Mussolini mette in scena la minaccia di un colpo di stato, perché di questo si tratta, un bluff nel quale cadono le classi dirigenti liberali, una trappola nella quale cade anche la monarchia Vittorio Emanuele III, Mussolini è un uomo politico importante, un uomo che ha un ruolo estremamente cruciale nella politica romana. Inoltre, il Partito fascista e le squadre fasciste che sono in azione da almeno due-tre anni, soprattutto nelle campagne della pianura padana, ma non solo, rappresentano un fattore politico di grande rilevanza.
«Ricordiamo che al momento della Marcia su Roma il Partito Nazionale Fascista ha più di 200.000 iscritti. Quindi il doppio di quanto ne avesse in quel momento il Partito socialista, che dietro di sé aveva una storia molto più lunga di partito di massa. Quindi, il fascismo non è nell’ottobre 1922 una meteora che tenta un colpo di stato, un’avventura di tipo militare, è un movimento politico importante che è stato sul tavolo della grande politica ma che riesce anche a conquistare consenso in larghi settori della popolazione. Hitler, al contrario, guida un partito modesto che non ha una diffusione al di fuori di Monaco.
«Una differenza fondamentale è rappresentata dal fatto che il Putsch di Monaco, che segue a una serie di convulsioni avvenute nella metropoli bavarese, ha una dimensione fortemente locale, regionale, ha l’obiettivo di rafforzare o definire l’indipendenza della Baviera dal predominio di Berlino.
«Al contrario, la Marcia su Roma programmaticamente è il tentativo di andare al potere su scala nazionale. E poi le due figure sono molto diverse. Hitler è un avventuriero, è il capo di uno dei tanti partiti di modesta entità; nell’autunno del 1923, in qualche modo cerca di cavalcare l’onda, ma non dimentichiamo che il vero capo del Putsch di Monaco, colui che avrebbe dovuto, nell’ipotesi di successo, guidare il nuovo governo che sarebbe nato da un vittorioso putsch, non era Hitler bensì il generale Ludendorff, cioè una figura estremamente importante nel corso della guerra, il numero due del Comando supremo tedesco, tra il 1916 e il 1918. Quindi Hitler si gioca tutto, con quel tentativo.»
 
C’è una caratteristica che li accomuna?
«La caratteristica principale è che Hitler guarda a Mussolini come un modello. In quel momento, e anche negli anni seguenti, per tutti gli anni venti e tutti gli anni trenta, è un rapporto unidirezionale, tantoché uno storico tedesco qualche anno fa ha scritto un libro molto importante sui rapporti tra Hitler e Mussolini, definendo Hitler come l’apprendista stregone, semplicemente colui che ha cercato di imparare dal maestro, che era per lui Mussolini, combinando un mucchio di guai, così come l’apprendista stregone del famoso cartone animato della Disney.»
 
In breve, può delineare la situazione in Italia e in Germania nel periodo preso in esame?
«Apparentemente la situazione è molto diversa, l’Italia è un Paese che ha vinto, la Germania è un Paese che ha perso. Ci troveremmo apparentemente di fronte a una situazione molto differente. In realtà, l’Italia ha sì vinto la guerra, ma quello scontro che c’era stato nel 1914-1915 tra i neutralisti e gli interventisti, quella profonda lacerazione della società che era stata in qualche modo sottaciuta, messa da parte nel corso della guerra, finito il conflitto si riapre.
«Gli interventisti di una volta, rafforzati a questo punto dall’esperienza della trincea, quindi dai veterani, dagli ex combattenti, su cui Mussolini fa un’efficace propaganda di reclutamento, almeno dopo il 1920-21, si contrappongono ai neutralisti del 1914-15, che sono essenzialmente i socialisti, i cattolici e una parte del movimento liberale.
«Un altro elemento importante, per quanto riguarda il fascismo, è che la classe dirigente liberale italiana è in una profonda crisi. Una crisi da cui non riesce a risollevarsi e da cui tenta in qualche modo di uscire nell’autunno del 1922, giocando la carta di Mussolini, dell’uomo forte, capace di ottenere vasto consenso dell’opinione pubblica.
«La Germania ha perso la guerra, tutti sono d’accordo sul fatto che il trattato di Versailles non fosse assolutamente accettabile. I tre partiti che sosterranno la repubblica di Weimar sino al 1930, il Partito socialdemocratico, il Zentrum - il partito cattolico del centro - e il Partito democratico - cioè i liberaldemocratici - fanno un accordo mirato alla stabilizzazione, mirato cioè al superamento della profondissima crisi economica-sociale dell’immediato dopoguerra.
«In Germania cattolici e socialisti dialogano e danno vita a un governo, in Italia cattolici e socialisti si guardano in cagnesco, continua a esserci un’insuperabile diffidenza e divergenza di tipo politico-ideologico, e questo naturalmente indebolisce ulteriormente le istituzioni dell’Italia liberale.»
 

 
L’esito del Putsch di Monaco avrebbe potuto rappresentare la fine della carriera appena iniziata di Hitler…
«Hitler viene processato, gli verrà inflitta una condanna molto leggera, per di più in parte gli verrà condonata, non farà nemmeno un anno di prigione. In quell’anno di detenzione detterà e scriverà passi del Mein Kampf, la sua opera teorico-programmatica.
«Avrebbe potuto essere espulso, perché era cittadino austriaco, non era cittadino tedesco. La storia, tuttavia, non si fa con i se, Se fosse stato espulso è chiaro che le cose sarebbero andate in modo profondamente diverso.
«Ad ogni modo, anche negli anni successivi, fino all’autunno-inverno 1929-1930, il partito che Hitler rimette in piedi, assumendo il controllo della destra estrema in tutta la Germania, non più solo in Baviera, tutto sommato continua a essere di modeste dimensioni. Nelle ultime elezioni politiche, prima della grande crisi economica dell’autunno del 1928, il Partito nazionalsocialista conquista poco più del 2,5% di voti.
«Poi c’è la grande crisi che arriva in Germania immediatamente dopo aver sconvolto l’economia americana, colpendo duramente tutte le economie, ma soprattutto l’economia tedesca per una serie di motivi che sarebbe lungo spiegare.
«Quell’evento è il vero spartiacque: da quel momento in poi la repubblica entra in una crisi profonda, da cui non si libererà. E da quel momento in poi Hitler sarà in grado, per una serie di motivi molto complessi, di assumere il ruolo che non aveva mai potuto assumere nel decennio precedente, cioè quello di un esponente della destra estremista, nazionalista, antidemocratica, antisocialista, antirepubblicana. Da lì in poi il Nazionalsocialismo diventa un partito di massa e la situazione cambia radicalmente.»
 
A proposito della complicata situazione geopolitica attuale, da storico potrebbe condividere una riflessione su ciò che sta avvenendo in Europa?
«Quando un anno fa la Russia ha attaccato l’Ucraina, come storico automaticamente ho fatto insistenti riflessioni su quanto la storia pesi. Per esempio, quando Putin ha costruito la legittimazione del suo attacco, parlando di un’Ucraina nazista, è chiaro che si è trattato di una legittimazione di tipo puramente propagandistico e puramente retorico.
«Ma non è campata sul nulla. Non è un caso che lui abbia usato soprattutto quell’argomento, liberare l’Ucraina dai nazisti. Tali argomentazioni sono state utilizzate poi a seconda delle convenienze, ma questo è un argomento che ha una profonda radice storica.
«In Ucraina, durante la Seconda guerra mondiale, e subito dopo il conflitto, c’era una forte componente che guardava i tedeschi come dei liberatori. Gli stessi che hanno massacrato gli ucraini come, in generale, cittadini sovietici, tra il ’41 e il ’44, erano visti da non pochi nazionalisti ucraini come dei liberatori.
«Questo era anche legato alla storia ucraina, ma anche al trattamento che il regime di Mosca aveva imposto, provocando agli inizi degli anni trenta quello che viene chiamato Holodomor, cioè il genocidio del popolo ucraino, provocato o accentuato ad arte da Stalin per colpire la classe contadina e costringere tutti quanti a piegarsi di fronte alla collettivizzazione che voleva applicare in tutta l’Unione Sovietica.
«Le vicende di oggi sono intrise di storia; la preoccupazione della Germania di agire in consonanza con quello che propone l’Unione Europea è sicuramente anche legata a fattori economici, però è anche legata alle vicende storiche; mandare dei carrarmati tedeschi sul suolo russo o ex sovietico dal punto di vista di una parte dell’opinione pubblica tedesca non è cosa da poco conto, nella memoria collettiva tedesca ciò in qualche modo rimanda, ripropone la questione della Germania militarista, aggressore, invasore, conquistatore.»
 
A cosa sta lavorando/Progetti editoriali futuri?
«Ho ripreso in mano un vecchio progetto, al quale mi ero dedicato tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90.
«Sto lavorando intensamente su questa ricerca, una storia sull’occupazione austro-germanica nel Veneto e nel Friuli, tra l’autunno del 1917 e l’autunno del 1918, quindi tra Caporetto e la fine della Prima guerra mondiale, quando per quasi un anno esatto poco meno di un milione di civili hanno vissuto sotto il tallone austro-germanico.
«Riprendendo in mano i vecchi lavori, tornando in archivio, andando nei luoghi dove non ero stato allora, leggendo anche la letteratura che in precedenza non avevo esaminato o quella uscita più di recente, sto cercando di mettere insieme una monografia su questo interessante argomento, un’altra di quelle pagine di storia nazionale della quale non si è parlato quasi mai, una storia che cerco di studiare dalla prospettiva degli occupanti e degli occupati, dal punto di vista delle relazioni e dei rapporti tra le autorità militari e la popolazione civile, per lo più di donne, anziani e bambini, in quanto gli uomini erano sotto le armi.»

Prima di concludere una domanda sul suo ultimo libro dedicato a Guglielmo II. Quando verrà presentato e che tema affronta?
«La presentazione del volume avrà luogo venerdì 17 febbraio alle 20.30 presso la Sala consiliare di via Marconi 6, a Levico Terme, in collaborazione con La piccola libreria di Levico e con introduzione di Marco Bellabarba, professore di Storia moderna all’Università di Trento.
«Guglielmo II Hohenzollern fu imperatore di Germania e re di Prussia dal 1888 al 1918. Il libro ripercorre tutte le fasi della sua vita, parallela a uno dei momenti più critici della civiltà occidentale: dai trionfi del colonialismo e dell’industria, all’abisso della Grande guerra.»

Daniela Larentis – [email protected]