Cent’anni fa iniziava lo sbarco degli alleati a Gallipoli
Fu un’ecatombe spaventosa che non portò alcun risultato: le perdite umane raggiunsero le 500.000 unità, i Dardanelli non vennero conquistati – Chapeau!
>
Come avevamo scritto lo scorso 19 gennaio, data dell’inizio delle operazioni preliminari all’attacco dei Dardanelli, le ragioni che spinsero gli alleati dell’Intesa a tentare l’impresa stavano nel totale isolamento della Russia, che non poteva più ricevere forniture militari. I soldati russi ormai attaccavano con la baionetta perché non avevano munizioni per i loro fucili, né per i loro cannoni.
Dal 19 gennaio al 25 aprile, gli alleati bombardarono le fortezze turche, certi di distruggerle prima di sbarcare i soldati sulle coste europea e asiatica degli stretti.
Ma ormai i tedeschi avevano riorganizzato le fortezze e l’esercito turco, per cui sarebbe stata l’operazione più disgraziata dell’intera Grande Guerra, con cifre impressionanti di perdite umane.
Lo sbarco cominciò fra la notte del 24 e le prime ore del 25 aprile, con oltre duecento navi a supporto delle operazioni.
Le truppe dovevano sbarcare da scialuppe di salvataggio e piccole imbarcazioni del tutto scoperte, esattamente come nelle operazioni anfibie fino allora eseguite: dopo un traino iniziale da parte di rimorchiatori, gli uomini dovevano coprire il tratto finale a remi sotto il tiro delle difese turche, riorganizzarsi appena giunti a terra e affrontare i reticolati che proteggevano le uscite dalla spiaggia. Una follia, se si pensa agli sbarchi attuati nella Seconda guerra mondiale.
La Royal Navy fornì delle squadre di specialisti che dovevano gestire le imbarcazioni da sbarco e allestire una stazione radio principale sulla spiaggia, oltre a osservatori di artiglieria che tramite radio avrebbero comunicato le coordinate di tiro alle navi.
Secondo i piani, l'avanzata verso nord dall'estremità meridionale di Capo Helles, in concomitanza con lo sbarco più a nord delle truppe ANZAC a Gaba Tebe, avrebbe intrappolato i soldati turchi fra i due contingenti alleati.
Il primo sbarco avvenne sul litorale settentrionale (designato in codice come «spiaggia Z») intorno alle 04:25 con un'ondata di 1.500 uomini appartenenti all'ANZAC. Ma, a causa di un errore di rotta o per la forte corrente (o entrambi), i soldati non presero terra sulla spiaggia di Gaba Tebe (dove avrebbero potuto avanzare su un terreno quasi pianeggiante fino ad arrivare al collo dell'istmo) bensì ad Ariburnu, piccolo promontorio un chilometro e mezzo più a nord sovrastato dalle scogliere di Çunukbahir.
Tuttavia le truppe si lanciarono di corsa verso l'entroterra e neppure un uomo venne ferito dalla debole reazione turca. I reparti però si erano dispersi e mescolati e la confusione cresceva continuamente perché il terreno non corrispondeva a quello studiato.
Una lancia trasportante i Lancashire Fusiliers diretta alla «spiaggia Z»: gli uomini erano tanto stipati che quando furono investiti dal fuoco delle mitragliatrici turche, alcuni soldati rimasero in piedi sebbene uccisi. Foto di Ernest Brooks.
Il contingente successivo si trovò in una situazione ancora più caotica, sebbene i suoi uomini riuscissero ad avanzare per circa 1.500 metri. Lì i turchi, posizionati sul Çunukbahir, iniziarono a mietere vittime tra le truppe australiane fino al tardo pomeriggio, quando - da non credere - la guarnigione turca esaurì le munizioni e cominciò a ritirarsi.
Il tenente colonnello Mustafa Kemal, comandante della 19ª divisione, comprese che il possesso della collina di Çunukbahir e del crinale di Sari Bair erano determinanti per il controllo dell'intera penisola e prese immediate decisioni: ordinò alle poche truppe presenti in ripiegamento di inastare le baionette e prepararsi a uno scontro all'arma bianca contro gli australiani in avanzata.
Ecco che cosa si legge nelle memorie del colonnello Kemal.
«Perché scappate?»
«Il nemico, signore.»
«Dove?»
«Laggiù (indicando la collina di Çunukbahir).»
«Non si fugge davanti al nemico.»
«Non abbiamo munizioni.»
«Se non avete munizioni, avete però le baionette.»
Ed ecco che cosa si legge nelle memorie del capitano australiano Tulloch che si trovava dall’altra parte.
«Avevi scorto un ufficiale turco sotto un albero a meno di 100 metri intento a dare ordini che, fatto segno a colpi di fucile, non si mosse. Ma almeno in un'altra circostanza Kemal rimase sotto il fuoco dell'artiglieria in una trincea, accendendosi con calma una sigaretta.»
I rinforzi vennero fatti affluire alla spicciolata man mano che si rendevano disponibili, compresa una batteria di artiglieria da campagna della quale Kemal aiutò a mettere in posizione il primo pezzo; i turchi tennero le posizioni.
Tre reggimenti, uno turco e due arabi alla fine contrattaccarono con un pesante pedaggio di perdite ma gli australiani, nonostante gli sforzi, non riuscirono più ad avanzare.
I combattimenti alle pendici del Çunukbahir proseguirono per tutto il giorno, e quando si fece buio sia gli australiani che i turchi erano allo stremo: i due reggimenti arabi erano praticamente annientati e Kemal passò la notte a esortare i suoi uomini per ricacciare in mare l'invasore, ma gli australiani, seppur demoralizzati, rimasero saldamente attestati sulle pendici della collina e non cedettero terreno.
Il generale Birdwood, comandante dell'ANZAC, comunicò ad Hamilton che occorreva abbandonare la testa di ponte, ma Hamilton ribatté di mantenere le posizioni fino al giorno seguente quando i reparti provenienti da sud avrebbero allentato la pressione sulle sue truppe.
All'estremità meridionale della penisola la 29ª divisione britannica, sotto il comando del generale Hunter-Weston, sbarcò su cinque spiagge designate rispettivamente da est a ovest "S", "V", "W", "X" e "Y": anche qui la creazione di teste di ponte avvenne in maniera caotica, favorendo la reazione dei difensori.
Presso Capo Helles oltre la metà dei 2.000 soldati di due battaglioni irlandesi e uno dello Hampshire sbarcati sulla «spiaggia V» furono uccisi o feriti dal micidiale mitragliamento dei turchi (che investì anche la nave da trasporto River Clyde, fatta arenare in vista di uno sbarco con chiatte e passerelle galleggianti), asserragliati sull'altura sovrastante e nei resti del forte Sedd el Bahr distrutto dai bombardamenti navali di febbraio.
Nonostante la violenta reazione dei difensori, verso sera i fanti britannici avanzarono conquistando la spiaggia e per il coraggio dimostrato cinque soldati vennero insigniti della Victoria Cross, la massima onorificenza del Regno Unito.
Anche le truppe del Lancashire Regiment, sbarcate dall'incrociatore corazzato HMS Euryalus sulla "spiaggia W", subirono gravi perdite nonostante il pesante fuoco di preparazione operato dalla nave. Alcuni barconi riuscirono a sbarcare soldati per la forza di circa una compagnia che riuscirono ad arrampicarsi sugli scogli e neutralizzare le mitragliatrici turche, permettendo ai superstiti di porre piede a terra.
Sui 950 uomini del Lancashire che era previsto occupassero la spiaggia "W", circa 260 erano morti e 283 feriti: anche in questo caso per il coraggio dimostrato in azione sei Victoria Cross vennero assegnate quella mattina, molte alla memoria. Di conseguenza il reggimento adottò il motto non ufficiale Six VC before breakfast [sei Victoria Cross prima di colazione – NdT].
Due sole compagnie di soldati turchi, ben distribuite tra le spiagge "V" e "W", erano riuscite a intralciare il principale sbarco britannico.
Sulle spiagge "X", "Y" e "S", considerate dai turchi come punti «improbabili» per un attacco, gli sbarchi avvennero con molte meno difficoltà.
Le truppe che presero terra sulla spiaggia "S" non incontrarono resistenza ma, sopravvalutato il numero di effettivi turchi presenti in zona, invece di intraprendere una facile avanzata iniziarono a trincerarsi; sulla spiaggia "X" il minuscolo corpo di guardia turco, composto da appena dodici uomini, si arrese senza sparare neppure un colpo e i soldati appena sbarcati si diressero verso la spiaggia "W" a dar manforte ai compagni, aggirando così i turchi attestati sopra la spiaggia e costringendoli ad arretrare.
Infine sulla spiaggia "Y" le truppe sbarcate poterono scalare la scogliera indisturbate senza incontrare alcuna opposizione.
Royal Naval Division trench all'attacco - Foto Ernest Brooks.
Sebbene i loro commilitoni fossero inchiodati da furiosi combattimenti sulle spiagge "V" e "W", gli uomini appena sbarcati sulle altre tre spiagge avrebbero potuto lanciarsi nell'interno, attaccare alle spalle i turchi e sospingerli verso nord, in modo tale da espugnare i forti lungo la costa europea. La flotta alleata sarebbe stata così libera di attraversare lo stretto senza soverchie difficoltà per dirigersi verso Costantinopoli.
La strenua resistenza turca, il caos seguito agli sbarchi e i sanguinosi scontri intaccarono pesantemente la volontà degli attaccanti, che si dettero a soccorrere le centinaia di feriti e a scavare le prime trincee.
Posti di fronte a un compito preciso - la conquista delle spiagge - i comandanti di plotone, di compagnia e persino di battaglione, ciascuno nella propria sfera di competenza, rimasero in attesa di nuovi e precisi ordini, e di loro iniziativa fecero ben poco per sfruttare il successo del mattino e mantenere il contatto con i turchi, cui erano superiori per un rapporto di sei a uno. I soli 2.000 uomini che furono sbarcati senza colpo ferire alla "spiaggia Y" eguagliavano le forze turche dislocate a sud dell'altura di Achi Baba.
Per più di undici ore le truppe alleate rimasero immobili sulla spiaggia subendo passivamente alcuni contrattacchi che i turchi lanciarono verso sera per coprirsi lo sganciamento e arroccarsi su posizioni più difendibili; sebbene respinte, tali brevi azioni bastarono a mandare in totale confusione i britannici e a diffondere il panico: messaggi allarmistici furono inviati alle navi e il comandante a terra, colonnello Matthews, decise di reimbarcare l'intero contingente quando le sue richieste di rinforzi rimasero inascoltate.
Nel tardo pomeriggio del 25 aprile, nonostante gli errori commessi, circa 15.000 uomini dell'ANZAC erano ormai sbarcati. Tuttavia il tempestivo arrivo del generale Kemal sul crinale di Çunukbahir con 500 uomini intorno alle 10:00 riuscì a tenere a bada i primi 8.000 australiani che tentarono di scalare il pendio: costoro si trovavano in una posizione sfavorevole, in un territorio sconosciuto ed erano al battesimo del fuoco.
I turchi riuscirono a bloccare gli attaccanti e nel frattempo rafforzarono le proprie file fino a raggiungere al calar della sera la consistenza di sei battaglioni (circa 5.000 uomini) dotati di tre batterie di artiglieria. A partire dalle 16.00 i turchi sferrarono una serie di contrattacchi che, pur non riuscendo a sfondarlo, costrinsero l'irregolare schieramento australiano a ripiegare.
Gli uomini dell'ANZAC erano profondamente demoralizzati. Alle 22.00 Birdwood scese a terra e, constatando la situazione, inviò a Hamilton un messaggio in cui proponeva un immediato reimbarco se il giorno successivo le truppe fossero state ancora bersagliate dalle batterie avversarie.
Hamilton nel frattempo prese terra a Capo Helles e ricevette il messaggio di Birdwood: decise di mantenere le truppe sulle spiagge e impartì l'ordine di trincerarsi.
Intanto gli sbarchi continuavano e la mattina del 26 aprile i britannici erano riusciti a portare a terra circa 30.000 uomini.
Al contrario di quanto pensavano i comandanti britannici, i turchi non disponevano di riserve sufficienti per continuare i contrattacchi ed erano assai demoralizzati dal fuoco della moderna corazzata dreadnought HMS Queen Elizabeth, tanto che non preoccuparono più gli australiani saldamente trincerati.
Il tiro delle artiglierie navali fu importante nel supportare lo sbarco e l'attestarsi delle truppe ma, a parte la Queen Elizabeth appena entrata in servizio, le altre corazzate erano dotate di sistemi di controllo del fuoco obsoleti il cui tiro teso non permetteva di battere bersagli posti dietro un crinale, contrariamente agli obici dell'artiglieria da campagna.
I proietti a disposizione, peraltro in numero limitato, non erano dei più adatti a colpire le truppe trincerate; le navi avevano poi difficoltà a mantenere le posizioni necessarie a un tiro di precisione e le richieste di appoggio di fuoco dagli osservatori avanzati spesso non le raggiungevano in tempo utile.
Questi fattori diminuirono l'efficacia del supporto navale, ma la presenza delle corazzate rimase importante come interdizione ai movimenti di truppe turche e all'arrivo di rifornimenti.
Artiglieria francese in azione durante la terza battaglia di Krithia.
Il prosieguo delle operazioni
Il 26 aprile le truppe alleate rimasero passive. Rendendosi conto della stanchezza dei suoi soldati, Hunter-Weston rinunciò a qualsiasi tentativo di avanzata prima dell'arrivo dei rinforzi francesi a capo Helles e aspettandosi un contrattacco turco impartì l'ordine “incoraggiante”: «ogni uomo deve morire al suo posto piuttosto che ritirarsi».
Lungi dall'attaccare, i turchi ripiegarono su una nuova linea difensiva dinanzi a Krithia per raggrupparsi, poiché in questa zona al 27 aprile disponevano di soli cinque battaglioni, che le perdite avevano ridotto a una forza numerica di poco superiore ai due battaglioni presenti il giorno dello sbarco.
Solo il 28 i turchi tentarono un attacco. Sfruttando la scarsa o nulla conoscenza del territorio delle truppe britanniche, afflitte dalla sete e dalla stanchezza, i turchi riuscirono a infrangerne le linee e a riportare gli invasori sulla spiaggia.
Lo slancio offensivo fu spezzato da un singolo colpo di cannone della Queen Elizabeth che esplose sul grosso delle forze turche, falciandole con circa 24.000 shrapnel e inducendole alla ritirata; ma al calar della notte tutta la 29ª divisione era ormai ripiegata sulla linea di partenza.
Nel settore dell'ANZAC attaccanti e difensori avevano provveduto a riorganizzarsi e consolidare le rispettive posizioni. Le forze alleate finirono però per imbottigliarsi da sole in una angusta area lunga due chilometri e mezzo e larga un chilometro scarso, dominata dalle alture sovrastanti in mano ai turchi che potevano controllarne ogni movimento.
Soldati nella terra di nessuno durante la tregua per seppellire i caduti del 24 maggio.
Già il 27 aprile, dopo un pesante bombardamento navale, le truppe sbarcate a sud avanzarono verso l'altura di Achi Baba, la posizione dominante a circa dieci chilometri da Capo Helles, nel tentativo di conquistare il villaggio di Krithia, obiettivo non raggiunto il giorno dello sbarco.
I britannici furono respinti dalle truppe turche di rinforzo provenienti da Maydos e non riuscirono a impossessarsi di Krithia, distante appena sei chilometri dal punto dello sbarco: dei 14.000 soldati che quel giorno sferrarono l'attacco, circa 3.000 rimasero uccisi o feriti; più in generale, dei 30.000 soldati alleati sbarcati la sera del 26 aprile, 20.000 vennero feriti o uccisi nei primi due giorni di battaglia.
Il 30 aprile la corazzata Lord Nelson con la sua batteria principale da 305 mm martellò una parte di Çanakkale e ripeté l'attacco quattro settimane dopo.
Il 1º maggio un sommergibile britannico oltrepassò le barriere antisommergibile e affondò la nave trasporto truppe turca Guj Djemal con 6.000 soldati a bordo.
Con il rinforzo di tre nuove brigate, due affluite dalla zona della baia occupata dalle truppe ANZAC (presto nominata Anzac Cove) e una proveniente dalle truppe territoriali stanziate in Egitto, a Capo Helles i britannici poterono concentrare quasi 25.000 uomini (comprese brigate navali che avevano combattuto ad Anversa nell'ottobre 1914) contro circa 20.000 turchi.
Alle 04.00 del 6 maggio il generale Hunter-Weston comunicò alle brigate l'ordine di sferrare un nuovo attacco alle 11.00 della stessa mattinata. Le truppe britanniche, ancora impreparate, con poche munizioni, senza un'adeguata ricognizione aerea e informazioni precise sulle fortificazioni turche, furono lanciate in un brutale assalto frontale.
L'attacco fallì miseramente senza che la resistenza dei difensori, al comando di Erich Weber (promosso generale di divisione alcuni mesi prima) venisse scalfita. Logorate dalla tensione, dalla mancanza di sonno e dalla superficialità delle disposizioni, le truppe non rappresentarono una reale minaccia per la prima linea turca.
Di tutta risposta Hunter-Weston organizzò un nuovo attacco il giorno successivo che si risolse in un secondo scacco e intaccò ancor di più le scorte di munizioni.
Il mattino seguente l'offensiva condotta da quattro esangui battaglioni neozelandesi venne respinta senza difficoltà da nove battaglioni turchi, che comunque inflissero perdite esigue ai già decimati reparti. Constatando poi che ancora tre brigate erano di riserva, Hamilton intervenne di persona ordinando una carica alla baionetta alle 17.30 in punto, che fallì miseramente con gravi perdite.
In tre giorni le forze britanniche si erano ridotte di un terzo e inevitabilmente il fronte si fermò del tutto, lasciando l'opportunità ai turchi di ultimare e rinforzare le improvvisate difese della prima ora in un organizzato sistema di trincee.
Il tentativo di uscire dall'impasse sul fronte occidentale riportando a oriente una vittoria rapida e decisiva era ormai sfumato. Svanito l'effetto sorpresa, i combattimenti sulla penisola di Gallipoli si sarebbero protratti per tutto il resto dell'anno senza sosta e senza mutamenti di rilievo; le speranze legate all'attacco navale di marzo e le aspettative ancor più grandi generate dallo sbarco del 25 aprile si erano rivelate troppo ottimistiche: imprevisti, contrattempi, errori e l'inaspettata tenacia ottomana avevano impedito la vittoria sul campo degli Alleati.
La HMS Cornwallis apre il fuoco contro i turchi a Suvla per coprire l'evacuazione delle truppe britanniche, dicembre 1915.
Inoltre la morte di circa 750 marinai britannici la mattina del 13 maggio, a causa dell'affondamento della corazzata HMS Goliath da parte di un cacciatorpediniere turco (comandato dal tenente Firle della marina tedesca), fece accantonare definitivamente i piani di un nuovo attacco dal mare.
Il 9 maggio Jack Churchill, che faceva parte dello staff di Ian Hamilton, scrisse al fratello Winston: «... Anche qui come in Francia ormai è una guerra d'assedio caratterizzata da perdite spropositate in confronto ai grami guadagni territoriali».
Con la perdita della Goliath e la minaccia dell'arrivo dei sommergibili tedeschi nei Dardanelli, Fisher e Churchill convennero di sostituire la corazzata Queen Elizabeth con due vecchie navi da battaglia e con due monitori, suscitando le proteste di Kitchener che temeva le ripercussioni negative sul morale dell'esercito.
Nei giorni successivi le discussioni per l'invio di rinforzi nei Dardanelli evidenziarono le antiche tensioni tra Churchill e Fisher che, nonostante le resistenze di tutti e di Churchill medesimo, diede le sue dimissioni.
Il ritiro di Fisher e le polemiche derivanti dallo scandalo sull'insufficienza di granate in Francia costrinsero il primo ministro Herbert Henry Asquith a formare un esecutivo di coalizione con i Conservatori all'opposizione: costoro fecero in modo che Churchill fosse rimpiazzato da Arthur James Balfour, privando così la campagna in corso del suo più acceso sostenitore.
Il 19 maggio, sulle alture sovrastanti la testa di ponte alleata più a settentrione, il corpo di armata ANZAC forte di 17.000 australiani e neozelandesi fu investito dall'attacco di circa 40.000 soldati turchi che cercavano di ricacciarli in mare. Fu il punto di svolta della campagna per gli Alleati, privati dell'iniziativa e prefissisi l'obiettivo di conservare due minuscoli punti d'appoggio su un terreno inospitale.
Tre giorni dopo la marina britannica perse altri 100 uomini quando il sommergibile tedesco U 21 comandato da Otto Hersing (il primo battello tedesco inviato in aiuto alla Turchia che otto mesi prima aveva affondato la prima nave da guerra britannica dall'inizio della guerra, la HMS Pathfinder) silurò la corazzata pre-dreadnought HMS Triumph. Il giorno dopo Hersing colò a picco anche la pari classe HMS Majestic e il comandante britannico in mare allontanò immediatamente sei corazzate verso i porti delle isole greche, privando i reparti a terra del supporto delle loro artiglierie che fino allora avevano colpito duramente le forze turche.
Il 5 giugno Hersing raggiunse sano e salvo il porto di Costantinopoli.
I combattimenti a Gallipoli avevano ormai raggiunto una tale intensità che il 24 maggio le truppe australiane e neozelandesi conclusero una tregua di dieci ore per consentire ai turchi di seppellire 3.000 caduti.
L’avventura di Gallipoli era virtualmente finita ma, visto che gli uomini non finiscono mai, ci sarebbero stati altri assurdi tentativi nel corso dell’estate.
Ne parleremo a suo tempo, per parlare del reimbarco della forza di spedizione, che avvenne a fine settembre di quell’anno. E, già che ci siamo, parleremo delle conseguenze politiche di quell’immane e inutile strage.
GdM
Si ringrazia Wikipedia per le note e soprattutto per le fotografie che ci ha lasciato attingere.