Giovani in azione: Neka Crippa – Di Astrid Panizza

La tenacia di un campione in corsa: «Dopo una caduta non si può che fare meglio»

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Neka Crippa, è lui il protagonista di questa settimana.
Di origini etiopi, ha 25 anni e la sua passione, come si sarà già capito, è quella di correre.
Se il suo nome è originale (Nekagenet, ma per tutti Neka), il suo cognome, invece, non passa inosservato perché molto noto al pubblico sportivo. Riporta, infatti, ad una famiglia unica nel suo genere, culla di giovani talenti.
Neka, infatti, assieme al fratello Yeman, è un campione di atletica leggera in quanto negli ultimi anni ha dato prova delle sue straordinarie doti sia in pista, ma ancor di più sullo sterrato, nelle campestri e nelle corse in montagna di cui è stato campione mondiale juniores nel 2013.
 
Ma non solo. Si è cimentato con buoni risultati pure nella maratona, ma purtroppo nel 2017, causa di una serie di infortuni (gli ultimi al tendine d’Achille), è stato costretto a ritirarsi dalla scena sportiva, cominciando così a lavorare in un ristorante di Trento mettendo a frutto i suoi studi in ambito alberghiero.
Un anno più tardi, nel febbraio 2018, la sorpresa: Neka annuncia di tornare alle corse con nuovo entusiasmo, spinto anche dal tecnico del «Trieste Atletica», Roberto Furlanic.
Si trasferisce quindi a Trieste e da quel momento in poi iniziano ad arrivare molti successi, l'ultimo dei quali lo scorso ottobre, quando ottiene il titolo di campione italiano di mezza maratona.


 
C’è da dire che la famiglia Crippa è eccezionale non solo per le doti atletiche espresse dai suoi componenti, ma anche per la sua storia.
«Siamo in otto fratelli – ci confida Neka – veniamo dall'Etiopia e abbiamo avuto la fortuna di crescere in Trentino tutti in un’unica famiglia.
«Adesso siamo grandi e ognuno vive la sua vita, ma quando ci ritroviamo assieme ti posso assicurare che non è mai noioso.» – Ammette sorridendo il campione.
 
Adesso fai l'atleta a tempo pieno, hai lasciato il mondo della ristorazione per inseguire il tuo sogno, quello di correre. Scelta azzeccata, immagino.
«Certamente. Quando dopo una caduta sai rialzarti e vedi che i risultati tornano ad arrivare, beh, allora sì che ti convinci che la scelta è stata quella giusta. Poi col tempo metti a fuoco i tuoi orizzonti e capisci dove spendere al meglio le tue energie.
«Oggi la mia specialità è la mezza maratona e il cross, che sarebbe la corsa sui prati. Ho scelto queste due specialità perché sono quelle che preferisco e in cui riesco meglio. Mi piace correre in mezzo alla natura e non correre in pista, che mi sembra monotono.»
 
Quando hai iniziato a correre?
«Avevo 13 anni e in quel periodo giocavo a calcio. Tuttavia, dopo aver provato in contemporanea anche l’atletica, a 16 anni ho capito che avrei reso meglio in pista piuttosto che in un campo da calcio. Quindi, da lì in avanti, mi sono dedicato esclusivamente a correre.
«Ricordo che prima di me aveva iniziato anche mio fratello Kelemu, poi siamo arrivati a calcare le piste in sintetico sia io che Yeman. È stato anche grazie alla presenza dei miei fratelli e ai buoni risultati ottenuti sin da subito che ho deciso di lasciare il calcio in favore dell'atletica. Posso dire che ci siamo sostenuti a vicenda.»
 

 
Però ad un certo punto la tua carriera è stata segnata da un momento buio in cui sei stato costretto ad abbandonare le corse. Cosa era successo?
«Già dal 2015 correvo con buoni risultati per il Trieste Atletica, ma è negli anni successivi che per via di numerosi infortuni ho iniziato a pensare di dover smettere con lo sport. La decisione definitiva è arrivata nel 2017, a 23 anni, quando purtroppo sono stato costretto a dire basta e a tornare in Trentino a lavorare in pizzeria.
«Poi, l’anno dopo, nel febbraio 2018, inaspettatamente il ritorno. È stato il tecnico del Trieste Atletica, che credeva in me, ad insistere per la ripresa degli allenamenti, ma devo ammettere che soprattutto il rientro alle gare è stato davvero difficile e moto sofferto.
«Avevo perso quasi tutto dell’atleta che ero allora, in primis la preparazione fisica, ma però quello che mi spingeva a dare il massimo era proprio la voglia di ripartire e di finire al meglio il percorso che avevo iniziato anni prima.
«Devo quindi la mia rinascita sportiva al mio allenatore, Roberto Furlanic. È anche suo il merito di questo mio titolo di campione italiano. È lui che mi ha convinto e che per primo ha scommesso su di me. All'inizio, sembrava fantascienza, una cosa impossibile quella di riuscire a tornare come prima.»
 
Da allora, però, ciò che ti sembrava fantascienza è poi diventata realtà.
«Rientrare, come dicevo, è stato molto difficile. Da zero tornare a 100 sembrava all’inizio uno scoglio insormontabile. Adesso, però, dopo quasi due anni sono tornato tra i primi, a lottare davanti per il podio. È quello che volevo ed è bello, un'emozione immensa e una grande soddisfazione.
«È stato come un riscatto, mi sono ripreso quello che desideravo. Anche se mi trovavo bene in pizzeria, quello che volevo fare era l'atleta. Non è facile mollare lavoro, famiglia e amici, cambiare città e modi di vivere per inseguire il tuo sogno, però quando vedi che il sogno piano piano si materializza allora pensi che sì, ne è valsa la pena.»
 

 
Succede a un atleta di dubitare delle proprie forze?
«Quello sempre, la paura di non sapere come andrà ci sarà sempre. Anzi forse è ansia, più che paura. Però è normale. Perché quello in cui credo è la preparazione e se ti sei preparato a dovere, paura non ci dovrebbe essere.
«Ma se sai di non avere fatto tutto il possibile e se non ti sei preparato adeguatamente, allora sì che arriva la paura di non raggiungere il risultato che ti eri prestabilito.
«Io do sempre il massimo e questo, secondo me, è l’unico sistema per non avere paura.»
 
E la tua famiglia ti è stata vicina durante il tuo percorso?
«I miei genitori sono sempre stati vicini a me e ai miei fratelli. Adottarci è stato un grande atto di generosità e di coraggio e non ci hanno mai fatto mancare nulla, anzi ci hanno sempre dato tutto l'amore di cui avevamo bisogno.
«Per quanto riguarda il mio riscatto nello sport, il loro pensiero è sempre stato quello che io stessi bene perché vedevano che non ero felice durante il periodo di lontananza dall’atletica. Mi hanno aiutato e dato sostegno dal punto di vista psicologico incoraggiandomi a seguire ciò che ho sempre voluto fare.
«Vivendo in una grande famiglia, non ti senti mai solo. Siamo sempre stati uniti e sinceri. La nostra casa è sempre stata piena non solo di noi familiari, ma anche di tanti amici che ci venivano a trovare. A volte era un gran casino, ma in maniera divertente.
«Quando poi succede ancora oggi di bisticciare con uno dei miei fratelli, avendone otto hai sempre qualcuno con cui parlare, con cui confidarti, insomma non sei mai solo in una grande famiglia come la mia.
«Tutti loro sono un pilastro della mia vita. Tutti, indistintamente, in ogni momento mi hanno incoraggiato a non mollare e a dare sempre il massimo.»
 
Astrid Panizza – [email protected]
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